Questo è il pezzo che non avrei voluto scrivere mai. Perché avrei voluto essere più forte.
Nei giorni precedenti alla consegna del testo definitivo de La famiglia X non ho avuto un solo attimo per pensare. Di giorno lavoravo in libreria e di notte editavo il manoscritto. Rincorrevo il tempo. La mia testa era popolata da Michael, i suoi due papà Davide ed Enea, Zoe, la signora Guerra, la professoressa Smith pure mentre facevo la spesa, e non mi importava di nient’altro che delle loro vicende.
Dopo aver inviato il testo alle editrici, sono rimasto seduto sul letto, con la luce spenta, ad ascoltare il rumore del mio respiro. In quel momento ricordo di essermi domandato per la prima volta se fossi pronto a pubblicare quel romanzo, a subirne le conseguenze. La storia dell’affido di un minore a una coppia di due uomini non poteva non scatenare contro di me la violenza verbale di chi sostiene che la famiglia è una sola: quella composta da un uomo, una donna e dei figli. Tutte le altre sono formazioni umane non chiare, quel che è certo pericolose.
Ci ho impiegato poco a rispondermi: sì, sono pronto. Forse troppo poco.
Il fatto è che quando stai per uscire con un libro ti senti invincibile. Hai superato tutte le difficoltà, hai scritto e riscritto all’infinito. A renderti felice è proprio il non riuscire a spiegarti come tu ce l’abbia fatta ancora una volta. Sono fasi che attraversano tutti gli autori durante la stesura, e superarle dà un senso al lavoro incessante che hai sostenuto, e quindi al tempo sottratto a tutto il resto; un senso alla vita.
Questa forza mi ha assistito e rassicurato; mi ha convinto che nessun intervento razzista, nessun insulto avrebbe potuto scalfirmi. Io li avrei ignorati e sarei andato avanti ogni volta, mi dicevo. Avrei costruito consapevolezza parlando de La famiglia X ovunque ce ne fosse stata la possibilità senza mai offrire la mia attenzione a costoro, affannati a distruggere a picconate una strada che faticosamente l’Italia sta cercando di percorrere: quella dei diritti.
Come previsto, fin dalle prime settimane gli insulti sono arrivati puntualissimi da più canali, a partire dalla mia pagina facebook. Nessuna sorpresa dunque e nessuna risposta da parte mia, neanche agli attacchi peggiori, per esempio quelli che mi davano del satanico e mi invitavano ad ammazzarmi. Quello di cui però non mi sono reso conto immediatamente è che queste parole indebolivano le mie resistenze. Giorno dopo giorno mi sentivo sempre più stanco di leggerle. Finché ho detto basta e ho iniziato a rispondere. A fare i nomi e i cognomi di chi privatamente, protetto spesso da un falso profilo, mi augurava la peggior sorte.
Cito a esempio un episodio che, nonostante i mesi trascorsi, non riesco a mandare giù.
Avevo programmato qualche giorno in Germania per luglio, e allora ho pensato di scrivere al Centro Culturale Italiano a Trossingen per fissare un incontro e parlare del libro. Be’, si può rispondere di sì, si può rispondere anche di no. Ma non si può rispondere così come leggete in alto nello screenshot che ho pubblicato. E se prima pensavo che fosse opportuno ignorare, adesso non lo penso più. Non è giusto restare in silenzio a subire le parole di chi vive ingabbiato dal proprio sottosviluppo sociale.
Sappiate che difenderò La famiglia X dagli insulti, dalle parole affilate, dalle censure. Lo farò dal vivo, incontro dopo incontro, in ogni luogo dove mi sarà consentito parlare. Mettetevelo in testa!
Forse riuscirete a farmi saltare una o due presentazioni, a colpire il mio umore, a farmi vacillare. Ma mi rialzerò e ripartirò.
Io quello che penso lo dico con un microfono in mano, guardando negli occhi la gente, guardando negli occhi anche voi, che però, davanti a me, non avete il coraggio di dire niente. Aspettate di tornare a casa per accendere il computer e, nascosti dietro un vetro, riprendere gli insulti.
Sì, questo è il pezzo che non avrei voluto scrivere mai perché tradisce una debolezza, ma sono umano anch’io e adesso dico basta.
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