Splinder si scusa per i ritardi a cui sarà soggetto il portale per tutta la settimana (cos’è, un treno?). Vi immaginate il blogger del primo piano che si affaccia alla finestra e urla all’amico blogger del secondo: “Aho! E’ arrivato Splinder?” “No guagliò, sta ancora in ritardo!”
Questo per dirvi che non è l’egocentrismo che mi ha portato a pubblicare due volte lo stesso post coi link alle recensioni, ma Splinder che prende iniziative ritardate, appunto. E se provo a cancellarne uno, indovinate un po’, si cancellano entrambi. Se un tempo ero pronto a perdere un intero pomeriggio a smarmellarmi i maroni nel tentativo di sistemare la questione, oggi (inteso come periodo, non come giorno) non me ne fotte un ceppo e allora, nell’attesa che arrivino tempi migliori, teniamoci tutte le conseguenze dei ritardi splinderiani e andiamo avanti.
Vivere a L’Aquila è come vivere in un cantiere; è esattamente la stessa cosa, anzi è proprio quello. Le strade sono per una buona metà sbarrate per evitare che ci si possa avvicinare troppo ai centri pericolosi. Camion, autorimorchi, mezzi pesanti che procedono a passo d’uomo trainando terra e assi di legno. La temperatura supera i 30 gradi che in macchina si moltiplicano. Procedere così lentamente, col calore che si appiccica ai vestiti, con l’aria che manca e quella che entra dal finestrino che trasporta la polvere alla gola, col brillio invadente e costante del sole riflesso sul vetro che scalda pure gli occhi. Coi camion davanti che ti vien voglia di scendere dalla macchina e dargli una spinta, arrivano istanti di follia provocati da un’esasperazione accumulata in mesi di vita costretta in una vita che non è più tua. Qualcuno scende dalla macchina e sbraita contro uno a caso, o contro il camionista, come se avesse una qualche colpa del disagio o del terremoto. Qualcun altro, prima tenta un improbabile sorpasso bloccato dal clacson di chi arriva in direzione opposta sull’altra corsia, poi decide di invertire la rotta e tornare indietro, convinto forse che esista anche una sola strada che porti a destinazione con un tempo minore. Ho impiegato quasi un’ora ad arrivare da un capo all’altro della città.
Ho pranzato con mia madre e mio padre alla tendopoli vicino casa. Ho conosciuto un ragazzo della Protezione Civile di Manfredonia che sta al campo di Preturo dal 6 aprile ed è tornato a casa una sola volta per recuperare qualche panno. Abbiamo parlato un paio di minuti e poi mi ha offerto un bicchierino di amaro ghiacciato. Sono bravi ragazzi. Non riesco a sopportare chi dal caldo divano di casa sua è capace pure di criticare il loro lavoro. Si stanno sbagliando molte cose, come è normale che sia nel dover tamponare un’emergenza di queste proporzioni, ma ognuno sta dando il meglio di sé. Il terremoto ha tolto a tutti la propria quotidianità, loro hanno scelto di privarsene per provare ad inventarne una per noi.
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