È come se dal momento preciso in cui la mattina l’aria sfiora le ciglia e mi fa aprire gli occhi, fino all’istante esatto in cui quella stessa aria vi si posa e li accarezza facendoli chiudere, un’insofferenza globale facesse da sottofondo a tutte le ore e le cose e le persone, che la subiscono di riflesso. Anzi è proprio così, non è come se. Non è tanto per gli altri che mi preoccupo, non sono così altruista, soprattutto adesso che in così tanti si sono uniti in matrimonio in nome del dio del silenzio e hanno trovato così la loro pace, beati loro, al punto che ho quasi paura di disturbarli, quanto di me, che non mi riconosco più. C’è da operare qualche cambiamento perché se no da tutta questa situazione non ne vengo fuori. E i cambiamenti nell’ordine vedranno intanto La stanza del Matto aggiornarsi nelle ore notturne e non nelle ore mattutine (che c’entra? C’entra, sì). Poi una costante costrizione lontano dal pc, che m’imprigiona mentre libera il tempo che è troppo veloce perché possa stargli dietro, e la velocità del tempo è una cosa che odio, ad esempio. Quello che detto così appare come un semplice spostare corrisponde invece a un prepotente provare a reagire. Non fatemi dire disperato che non voglio dubbi, non voglio tentennare. Sembro pazzo, comunque di certo lo sto diventando. Sento rumori strani in casa e penso spesso a cose brutte. Niccolò dice che, quando mi ritroveranno a giocare a carte seduto a un’immensa tavolata vuota, allora sarà conclusa la mia degenerazione. Ieri parlavo da solo, non è lontanissimo quel momento. È come se mi rivoltassi e decidessi di far vivere la vita alle mie interiora. Anzi è proprio così, non è come se. È del tutto inutile provare a convincerle che viene prima la premura dell’istinto, sulle risposte, sugli appuntamenti. Non sono io quella persona che non si cura più dei rapporti. Sono così diverso che è come se non fossero miei quegli occhi, quei pensieri che non riescono ad incidere sui comportamenti. E poi sono stanco, sia nel senso di stufo che nel senso di forze che mancano. L’altro me non sa comprendere che l’isolamento non è proprio la decisione migliore, perché la solitudine non accarezza, atterrisce e taglia con le dita affilate dell’unico abbraccio che riceve adesso l’altro me, quello della solitudine, appunto. Non è molto sveglio, e in questo assomiglia al vecchio me. Pure nell’ironia, credo. E pure nell’amore per tutto ciò che resiste a qualunque cambiamento. Cavolo, quanto vi voglio bene.
L’Arno è in piena. Nello spazio che va dal suo continuo sbattere nel vento e dal mio continuo sbattere contro l’angolo del comodino (ieri notte dal dolore mi è uscita una lacrima dal ginocchio) fino al giorno in cui guardando l’Arno mi fermerò a riflettere e forse scriverò anche, non preoccupatevi e non abbiate niente da ridire se di tanto in tanto spunteranno post così. E non chiedetemi neanche così come, che io poi vi rispondo così, come se giocassi a carte da solo in una immensa tavolata, e non importa se a Scala40 o a Poker, tanto comunque vincerei.
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