Ieri mi han detto che sono un sofista e il tono era più o meno lo stesso di quando mi dicono: “Sei uno stronzo!” così pensavo che sofista fosse uguale a stronzo, seppur udendo riecheggiar il suono di questa parola nell’antichità, quella antica antica, prima che nascesse quel capellone del Cristo, per intenderci. E allora mi son messo a chiamare il telefono Google-amico e a chiacchierare coi gentili operatori volontari ed è venuto fuori che sofista no che non è un’offesa, ma una grandioso complimento per me. I sofisti, che non vi sto a dire che erano esponenti di una corrente filosofica nata nel IV secolo a.C. e palle così considerato che questa non è la terza ora di filosofia di un boccheggiante sabato mattina di quarto liceo, negavano la possibilità di raggiungere una verità definitiva, per cui tutto poteva essere messo in discussione, tutto era relativo, e quindi confutarlo diventava una sfida da vincere attraverso una raffinata tecnica verbale. Per farvi meglio comprendere ecco un aneddoto. Si narra che Aristippo, che non era il nonno di Heidi, ma un sofista (ma va!) al padre di un suo allievo che contestava il prezzo troppo alto della retta annuale: “500 dracme? Ma io con 500 dracme ci compro uno schiavo!” rispose: “E tu compralo, questo schiavo. Così ne avrai 2 in casa, questo e tuo figlio”. Erano sostanzialmente dei gran rigiratori di frittate. Così sarei io: uno capace di aver sempre ragione perché dotato di una proprietà di linguaggio e astuzia tale per cui alla fine l’interlocutore deve piegarsi e ammettere, con irrefrenabili movimenti sì e sì e sì del capo, che la sua versione era tutta sbagliata e la mia tutta giusta. Un fondo di verità c’è. Io sono sostenitore della teoria, che non è una teoria, ma un mio pensiero, quindi una mia teoria, se vogliamo, che non è vero che la ragione è dei fessi, ma la ragione è di chi ce l’ha o di chi se la inventa (potrei far stampare anche miliardi di bandierine da sandwich così da divulgare alle masse il suddetto messaggio). Io spesso ce l’ho, il restante delle occasioni, che è quantitativamente parlando equivalente, occasione più, occasione meno, me la invento, la ragione, di conseguenza me la merito senza dovermi sentir dare del fesso.
Ieri notte a chiusura un mio collega, che avrà sui 19 anni, era in ansia per un sms che doveva inviargli una ragazza. Lo aspettava come segno di conferma di lei che gli ha preso il cuore e: “se non arriva vuol dire che non mi pensa tanto. Perché uno, quando esce dal lavoro, spera di ritrovare il pensiero di lei che ti chiede com’è andata. Sarebbe l’ennesimo spillo nel cuore”. Mi ha fatto molta tenerezza perché mi son rivisto quando tanto tempo fa facevo tutto col cellulare in mano sperando squillasse, pure l’Albero di Natale. Mi ricordo che fu bruttissimo perché io provavo a non pensarci concentrando l’attenzione sulle fantasie cromatiche delle palle o dei fili o cercando di risolvere il problema che ogni anno si ripresenta di ficcare 5 luci nelle 5 punte della stella, però quel telefono non suonava mai e io ci stavo male. Di tempo ne è passato e la prova l’ho avuta anche ieri dal fatto che si è staccato il poster di Carmen Consoli che sta dietro la porta della mia stanza e che di anni ne ha almeno 10. Poi il messaggio c’era e lui è tornato zampettante e con un sorrisone al lavoro e ha fatto sorridere anche me, che ho ancor più riso quando ho letto che Gomorra, dopo la stangata ai Golden Globe, dove non ha beccato neanche un mappamondo di plastica, non è rientrato tra i 9 semifinalisti degli Oscar. E scusate se son contento, perché ce la crediamo troppo signori miei, è questa la verità.
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