Esco dalla Stanza e mia madre mi accoglie così: “Tesoro cosa vuoi mangiare?”. Tesoro?! Faccio finta di niente e nel frattempo mi autoimposto in modalità protetta: allarme giallo. “Va bene se ti preparo un piatto unico: mais, pomodoro e tonno, e pure una frittatina?” Oddio, quando usa i diminutivi la situazione è davvero gravissima. Di solito non è che sta lì a dirmi: vuoi questo o quello; mi fa trovare una mozzarella e un paio di fette di pane, io posso mangiare o non mangiare e, visto che io sono uno che ha solitamente fame, scelgo la prima ipotesi, abbinando al misero pasto un secondo spuntino verso mezzanotte e mezza, poco prima della dichiarata tazza di latte del post precedente.
Mentre gusto il piatto unico che ha il sapore di un gigante tramezzino: “In garage c’è la coca cola, aspetta che vado a prenderla!” e sparisce oltre le scale. È addirittura scesa giù a prendere la coca cola. Comincio a tremare terrorizzato. Non può essere la stessa donna che mi ha concepito e cresciuto per (quasi) ventisette anni; quella che, a cena, usa abbandonarsi esanime sulla sua rossa poltrona a guardare Chi l’ha visto e Stranamore perdendo i sensi quattro minuti dopo non aver capito la storia in questione. Torna con la coca cola e, mentre mi riempie il bicchiere (Ma che gl’ha preso?), con tono di voce discreto: “potresti contribuire un minimo al pagamento dell’assicurazione?”. Ecco che si spiega tutto! “L’assicurazione di cosa?” “Della tua macchina!” “Io non ho una macchina!” Cioè ce l’ho, nel senso che esiste una macchina che mi appartiene legalmente perché è a me intestata, che sto pagando e continuerò a pagare per i prossimi quattro anni, precisamente una Matiz verdina, però non è più mia. Forse lo è stata, ma ho provveduto a disconoscerla dopo che mia sorella ha cominciato ad apportare piccole, inconsapevoli e non, modifiche all’aspetto interno ed esterno. Ogni giorno una novità. Prima un bozzetto dietro, poi un bozzetto allo sportello destro, poi anche al sinistro (pareva brutto farlo sentire un emarginato), poi il cerchione piegato, poi l’anabbagliante bruciato, poi la prima, che per farla entrare devo invocare l’incredibile Hulk che è in me. Per non parlare della puzza di fumo che è ormai il nuovo Arbre Magique delle automobili della famiglia Grimaldi, e della cenere in tutti gli interstizi; alzi il finestrino e un’ondata di cenere ti assale, abbassi il finestrino e l’ondata torna, la cenere sul cambio, nel volante (sì, proprio dentro!), sui tappetini e persino tra i CD. E quel mostro sarebbe la mia macchina?
“Non ne voglio più sapere nulla finché non la farete tornare quella di una volta!” “Faccela tornare tu, visto che è la tua!” “Certo, lei la distrugge e io la riparo, così magari lei, tanto che c’è, la ridistrugge? E poi, se hai notato, io non ho più facoltà di guidarla visto che non è mai disponibile, visto che tua figlia, nonché mia sorella, non c’è mai!” “Sì, ma guidi quella di tuo padre, vuoi pagare l’assicurazione di quella (che è quasi il doppio (proposizione sottintesa) ) ?” Colpo basso. Decido di mollare la presa prima che sia tardi. “Quant’è arrivato di assicurazione?” “231 euro.” “E quanto dovrei mettere?” Tento un disperato patteggiamento. “Almeno i duecento, il resto lo pago io.” Alla faccia dell’almeno, e del contribuire un attimo!
E sia! Provvederò al mantenimento della vettura, ma non voglio né vederla né sentirla più, almeno finché non mi farà scrivere da C’è posta per te per riabbracciare il suo amato papà (che sarei io).
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