And now the situation is very very hard. Ho un altro grande problema e stavolta sono cazzi amari (traduzione, sempre per gli amici). Oggi pomeriggio devo (sì, ce la posso fare) andare a parlare col mio professore di Gestione della Produzione e Logistica Aziendale (solo a pronunciare il nome dell’esame mi sale un conato di vomito, come quando ho avuto la malsana illuminazione di assaggiare un’aletta del Mc Donald’s, che stava al caldo da un po’ troppo tempo) per convincerlo a farmi la grazia. Sì perché certi professori hanno tra le mani più potere della Madonna + Gesù Cristo messi insieme, e lui è uno di quelli. Non so come, ma sono arrivato al punto che mi manca soltanto il suo esame e la tesi. È vero, sono un po’ indietro con gli anni (pure se sembro giovane), ma, considerato che l’informatica mi fa ribrezzo (come i nomi degli esami che la compongono, e le alette scadute), considerato che l’ho abbandonata e ripresa almeno 7 volte, che sono andato via di casa e tornato, che ho cominciato a lavorare ovunque e a qualunque orario e salario, che intanto ho pubblicato un libro e che quando scadrà quello splendido (e un po’ agghiacciante, a dire di qualcuno) conto alla rovescia in alto del blog, i libri pubblicati saranno 2, che i miei progetti (perché i sogni sono altri, ma comunque anche solo realizzare quelli sarebbe un sogno) non prevedono l’informatica, né una qualunque di quelle riluttanti righe di codice, né un solo tag da ricordare, stare in piedi qui, sul culmine della disumana montagna che ho scalato, senza ancora essermi buttato di sotto, è già una gran fortuna. È chiaro che, finché avrò l’università aggrappata alla schiena come un carico di incudini, resterò legato a una realtà che sento estranea da troppo, poi da qualche mese a questa parte non mi appartiene più per niente. E allora, visto che non riesco a studiare, per via del tempo, della voglia, dei conati, ho deciso di rivolgermi al professore con quelle che da molti sono definite scene pietose, tipiche del classico caso umano, che ho deciso di interpretare. Così gli ho scritto un’e-mail terrificante dal punto di vista dell’autostima a cui lui ha risposto (miracolo!) con un’e-mail terrificante dal punto di vista delle speranze, bacchettandomi un po’, ma dal finale incoraggiante in cui mi invitava a recarmi in facoltà nel suo orario di ricevimento, ma dopo il 17 perché prima era impegnato in convegni (ai Caraibi). Oggi è mercoledì 17 (lo so che avete anche voi uno straccio di calendario appeso al muro e che non è proprio una data propizia, però è la prima utile) e il suo giorno di ricevimento è il mercoledì, ne consegue che oggi pomeriggio vado.
Non so bene come si evolverà la discussione. I bookmakers americani quotano a 500 la possibilità che lui mi stenda con un ebete sorriso il blocco per verbalizzare un generoso e regalato 18, mentre a 0.2 quella che io a metà della informale chiacchierata esploda in un pianto disperato inzuppando di lacrime scrivania, carte, tastiera e costringendolo a chiamare i pompieri per salvare il salvabile del suo studio. Voi incrociate le dita perché io non sono proprio bravissimo in queste cose, ma ‘sta storia deve finire! (come diceva la vecchina, ex vicina di casa (ex per due motivi: primo mi sono trasferito, secondo è morta) quando da piccoli facevamo baccano nel piazzale e, vi giuro, ci tirava i secchi d’acqua bollente dalla finestra).
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