• Ieri sera Firenze era bellissima. Non che gli altri giorni non lo sia, ma ieri sera di più. Anzi, maestosa, come direbbe il bambino dei cigni. Per lui i cigni sono maestosi e non c’è verso che siano altro. Non grandi, bianchi, eleganti. Nulla di tutto questo. Maestosi. Fissava quel cigno ipnotizzato, poi si voltava ad ammirare i fuochi nel cielo e di nuovo gli occhi al cigno che giocava con l’acqua. La gente si è riversata sulle strade per festeggiare San Giovanni, il patrono di Firenze. I ponti della città e i lungarni da lontano sembravano canali percorsi da formiche che si fermano quando arrivano a una buona visuale sull’Arno, da cui sarebbero partiti, di lì a pochi minuti, i fuochi. Mentre tentavo di raggiungere il ponte che sta dopo il ponte che sta dopo ponte Vecchio (non ponte Vecchio, non quello dopo, l’altro ancora, insomma. Come si chiama leggetelo sulla cartina),  sono stato quasi investito da due scooter che sfrecciavano sul marciapiede, nella direzione opposta. Mi hanno anche urlato contro qualcosa. Ed io che ero rimasto all’idea che sui marciapiedi i pedoni potessero sentirsi tranquilli, senza temere di perdere l’uso di una gamba sotto un cerchione all’improvviso. Invece Firenze dev’essere regolamentata da un codice della strada alternativo.  Ho notato, per esempio, che ai semafori, quando scatta il giallo, le automobili inchiodano. Per il sottoscritto, che ha sempre cercato di sfruttare pure i primi decimi di secondo del rosso pur di attraversare e non dover aspettare ancora, è una cosa strana, questa che, alla prima occasione, lo porterebbe di certo in groppa all’utilitaria antistante. Nonostante l’immagine di cavallerizzi e cavalli rievochi pensieri sessualmente stuzzicanti, in tal caso non credo che ne godrebbe particolarmente né la mia Matiz verde acqua né tantomeno quella del tipo che come minimo mi spacca la faccia a pietrate focaie. Un’altra cosa strana che ho notato – strana sempre per il suo essere aliena dalle mie abitudini, come sarebbero strane le dimissioni di Berlusconi o l’ascesa al Paradiso del signor sua maestà illustrissima Benedetto Papa –  è legata alle strisce pedonali. Hanno un potere sugli automobilisti fiorentini che neanche il Triangolo delle Bermuda coi vascelli risucchiati. Se sul ciglio di una strada, può essere una qualunque, anche una tangenziale su cui sfrecciano come razzi (un’autostrada è poco calzante come esempio. Non mi pare di aver mai visto strisce pedonali in autostrada, che se accosti per soccorrere un’automobile incidentata e ti beccano, ti levano la patente finché campi ( e dubito che te la ridiano nell’Aldilà). Per la serie: Hai appena fatto un incidente in autostrada? Muori pure e grazie per aver scelto Autostrade per l’Italia!) appoggi il piedino sul bianco della prima striscia pedonale, l’automobile in arrivo si paralizza e scorgi un sorriso dietro il vetro che ti fa cenno di passare. Io, quando guido, tendo all’abbattimento degli ostacoli che bloccano il passaggio. Trovo sia una pratica veloce e logica. Io devo passare lì, tu stai in mezzo alle palle, io ti abbatto. Lo diceva anche un proverbio che parlava di sbarazzarsi dei macigni che impediscono di procedere sulla strada della vita. Io lo faccio pure con le persone e non è che stia a badare se il terreno sotto i loro piedi sia tutto nero oppure zebrato.
    Ho visto anche giovani sull’autobus cedere il posto agli anziani che non sempre gradiscono il generoso gesto. La vecchia di stamattina a Stefano (che c’è venuto a trovare da Avezzano, grazie per la giornata e per il flurry smarties!) che si era alzato per farla accomodare, ha risposto: “No grazie, sto meglio dritta!”
    È per questo che io non mi alzo mai, quando sto sull’autobus. Anche perché pure io comincio ad avere una certa età che, tra pochi giorni, verrà incrementata di un’altra unità. E io a festeggiare resto qua. Me lo devo.

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  • Ero abbastanza sicuro che questa cosa di Berlusconi capo del governo fosse una specie di finzione teatrale. Lo scherzo più lungo nella storia di Scherzi a Parte. Che i risultati delle votazioni fossero tutte le volte (perde quello, guadagna quell’altro, si scioglie quel partito, si uniscono quegli altri sedici. Gira che ti rigira non cambia niente) il frutto di un divertente gioco che sarebbe finito prima o poi con un: “C’eri cascato eh?! Ora andiamo a votare sul serio, dai!” e invece no. Mi dispiace dare questa notizia a chi, come me, sperava di risvegliarsi, ma è tutto vero. Berlusconi esiste ed è il nano che vedete ogni giorno ovunque guardiate. Il viscido delle false promesse. L’atroce sorriso disumano che rassicura e ipnotizza le masse. In questo, come in tante altre cose, tipo fare soldi, lui che, come spesso racconta, ha creato la sua fortuna da un’arancia (di tutta risposta io ho iniziato a farmi le pere) è bravissimo. È stata un’amara scoperta venire a contatto con gente che la pensa come lui. Ho scoperto che esiste gente che afferma con convinzione che è giusto che gli aquilani si ricostruiscano le case che hanno perso, a loro spese. Non che Berlusconi l’abbia detto direttamente, ma l’ha fatto scrivere nel suo ammirevole decreto. Il terremoto non è colpa di nessuno, tantomeno dello Stato. Tu hai speso trecentocinquantamila euro per comprarti un appartamento? I soldi di una vita (qua ci sta bene). C’hai pagato le tasse per venticinque anni? (Tasse mi ricorda un po’ Stato, comunque…) Una notte di cazzo si scatena il mondo nel terremoto più forte del millennio e casa tua si sbriciola? Beh, che aspetti, ricostruiscitela tu, perché lo Stato ha altre necessità. Allo stato i soldi servono. Se no Berlusconi con cosa glielo compra il regalo dei diciotto anni a Noemi? Come fanno i parlamentari a fare merenda con la schiacciata dal fornaio, se qualcuno dovesse osare ridurgli di un pelino pubico i quindicimila ++ euro al mese che prendono per russare come maiali sulle poltrone vellutate, senza neanche conoscere i congiuntivi?
    C’è gente, e ve lo dico perché c’ho parlato, che è convinta che sia tutto giusto così com’è. Che si unisce al grido di: “Berlusconi ha ragione!” mentre tutto il mondo dei media lo sta prendendo per il culo per quello che dice e che fa. Io mi vergogno un po’ di essere governato da uno zimbello mondiale. Mi vergogno e mi dispiace di non poter chiamare l’Italia un paese civile. L’Italia è un gigantesco circo e la gente paga cari i biglietti per assistere allo spettacolo, di lorsignori giocolieri che si arricchiscono godendo dei disastri, che portano nelle loro tasche pubblicità e voti.
    Ah, poi ho scoperto pure che il terremoto aquilano non è l’unico sfacelo mondiale. Ho scoperto che esistono cose tipo la guerra o la fame, e i bambini che in Africa muoiono con le pance gonfie di malaria, senz’acqua. Ho scoperto che l’ecosistema terrestre è corrotto da tempo e che presto schiatteremo tutti perché il nostro pianeta ad un certo punto s’incazzerà di brutto e ce la farà pagare. Poi magari arriva una meteora e chiude il discorso. Io non le sapevo proprio tutte queste cose. Io pensavo che esistesse soltanto il terremoto aquilano, pensate un po’. Fortuna che qualcuno me l’ha fatto notare altrimenti non l’avrei mai immaginato. Vedevo il mondo attorno come una specie di paradiso terrestre e la nostra Italia il punto nero da spremere o in caso estremo asportare chirurgicamente, per ritrovare la perfezione perduta.
    Avete presente quelli che, mentre tu parli di X e Y, e di quanto a tuo avviso sia grave la situazione che li lega, alzano la mano e con fare saccente rispondono: “Voi state qua a parlare di X e Y quando nel mondo muoiono i bambini, ci sono gli tsunami, esplodono le bombe in mano alle madri innocenti…”
    Ho forse detto che la questione di X e Y è meno grave delle madri senza mani? No. Sto semplicemente affrontando la questione del terremoto. Sto guardando questo pezzo di realtà. Per farlo debbo prima accertarmi che sia meritevole di discuterne, che sia per gravità superiore a quanto affligge il resto dell’umanità? Cosa c’entrano le guerre e le carestie?  
    Trovo sia intelligente seguire un discorso e, se si sente il bisogno di parlare, alzare la mano e dire una cosa sensata e soprattutto C-O-L-L-E-G-A-T-A. Altrimenti state zitti. Non voi, lettori del blog. Mi rivolgo ai vanverini che sono come le vecchie che, con l’arrivo della primavera, si accucciano agli scalini di pietra della loro casetta di paese e parlano a vanvera. Mica uno deve parlare per forza. Trovo.

    Scrivi un commento →: C’è gente che la pensa come Berlusconi. L’ho vista.
  • Sono in doccia, squilla il cellulare.
    “Mattè, il telefonooo” grida Niccolò. “Vedi chi èèè” urlo da dentro la cabina doccia. “Milano!” “Oddio!”
    Mi credete se vi dico che nell’arco di una giornata può non squillare mai? Certe volte dimentico di averlo, un telefono. Ci sono giorni in cui fatico a ricordare che suoneria abbia, nonostante sia la stessa da cinque anni e nove mesi (i primi tre mesi le cambiavo pure). E giorni in cui do una gomitata a quello vicino e gli dico: “Scusa, sono venti minuti che ti suona il cellulare”. Mi becco di risposta uno sguardo furibondo perché da venti minuti stava pensando la stessa cosa del mio telefono e, con tono ascendente: “Guarda che è il tuo. Anzi, se puoi rispondere…” Cazzo non lo dice, ma lo pensa.
    A proposito, auguri al mio Sharp gx10i che a metà giugno ha compiuto sei anni. Un degno erede del Nokia 5110, il primo cellulare trasformista. Quello pubblicizzato dal venticinquenne con la camicia verde pisello e il Nokia violetto che s’innamora della ragazza della porta accanto col Nokia verde pisello e la gonna dello stesso violetto. Fanno a scambio di cover e vissero insieme felici e contenti. Ve la ricordate? Non credo. Io, che dello spot ho immagini molto vaghe, ho dovuto ricorrere al sacro fuoco dell’artificiosa arte immaginifica per ricostruirla.
    Quel meraviglioso regalo dei diciotto anni non ha davvero potuto fare di più. Dopo quattro anni era arrivato al punto che per farlo reagire agli stimoli bisognava esercitare una pressione sul piccolo monitor a cristalli liquidi. Sempre più forte, come quando assumi costantemente un farmaco e l’effetto nel tempo diminuisce, se non aumenti la dose, così le pressioni. Finche sono scoppiati i cristalli in un: “Nooo!” della folla partecipante. Comunque quei due adesso avranno suppergiù cinquantotto anni e continuano imperterriti a calcare le scene della pubblicità. Lei della crema anti invecchiamento a base di cetriolini Mc Donald’s (ve li raccomando). Lui è stato preso per interpretare il nonno che cade dalle scale nel nuovo spot di Euronics e dell’ottimismo che sarebbe il profumo della vita.
    Ecco cos’era la puzza che si respira in Italia da qualche anno a questa parte. Non la spazzatura che Berlusconi ha spostato da Napoli a Palermo. È proprio lui che puzza. Non perché non si lava. Questo non posso dirlo, non ho avuto mai il piacere di averlo ad una distanza tanto ravvicinata da afferrarne l’odore e, perché no, la solita spranga dimenticata dal mostro di Firenze e colpirlo su quella capa di nano coi capelli color terra di siena bruciata. È la sua esistenza che puzza. Il suo potere che soffoca gli italiani. Le sue parole vergognose ai funerali di Stato delle vittime del terremoto, per esempio: “Giuro su queste 300 tombe che gli aquilani riavranno le case che hanno perso”. Arrivano le elezioni e gli abruzzesi si riversano al voto per rimpinzare i consensi del Premier, fiduciosi che possa riportare la luce sulla loro terra, neanche fosse Gesù Cristo. Berlusconi arraffa il cinque per cento in più delle ultime Politiche e decide che, ora che ha vinto, è il momento di rendere pubblico il tanto discusso decreto. Ebbene, chi ha perso la prima casa avrà un contributo dallo Stato ridicolo. A chi è crollata la seconda casa neanche un centesimo. Abituarsi all’idea di aver perso una casa è senz’altro più facile che accettare l’esistenza di Berlusconi e giustificare la perseveranza di Madre Natura nel non causargli la morte per soffocamento da ananasso fuori stagione. Perché non si può fare un giuramento su 300 persone morte e anche lì prendere per il culo. Lì no. lui sì.
    Intanto alle 23.16 ha fatto una scossa di 4.6 che ha terrorizzato gli aquilani. Come si può firmare un’ordinanza che costringe chi ha la casa agibile a lasciare le tendopoli? Non credo che uno scelga la tenda perché vuole riscoprire la giovane marmotta che è in lui. Uno se sta in tenda è perché ha paura. Una paura ragionevole, considerato che le scosse sono tutt’altro che finite. Anzi, aumentano d’intensità. Il signor sindaco Cialente sta bene o è impazzito appresso a Berlusconi? Ha paura che finiscano i pacchi di pasta e zucchero e le conserve per i pasti degli sfollati? E tutti quei fondi promessi, giunti, spariti, mai visti, PUFFETE PAFFETE e non se ne parla più? Non bastano per sfamare la gente un altro paio di mesi nelle tendopoli? Novanta mila fantastiliardi di milioni di euro che Berlusconi ha detto sarebbero arrivati a L’Aquila. Finiti già?
    “La scossa, anche se profonda, è stata avvertita molto bene dalla popolazione ma rientra nel quadro dell’evoluzione del sisma” ha detto Boschi, direttore dell’Istituto di geofisica e vulcanologia (Ingv). “Il problema sono le conseguenze di tipo psicologico sulla popolazione perché le continue scosse creano paura e scoraggiamento.” Signor Boschi, lei sarebbe rassicurato? Certe dichiarazioni mi sembrano così idiote. E poi si è parlato per mesi della prevedibilità, dei segnali che possono far presagire e l’unica cosa che è arrivata come certezza è che i terremoti non si possono prevedere, quindi state tranquilli… E ora il signor Boschi dell’Ingv ci dice che la scossa di 4.6 (ragazzi, è una botta che ti ricuce la fessura del culo in un nanosecondo) rientra nella normale evoluzione del sisma quindi state tranquilli…? I terremoti non si possono prevedere, però si possono prevedere le evoluzioni? Com’è ‘sta storia? E che ne so io che fra un mese e mezzo non ne fa una di 7?
    Mi dispiace per mia madre che stasera era da sola in tenda perché mio padre e mia sorella sono in viaggio da Trieste. Bella chiusa a sette catenacci, come dice lei, perché ha paura degli sciacalli che potrebbero farle del male. Allora, come ogni sera, ha legato i cordoni dall’interno che pure Lupin avrebbe trovato non poche difficoltà. Dopo la scossa non riusciva a uscire e l’hanno dovuta soccorrere e liberarla dall’esterno, poveretta. L’ho chiamata, mi ha fatto consumare tre euro e venticinque centesimi (la totalità del mio credito) per dirmi che si muoveva tutto e che sembrava che il telone della tenda volesse risucchiarla e digerirla. Lei ama condire le vicende col suo ingrediente segreto di estrema tragicità, frutto dei tre anni di appassionata visione di Nel segno del giallo.
    Comunque quella di stamattina era l’unica telefonata che aspettavo, il loro numero. Doveva arrivare entro un mese è arrivata dopo otto giorni. Li ho contati. Come quando conti i giorni che mancano alla partenza o il tempo che ti separa da un incontro atteso. Niente d’importante, per ora. Per me è importante ciò che esiste, non l’ipotetico. Sono felice di dover cambiare di nuovo i miei programmi. Non torno più giovedì, ma direttamente il primo luglio, sperando di portare con me la buona speranza che mi ha attraversato oggi e che motiva la mia permanenza. A mia madre, che non torno, ancora non gliel’ho detto. Non era la serata giusta.
    Un’altra scossa all’una di 3.1, proprio come nella notte del sei aprile.
    Facciamo che vado a dormire e alle tre e trentadue non succede niente, eh! Perché, se no, altro che prevedibile e non prevedibile; ‘sto terremoto è un orologio svizzero.

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  • Mi sfilo i guanti di lattice da infermiere. Provo ad inalare il residuo bianchiccio che lasciano sulle mani. Non si sa mai che sia cocaina. E invece no, perché sono ventisette minuti che starnutisco con violenza maledicendoli. Non pensate che sia così banale da essermi fatto giustizia da solo. Il sacrosanto omicidio della Bellocchio ha poco a che vedere coi guanti. È ancora a piede libero a promettere cornetti, caffè e giretti panoramici per Viareggio in cambio di qualche copia venduta. Sono felice di annunciare a lei e a tutti i suoi (comprati) lettori che la sua opera d’arte Sono io che me ne vado, sta per aggiudicarsi il premio Soldi buttati 2009. Ricordiamo gli illustri precedenti. Fiorinello Bocciolodoro con la sua autobiografia ufficiale (autoprodotta) dal titolo Autobiografia ufficiale, e Paola e Chiara con Amici come prima, poi giri pagina e trovi scritto mi costa una fortuna, poi giri pagina e ancora: riuscire ad ammettere che… Ecc.
    Miglior debutto Violetta non poteva immaginarlo. Se qualche curioso decidesse di acquistarlo, nonostante io sia disposto a mettermi in ginocchio sui vetri di un porcello swarovski infranto, pur di distoglierlo dal farlo, che lasci pure perdere le allettanti offerte corporali della nipotina del conosciuto e talentuoso regista, e venisse da me che io il suo libro glielo regalo. Se potessi, lo rivenderei pure per svoltarci un paio di euro, ma dubito che troverei qualcuno disposto a pagare. In fondo è seminuovo, tenuta perfetta, carrozzeria intatta e senza neanche una pieghetta. Io il segno lo tengo col segnalibro, che non dev’essere necessariamente di quelli sofisticati con i pelucchi e i cordoncini all’estremità tipo gli orli delle tende, che costano più del libro. Può essere anche un foglietto di carta, ma, vi supplico, niente pieghette e niente sottolineature. Pur volendo, a quello della Bellocchio, cosa vuoi sottolineare? L’unica frase degna di nota è quella sulla compassione che sapientemente hanno appiccicato in copertina. Le ultime pagine sono ancora illibate e legate fra loro da quel velo di leggerissima attrazione molecolare tipica dei libri neanche sfogliati, e temo che lo rimarranno.
    In questo periodo ho qualche problemino ad espellere residui solidi. L’intestino si è un po’ impigrito e molti mi hanno consigliato di utilizzare il libro della signorina come purga. Il fatto è che Sono io che me ne vado non fa cagare, purtroppo, ma vomitare, che è molto diverso. Io di vomitare non ne ho gran che bisogno, però magari qualcuno sì. Pertanto lo consiglio a chi ha la febbre, a chi è ubriaco e sta male e a chi ha scelto la strada della bulimia e la porta avanti con coraggio e determinazione.
    Facciamo un salto nella buona letteratura. Lui si chiama Vanni Santoni ha 31 anni e dopo Personaggi precari tratto dal suo blog, ha pubblicato l’anno scorso Gli interessi in comune per Feltrinelli. L’ho intervistato questa settimana. Le 4 chiacchiere (contate) che ho scambiato con lui le trovate naturalmente nella pagina della rubrica, su SoloLibri.
    A cosa mi servivano i guanti di lattice?!
    Ho appena finito di igienizzare il cesso. Oggi abbiamo fatto le grandi pulizie. Non così grandi. Abbiamo restituito aria e vivibilità a questa casa. Una sorta di questione di vita o di morte, e noi abbiamo scelto di vivere.

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  • Ho nuovamente rinviato il ritorno a L’Aquila di una settimana. Riparto giovedì prossimo. Ci sono sempre più motivi per restare e si sono esauriti quelli che dovrebbero spingermi ad andare via. Ora c’è bisogno di stabilire delle regole ferree. È l’unica soluzione al problema degli obiettivi non raggiunti. Così, almeno finché sarò qui, passeremo le nostre giornate alla biblioteca delle Oblate a Firenze a spremere i cervelli. Mi sto accorgendo che siamo diventati bravissimi a parlare, ma, quando c’è da stringere, andare al sodo, dimostrare, darci sotto e via dicendo – per sottolineare lo stesso concetto – continuiamo a lamentarci e a rimpiangere i giorni che furono e le scelte toppate e quello che eravamo, come se avessimo settantanove anni, giunti alla fine, a commentare un fallimento definitivo. Con tutto il rispetto per i settantanovenni. Che poi non è mai troppo tardi. Fa riflettere la storia di Cesarina Vighy, autrice de L’ultima estate, pubblicato da Fazi e vincitore del Campiello Opera Prima e finalista allo Strega. Ebbene, lei ha settantatre anni e questo è il suo esordio. Quindi neanche a dire che c’è un tempo limite entro cui chiudere il cerchio delle cose. Questo per dirvi che se qualcuno passasse di lì (alle Oblate) in questi giorni, e dovesse riconoscermi  – oggi avevo un’accecante maglietta giallo sole, presa alla Coin per nove euro e novantanove, domani non so – è pregato di venirmi a salutare. Poi, se mi è simpatico, gli concedo anche il lusso di offrirmi un caffè.
    Ieri siamo passati davanti alla cantina dove suonavano i Litfiba. Me l’ha fatta notare Niccolò. Non che me ne fregasse qualcosa, ma come dice lui: “Tu su queste stronzate ci scrivi i post e quindi…”
    Sul muro, oltre agli innumerevoli messaggi d’amore lasciati dai e dalle fan, che l’avranno leccata con la lingua, quella parete, ce n’era qualcuno dispiaciuto e un po’ incazzato perché, dopo aver attraversato mezza Italia, a dir suo, era arrivato lì e non gli aveva aperto nessuno. Ma ci abitano? Sicuro che Piero Pelù fosse in casa? Magari era andato a lavare il fuoriserie o a portare il suo codino a fare la toeletta. Un po’ di comprensione per chi lavora, dico io. Poi cos’è quel modo di imbrattare i muri? L’avessero fatto a casa mia li avrei querelati uno per uno. Dopo il pomeriggio di studio, siamo andati alla partita di pallavolo Italia-Usa al Mandela Forum, valida per la World League. Non eravamo proprio in prima fila, ma dotati del telescopio spaziale Hubble riuscivamo addirittura a seguire la palla. Scherzi a parte si vedeva benissimo. Il panino di due chili e mezzo con centotrenta grammi di salame toscano sullo stomaco non mi ha impedito di esultare ai punti, fare le ole e sbattere i piedi sui gradoni insieme a tutto il palazzetto, mentre quelli non indovinavano una battuta. E infatti hanno perso. Mannaggia a loro.
    Volevo chiudere facendo i complimenti alla nostra nazionale di calcio che ieri ha onorato la maglia azzurra perdendo 1 a 0 con la temibilissima formazione dell’Egitto. Non ho potuto seguire la partita perché il segnale sul digitale era bloccato, però immagino sia stata una prestazione storica. Sicuramente ineguagliabile. Esiste un’altra squadra che è stata capace di perdere con una compagine di mummie e cammelli? Io non sapevo neanche che l’Egitto avesse una squadra di calcio, comunque. Ora possiamo tirare un gran sospiro di sollievo e andare a giocare contro il Brasile senza la minima preoccupazione. In compenso ho seguito Il secondo tragico Fantozzi su Rete4. La scena in cui lui, mentre fa gli straordinari fino alle tre, viene sorpreso da un metronotte che, scambiandolo per un ladro, gli spara col mitra, resta memorabile.

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  • Dopo la faccenda della Telecom, che mi aveva staccato telefono e internet nonostante l’esistenza di un decreto che esenta gli aquilani dal pagamento delle bollette, mi sono imbattuto nella lettera di Stefano Falone, un ricercatore aquilano che fra l’altro conosco bene, che ha scritto a Repubblica per denunciare l’ennesimo vergognoso accadimento.
    Il 14 giugno, insieme alla sua ragazza, raggiunge suo cugino per il compleanno, ospite al campeggio Salinello a Tortoreto. A differenza di sempre, stavolta, all’ingresso, si ritrova la disarmante richiesta di 5 euro da parte della signorina della reception. Stefano e la sua ragazza spiegano che anche loro sono aquilani e che mai nelle altre circostanze in cui erano venuti a trovare i loro cari avevano dovuto pagare. La signorina risponde che i domiciliati sono liberi di uscire e incontrare fuori dal campeggio chi vogliono, ma l’ingresso per i non domiciliati si paga 5 euro al giorno. A questo aggiunge la sgradevole esternazione: “Ma vi ci trovate tanto bene nella parte?”
    Alla signorina, alla quale, se fossi stato lì presente, avrei fatto del male fisico, prendendola per i capelli e sbattendole la testa ripetute volte contro un palo della luce, vorrei dire che quella che ci troviamo a vivere è una parte che non abbiamo scelto. Non è un film quello dei terremotati, nonostante avrebbe tutte le caratteristiche per esserlo e quasi sicuramente lo diventerà. Non siamo pagati da una produzione televisiva per partecipare alla fiction né, alla fine delle riprese, avremo la nostra vita che ci aspetta. Non vogliamo essere sulla bocca di tutti né dover sopportare la compassione altrui. È terribile quello che è accaduto alla nostra città, alla terra su cui stavano le nostre case, e noi dentro. Lei si deve vergognare di esistere solo per aver detto una cosa del genere. Per rimediare dovrebbe almeno suicidarsi.
    Le auguro di poter capire un giorno, e non è affatto un bell’augurio, questo.
    La lettera di Stefano la trovate per intero sul sito di Repubblica.

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  • 1213b
    In questi giorni stanno tappezzando Roma con i manifesti della nuova campagna pubblicitaria dell’acqua Gaudianello. Come leggete coi vostri occhioni: “Effervesciente naturale. L’acqua con qualcosa in più” e quel qualcosa in più è chiaramente la i di troppo. Chissà se si tratta di un chiaro disegno di marketing. Puntare sullo strafalcione considerato che la Gaudianello non fa fare tanta plin plin né depura l’organismo né è povera di sodio, o portatrice di altre qualità che possano renderla distinguibile nell’infinito mondo delle acque; oppure semplicemente di un errore scappato su decine di migliaia di cartelloni affissi. È curioso che la stessa campagna sia uscita anche sul Mattino di Napoli dove la i non compare. Sarà mica perché a Napoli quando dicono effervescente ce la mettono comunque?  (Pronuncia campana: effervesciiiiiéntè, e chiusa seguita da e apertissima.) Nella versione napoletana io una bella i l’avrei aggiunta pure al nome dell’acqua. Gaudianiello (pronuncia campana: gaudianiiielll avrebbe certamente fatto maggiore presa sui consumatori accattatevillosi. Non è un attacco ai napoletani che mi sono mediamente simpatici. Chi mi conosce sa che io manifesto intolleranza razziale e razzista, molto motivata se pur esclusivamente riferita alla razza, soltanto per i cinesi e un po’ per i coreani.
    A proposto di marketing, oggi ho parlato al telefono con un editore rappresentato dalla voce di una signorina poco credibile che voleva spedirmi a tutti i costi un contratto editoriale.
    “C’è un contributo da pagare per pubblicare con voi?” “Sì, le invio il contratto e lei potrà così valutare.” “A me le sorprese non piacciono. Di che cifre stiamo parlando?” “Le invio il contratto così potrà valutare l’entità dell’esborso…” “No, guardi. Io non ho mai pagato nulla e quindi…” “Eh, ma c’è l’editing da affrontare.” “E quindi?” “Sa cos’è un editing signor Matteo?”
    Chi mi chiama signor Matteo mi fa imbestialire. Non so bene perché, forse perché sono single e nei modi sono tutt’altro che un signore.
    “So cos’è un editing certamente meglio di lei.” “Ecco, allora saprà che ci sono dei costi…” “Ma mi faccia capire una cosa.” “Mi dica signor Matteo!”  
    Ok, un’altra volta e la raggiungo ovunque si trovi e le ficco la cornetta in gola.
    “Lei ritiene che gli autori debbano sostenere economicamente le case editrici un po’ come un cittadino generoso fa col poveraccio che non ha da mangiare sotto casa sua?” “No, è che l’editing costa.” “Anche lei costa, ma non è detto che debba pagarla io, come autore.” “Comunque le invio il contratto così…” “Non le faccio perdere tempo. Non ho mai pubblicato a pagamento e non ho alcuna intenzione di cominciare a farlo ora.” “La nostra proposta rimane valida quindi non esiti.”
    Io non esito, ma tu non esisti. Ho già riagganciato.
    Non mi fa incazzare la politica dell’editore. Finché c’è chi è pronto a sborsare duemila, tremila, quattromila euro pur di vedere i propri 50 fogli rilegati così da poter assomigliare a un libro, spesso di cattiva qualità estetica e letteraria, che continuino pure. Ma quella poveretta (interiormente parlando) pagata (lo spero per lei) per vendere frottole al telefono… Sì. Quella mi fa incazzare. Col tono di una maestrina mi chiede se so cos’è un editing. Poi aggiunge quel signor Matteo che… No.

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  • Mentre aspettavo Niccolò ho comprato Sono io che me ne vado di Violetta Bellocchio. La prima volta l’ho visto alla Martelli. Mi ha colpito per la copertina cattiva. L’ho sfogliato e ho pensato a quanto belle fossero le edizioni della collana Strade Blu di Mondadori. L’ho rimesso al suo posto. Poi è tornato alla mia attenzione per l’idea bizzarra dell’autrice di promuoverlo promettendo in cambio momenti di vita vissuta con lei. Le condizioni sono le seguenti e vi giuro che non è uno scherzo. 
    – Se ne comprate una copia lei vi offrirà un cornetto e un cappuccino al bar.
    – Se di copie ne acquistate tre, lei vi fa compagnia in un contesto sociale: ad una festa, al cinema, a passeggio, a teatro, allo zoo.
    – Acquistatene dalle cinque alle dieci copie e lei vi porterà a pranzo dai genitori, vi farà vedere le foto di famiglia e il tutto si concluderà con lo scambio dei numeri di cellulare.
    – Se toccate le undici copie sarete protagonisti di un tour in sua compagnia per i luoghi che hanno ispirato il romanzo, vi offrirà arrosticini sotto le stelle ed è previsto anche un pernottamento. Vitto e alloggio ovviamente a carico della signorina Bellocchio.
    – Oltre le venti copie vale tutto. Lei non scende nei dettagli per una questione di sede e pudore, ma pare che chi porterà la prova provata dell’acquisto non avrà di che lamentarsi.
    I servizi li trovate meglio specificati nel suo blog. Ho letto una trentina di pagine, prima sotto l’ombra in piedi, appoggiato al muro della Edison, poi sotto il sole seduto su una panchina in Piazza della Repubblica, poi di nuovo sotto l’ombra in piedi. Una panchina all’ombra era così architettonicamente difficile immaginarla? Nell’attesa ho conosciuto un ragazzo del Senegal che potrei dirvi si chiamasse Abdullah, ma mentirei. Non ricordo il suo nome nonostante me l’abbia detto. Mi ha detto che lui di mestiere fa il venditore di libri e lì mi è venuto da rispondergli qualcosa del tipo: “Beato te!” poi l’ho guardato con quella manciata di libri di cattiva qualità fra le mani, i denti gialli e la tunica vinaccio e non l’ho invidiato per niente. Mi ha chiesto di dare un’occhiata, l’ho fatto. Si trattava di pubblicazioni a senso unico. Africa, problemi, vite straordinarie e bambini che non hanno da mangiare e cercano fra la terra nutrimento.
    “Sei di Firenze tu?” Ho pensato che raccontargli tutta la mia storia sarebbe stato lungo, così gli ho detto di sì. “Studi?” “Ci provo, Informatica!” “Ah, informatica!” ha esclamato. “Io sono dovuto scappare dal Senegal.”
    Non ho capito se il suo fosse un tono sorpreso oppure rassegnato. Mi ha detto che lui sta sempre sotto i portici a fare concorrenza alla Edison e ha sorriso. Gli ho detto che la prossima volta, invece che comprarlo dentro, un libro, lo prendo da lui.

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  • Appena due settimane fa, con una circolare firmata dal vice capo del dipartimento ministeriale, Bernardo De Bernardinis, era stata abolita, nelle tendopoli, la somministrazione di caffé, cioccolata e vino. Poco prima, anche le manifestazioni interne ai campi, promosse dalla popolazione, erano state bandite. “Occorre non turbare la quiete degli ospiti” era stato spiegato dagli uffici della Dicomac (il centro operativo della Protezione Civile). Ora anche il volantinaggio è severamente vietato. L’aria che si respira è quella da pieno conflitto mondiale. Le forze dell’ordine sono diventate i veri padroni della città e alla gente non è concesso neanche chiacchierare in pace che d’improvviso arriva uno stronzo qualunque in divisa che deve perlustrare la tenda, perché non si sa mai che una cellula terroristica di Al Qaeda stia covando sotto la brandina in attesa di sferrare l’attacco a Obama l’8 luglio direttamente all’atterraggio.
    In questi giorni sono a Firenze, domani o dopo domani torno a L’Aquila. È un momento che oscillo fra le due città come un pendolo che saprebbe quale estremo scegliere, ma per ora è costretto a tornare indietro e poi di nuovo avanti, in quel movimento che distrugge per l’allontanamento e un attimo dopo consola per il ritrovato cielo. Vorrei fare qualche telefonata e discutere per ore, ma tutte le novità della vita degli altri si scontrano con le risposte che aspetto dalla mia e annullano l’urgenza facendomi sentire eternamente sospeso, in attesa, per quanto altro tempo ancora non è dato sapere. Per questo non chiamo. Non saprei che raccontare e chiedere del nuovo altrui fa piacere, mica no, ma ha su di me un effetto seppur leggero comunque distruttivo, quindi da evitare. Quella del pendolo è una condizione a cui mi sto abituando e che non mi dispiace. La proteggo, la mia vita precaria, e mi spaventano le certezze come non mai, ora. Fuggo alla parola futuro. Si ferma il respiro e un blocco d’aria si condensa sulla bocca dello stomaco e mi paralizza. Sono molto cambiato. La stabilità era un sogno da piccolo. Piccolo nell’età si può esserlo anche a vent’anni. Non che desideri restare vittima di una vita precaria, però, se mi fermo, scende la nebbia.
    Ieri avevo un mal di testa che mi ha ricordato per tutto il giorno che bere così è deleterio e la sera prima c’avevo dato giù di brutto, a partire dal Rum e Cola fatto in casa che di Coca Cola ce n’era giusto un’ombra. Eppure mi sono spremuto il cervello a tal punto che ho rischiato che venisse fuori davvero qualche strano liquame tipo fontanella. Io lo vedrei sul verdino. Ho scritto un articolo importante – se lo pubblicano ve lo dico che lo trovate in tutte le edicole – e pure due interviste. Ieri sera poi ho riso tantissimo. Sono spuntate fotografie di qualche anno fa. Siamo stati fino a tarda ora a commentarle, io Luca e Niccolò. A riderci sopra. A ricordare i miei bei capelli andati. La puzza di patatine fritte che mi portavo dietro alla laurea di Luca, perché avevo fatto una corsa pazzesca dal Mc Donald’s dove lavoravo, per non perdermi neanche un secondo di un momento tanto importante. La maglia nera con la scritta USA bianca, che ancora metto per uscire. Ho riso così tanto che d’un tratto un sollievo inatteso mi ha avvolto. Il sollievo di essermi sempre sbagliato nella vita, tranne che in una cosa, che fa da fondamenta al mio palazzo delle rivincite in corso. L’amicizia.
    Dio che bella che è l’amicizia!
    Il computer brucia le gambe e fuori ci sono 35 gradi che si appiccicano sui vestiti. Stasera festa. A mezzanotte Niccolò compirà 23 anni e noi festeggiamo dal Re della goduria, Pizzaman.
    Telefonate al vostro migliore amico oggi. Ditegli che gli volete bene.
    Saluti amicosi.

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  • Se qualcuno si azzarda a spegnere il ventilatore, giuro che gli faccio una macumba che lo porterà alla morte nelle 24 ore successive. E se mi impegno ci riesco. Ho già dato prova delle mie sensazioni medianiche fatali quando paragonai i miracolati dell’AirBus ai protagonisti di Final Destination, ricordate? [“Io son contento per loro, per carità, però sconsiglierei a ciascuno dei suddetti miracolati la visione di Final Destination che comincia esattamente così. Fossi in loro avrei il culo serrato all’idea che la Morte si fosse già messa sulle mie tracce.] Ebbene Kurt e Johanna Ganthaler hanno mancato per pochi minuti il volo Air France che si è inabissato nell’oceano Atlantico e bla bla bla. Sull’autostrada che dall’aeroporto di Monaco di Baviera porta al Brennero, la coppia di pensionati meranesi, di ritorno dalla vacanza in Brasile, è uscita di strada con l’auto. Kurt e Johanna, una volta arrivati in Baviera, volevano rientrare velocemente a Merano concedendosi solo una breve sosta per la cena. A Kufstein in Austria, però, l’auto è volata fuori strada e per la donna non c’è stato nulla da fare. Non vorrei portare sfiga agli altri miracolati, ma insomma… fate attenzione agli ascensori che precipitano nel vuoto, alle falci appese ai muri dei musei sulla pastorizia, alle scale mobili della Standa che vi si aprono squarci sotto ai piedi e venite risucchiati e stritolati dagli ingranaggi, e alle valvole del gas in cucina. Mi raccomando, quando togliete il caffè dal fuoco, controllate sempre che il gas sia spento prima di sorseggiarlo comodamente sul divano.
    Poi.
    “Gheddafi a L’Aquila ci sarà” dice orgoglioso (di che?) il Premier. Siete contenti?
    Poi.
    Grillo, che i lettori della Stanza sanno non ispirarmi grande simpatia, stavolta m’è piaciuto perché almeno m’ha fatto ridere tornando a quello che meglio sa fare e cioè il comico. Al Parlamento Europeo, nel bel mezzo del suo discorso si lascia andare ad un: “Questo parlamento di amici, avvocati e zoccole…”
    Come dargli torto. Irene Aderenti, senatrice della Lega, comunque non deve averla presa benissimo se ha deciso di ergersi a portavoce della rappresentanza femminile al Senato e ha annunciato: ”Altro che zoccole… quereliamo per diffamazione Beppe Grillo”. Senatrici, dovreste essere contente. Dopo i carabinieri, materia per innumerevoli barzellette ispirate alle loro non proprio geniali trovate, è arrivato il vostro momento. La categoria delle senatrici italiane che diventerà nota al mondo per la produzione di tipiche calzature lignee, soffiando il monopolio all’Olanda. È a questo che si riferiva Grillo, no? (Faccio l’ingenuo finto tonto se no querelano pure me.)
    Poi.
    Saltellando qua e là sotto e sopra me n’ero (quasi) dimenticato, ma c’ha pensato Rachele a ricordarmelo. Oggi nuovo numero di 4 chiacchiere contate con una scrittrice d’eccezione: Giulia Alberico che ci racconta il suo Cuanta Pasion! uscito qualche mese fa per Mondadori. Dico una scrittrice d’eccezione intanto per la disponibilità, la gentilezza, i modi, e poi per la generosità che ha dimostrato nei miei confronti. Ormai è un’amica, mia e di Solo Libri e le auguro un grandissimo successo perché se lo merita. Regia, vai pure con l’intervista!
    Ora si va (è così che devi parlare qua, se no ti guardano come io guardo i cinesi e non mi va di essere guardato così).
    Saluti gheddafiani.

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sono Matteo

Sono nato a L’Aquila nel 1981.
Adesso vivo a Firenze, insegno ai bambini della scuola primaria e scrivo romanzi definiti “per bambini e ragazzi”, ma io dico non vietati agli adulti…

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