Quando stamattina ho acceso il telefono, ha iniziato a mitragliare tutti i suoni delle notifiche. Quella di WhatsApp, quella del Messenger di Facebook, quella degli sms, e ancora WhatsApp e Facebook. Non finiva mai. Che cacchio succede, ho pensato. Mi sono preoccupato.
L’ho capito quando ho iniziato a spulciare i messaggi. Erano tutti auguri.
Voglio organizzare una bevuta, una cena. Le solite cose che si pensano quando di giorni ne mancano un po’. Solo che poi puff; la quotidianità strapiena deve aver relegato il mio compleanno in qualche angolino remoto della mente. E io me ne ero dimenticato!
Mi sarebbe piaciuto guardarmi da fuori, mentre leggevo gli auguri e continuavo a ripetermi Matte’, ma come hai fatto? e mi scappava da ridere. Scordarmi del mio compleanno. Non mi era mai capitato prima. Devo aver avuto una delle mie espressioni ebeti; quelle che non ti vengono le parole, che ti senti ingenuo, un po’ scemo.
Me lo sono spiegato riflettendo sulla mia vita di adesso.
Mi sto mettendo a dura prova, quotidianamente. Poi Flegetonte e i trentasette gradi previsti a Firenze non aiutano. L’ultimo periodo è stato più faticoso del precedente e si rivelerà meno faticoso dei prossimi mesi. Lo so già, e questo da un certo punto di vista è un vantaggio.
Ce la sto mettendo tutta per fare bene, anzi benissimo, tutto quello che mi permettono di fare. Dare cento se posseggo cento, e mille se posseggo mille, per vedere cosa succede quando dai tutto. Se è davvero comunque inutile, come dicono, perché se non conosci qualcuno lascia perdere in partenza, oppure se si arriva da qualche parte, come invece penso io.
Da quando vivo lontano fanno tutti il tifo per me. Forse lo facevano anche prima, ma ora lo manifestano di più. La distanza fa miracoli per certi rapporti. Mi incitano a inseguire i miei obiettivi, mi fanno notare quello che ho ottenuto finora, quello che potrò raggiungere se non mollo. Mi dicono di resistere, perché dove sono io può succedermi di tutto, mentre a L’Aquila niente, ma proprio niente di bello.
E’ un percorso solitario, il mio. Fatto di tante voci che però, com’è normale che sia, si spengono appena chiudo la porta di casa. Sarebbe bello portarvi tutti a vivere con me, per colmare questo silenzio amico, ma ci ritroveremmo dinanzi a una serie di complicazioni mica male. Servirebbe una casa più grande, un palazzetto praticamente, con decine di bagni però. E quindi quando sono solo, e non sono così stanco, mi fermo a pensare a tutte queste vostre parole che mi infondono il coraggio di andare.
Come se dovessi arrivare chissà dove, poi. Come se dovessi fare milioni di chilometri, scalare le montagne e la società.
Io sono contento che voi pensiate che sia nelle mie possibilità qualunque cosa io desideri. Ma oggi, in questo giorno particolare, che io stavo lasciando passare inosservato, oggi sì, voglio ringraziarvi doppiamente. Per gli auguri, così tanti, e perché, grazie ai vostri messaggi in tutte le forme che avete scelto per inviarmeli, ho capito che non è tanto quello che farò, ma quello che ho già fatto ad essere grande, anzi grandioso.
E questo, per un neo trentaquattrenne, mi pare un bel punto di ripartenza.
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