Traiamo le conclusioni

Ieri notte tornavo tutto allegro (avevo un’ansia che non potete immaginare, a camminare per quelle strade desolate con gli elicotteri nel cielo e un posto di blocco ogni incrocio, stradina di campagna, anfratto buio (o quella era una coppietta che trombava? Boh, va be’) che ti puntano in faccia una luce accecante e ti chiedono il pass). Con Jack lo squartatore alle spalle mi sarei sentito più tranquillo, insomma non vedevo l’ora di arrivare a casa. Raggiungo il posto di blocco. Devo mostrare ancora una volta il pass.
“Dove va?” mi domanda sospettoso questo tipo massiccio che pare Arnold Schwarzenegger ai tempi di Terminator e i suoi sequel. “Torno a casa.” “Sì, ma non è che deve giustificarsi. Mi fa vedere il pass e va dove vuole.” Ma è idiota questo?! “Non mi sto giustificando. Mi è parso di udire la domanda Dove va? e ho risposto, ma devo essermi sbagliato.” “Senta, dov’è che abita?” “Vede la casa coi mattoncini gialla e marrone?” “Questa qui, a dieci metri?” “Esatto!” “Eh, la accompagno io in volante.” “Ma è così vicina, sono arrivato, non si preoccupi!” No, in una volante no! “Se vedono uno vestito di nero (cos’ha questo contro il mio look anni ’90?) che all’una e mezza di notte passeggia nella zona rossa (e scusate se ci abito) non sia mai che si alzino gli elicotteri e gli sparano.” Oddio! “In tal caso, salgo!”
Non mettevo piede su una volante della polizia da quando, a quattro anni, cogliendo un momento di distrazione di mio nonno, penso bene di mettermi a camminare finendo a piazza Duomo con tutti quegli uomini grandi e donne possedute dalla smania di accaparrarsi i pomodori, seppur in decomposizione, a pochi centesimi al kg, che sgomitano nell’affollatissimo mercato, che ora non c’è più. Mi sono avvicinato a un poliziotto e gli ho chiesto: “Dov’è mio nonno?” e lui mi ha riportato a casa dei nonni in volante. Ha acceso pure le sirene e io ero eccitatissimo, mentre a mio nonno, poveretto, gli era quasi preso un infarto. Mi manca molto mio nonno, ma non è questo il punto ora.
Dieci metri arrotondati per eccesso, in una volante della polizia. Non ho fatto in tempo a salire che era già giunto il momento di scendere. Li ho salutati. Sono stati gentili – è vero – ma è una situazione paradossale. Sembra una guerra, questa. Il controllo militarizzato di ogni passo. Mi sono rintanato in casa che mi mancava il respiro. Fortuna che oggi è l’ultimo giorno anche se le misure di sicurezza permarranno fino al 12 mattina. Stamattina è partito il corteo dei No Global che da Paganica raggiungerà il centro storico promettendo una manifestazione pacifica e senza scontri, nel rispetto del dolore della nostra città. La loro sarà anche una manifestazione per trasmettere quanto più calore possibile agli aquilani. Sì, però si portano dietro mazze, coltellini, spranghe e bandane per coprirsi il volto, qualora scoppiasse una sommossa contro le forze dell’ordine che li controlleranno a vista.
Traiamo le conclusioni. Pare siano stati trovati accordi molto importanti per l’economia del nostro Pianeta, soprattutto per quei paesi in via di sviluppo a cui, questa crisi mondiale, ha succhiato via tutto quel poco che avevano. Sono le solite cose che si dicono dopo questi importanti vertici. Ve lo immaginate Berlusconi a gran voce: “Il G8 non è servito a niente, siamo tutti punto e a capo!” che secondo me, in termini di veridicità, sarebbe comunque un’esternazione più vicina alla realtà delle cose?
Prima di andare via, i grandi del mondo hanno deciso di prendersi degli impegni concreti scegliendo monumenti da adottare per occuparsi della loro ricostruzione. Il governo di Zapatero ad esempio ha deciso di offrire cinquanta milioni di euro per recuperare la Fortezza spagnola, costruita nel 1539 a spese degli aquilani che dovevano farsi perdonare la rivolta di dodici anni prima. Michelle Obama (per conto della presidenza degli Stati Uniti) ha scelto di finanziare la ricostruzione della chiesa di Santa Maria Paganica. Il governo russo ha deciso di adottare, con quattro milioni, la chiesa di San Gregorio Magno, della quale è rimasto in piedi solo un pilastro. Sono nove, fino ad oggi, i Paesi che hanno detto sì all’offerta italiana. Francia, Germania, Canada, Giappone, Gran Bretagna, Russia, Stati Uniti, Spagna e anche la lontana Australia, che spenderà un milione per restaurare il seicentesco oratorio di Sant’Antonio. Non solo le chiese sono in sofferenza. L’economia aquilana si reggeva sull’università, con quasi trentamila studenti. Troppi giovani sono morti nella Casa dello studente e nelle stanze in affitto. Sono crollati anche i palazzi dell’ateneo, le aule, i laboratori di ricerca. Il premier canadese Stephen Harper mercoledì mattina ha visitato questo ateneo ferito e ha deciso di finanziare con quattro milioni di euro un nuovo campus universitario. Il giapponese Taro Aso (assieme alla ricostruzione della chiesa di Sant’Agostino) offrirà un centro sportivo e una nuova sala da musica. Fino ad oggi ci sono impegni (sia stranieri, sia italiani) per quattordici recuperi e promesse di altre sette adozioni. Restano in attesa di affetto e di milioni ben ventotto palazzi, chiese, teatri, torri e monasteri. Secondo i conti della Protezione civile, per il restauro di tutte queste opere, servono trecento milioni.
Io sono abituato a ringraziare anche per una briciola, quindi ben venga tutto questo. Ma i veri eroi non sono Obama né la Merkel (figuriamoci Berlusconi), e loro lo sanno bene. I veri eroi sono coloro che combatteranno una battaglia che si annuncia lunghissima e forse senza vincitori, la battaglia della vita, per restituire a L’Aquila un’identità tangibile. E non importa se ci vorranno dieci o venti anni. Li ammiro perché i frutti probabilmente non faranno in tempo neanche a gustarli, ma stanno cambiando la Storia, queste piccole persone di montagna che non si arrendono mai.

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