L’Aquila bianca, l’altra città

Indietro c’è una città, davanti un’altra, letteralmente sepolta dalla neve. Un sentiero, che prima era una via intera di sampietrini. So di poterlo camminare soltanto in una direzione. È là che guardo, dove non distinguo i contorni per colpa della mia lieve miopia e per la lontananza; dove il bianco del cielo si confonde col bianco delle cime; dove stanno tutti i progetti, al freddo o al riparo dal freddo non so, associo la neve al calore; dove è cambiato poco, per quel che si vede da qui; dove non capisco se è finito tutto oppure è solo fermo, fermo fino a quando, perché io non lo vedo muoversi. Forse è meglio così, forse a primavera. Io continuo ad aspettarmi, ad aspettare me intendo. È da me che devo ripartire, non dal buco del passato che si allarga fino a ieri l’altro. Questa del passato è una grande balla, una scusa come un’altra per mollare. Sempre aggrappato a quel maledetto aprile che sta diventando uno scudo per non buttarmi, per non rischiare, per restare fermo, sul mio letto e non vivere. Non lo faccio per farmi dire: Dai amico, la vita è bella, la vita è lunga, la vita è una sorpresa continua, la vita ti sorprende quando meno te l’aspetti, la vita di qua e la vita di là, che son quelle cose che ti fanno sentire più sfigato di quanto già sei bravissimo a sentirti di tuo. Io le so tutte queste cose qui, è che devo riscoprirle. Manca un po’ di voglia e la voglia me la danno i giorni che funzionano. Quindi diciamo che mancano un po’ di giorni che funzionano.
Certi giorni sono come una caduta libera dal 42esimo piano dell’abitudine, direttamente al piano terra, sul cemento dei bei ricordi, quando c’era. Dopo la botta mi rialzo, un po’ frastornato e mi guardo intorno. Vedo decine di persone fare l’aperitivo ai tavolinetti sotto i portici. Vorrei correre verso di loro, abbracciarli tutti. L’avrei fatto davvero se non fosse stato solo un miraggio, l’effetto di un salto bidimensionale. Abbraccerei pure voi che leggete, scrivete qui e sui vostri blog e siete lontanissimi; molti non vi ho neanche mai visti e un giorno organizziamo. Mi piacerebbe un sacco, allo stesso modo in cui non mi piacciono molto gli abbracci incorporei, solo virtuali e frettolosi pure. Quelli che: Un abbraccio e ciao, senza darlo veramente. Non mi piacciono, anche se io sono uno che lo scrive spesso, per esempio nei commenti: Un abbraccio, a qualcuno a cui lo darei. Non mi piacciono quelli di poche parole, quando dici: Non servono parole, un abbraccio! Come non servono parole, ma scherziamo?! Dipende dalle parole e da chi sei tu. Le parole di qualcuno non servono per davvero, neanche per concimare la terra, perché non si deteriorano mai. Restano lì, per 1000 anni e altri 1000 a tenere in vita la ferita. Le butterei nella raccolta indifferenziata, in un secchione pieno zeppo di altra roba, comincio a farlo. Comunque, se non servono parole, non serve neppure starlo a dire che non servono, tanto per lasciare un segno d’inchiostro che dimostri una presenza. Non me ne faccio niente, anzi m’infastidisce se è solo presenza, se non è altro, di più vero. Certe parole invece ricostruiscono un vaso frantumato. Certe parole trasportano sugli accenti e sui piccolissimi puntini sulle i una forza che nemmeno 100 elefanti. Certe parole illuminano più di una candela, più di un raggio di sole, più del sole intero, certe poche parole che non posso fermare, ora che tornano a parlarmi. Le sento e mi fanno sorridere, mi tirano le labbra e mi stringono gli occhi, come quando guardo indietro e ci resto troppo; invece dovrei immediatamente girare la testa, subito dall’altra parte.
Intanto qui siamo a 40 cm di neve e non accenna a indebolirsi. Qualcuno va a comprare il giornale del mattino, in Via Strinella, sugli sci da fondo.

25 commenti su “L’Aquila bianca, l’altra città

  1. La tendenza a gettare via le parole, a usarle per niente, è una delle cose che più mi irrita in assoluto.
    Forse non ci rendiamo nemmeno conto di quanto possono essere potenti le parole, anche nella vita di tutti i giorni. Di come usare una parola possa distruggere o addirittura curare.Non sto scherzando.
    Per questo penso che una delle cose più belle che possa capitare a una persona sia imparare una parola nuova. Avere molte parole al proprio arco è principalmente un modo per capirsi, dare un nome a cose che altrimenti potrebbero rimanere indefinite.

  2. Ho pensato prima di commentare,Matteo,perchè io non ho le parole,quelle che mi piacerebbe invece trovare,giuste come tu te le aspetti.I tuoi dubbi di oggi per il domani?Giustificati,certo ,ma torneranno,i giorni che funzionano e tornerà la tua voglia di fare.Ma poi,scrivi benissimo,fai delle grandi cose,hai un sacco di amici,quelli veri,ed anche la neve che adesso ovatta tanti pensieri,si scioglierà…
    Niente abbracci virtuali,Matteo,un ciao,meno impegnativo.Chicchina ,ma anche Rina –

  3. Matte, eccome se servono le parole, se sono dette con il senso della comprensione, se sono donate e non buttate lì, se sono rivolte all’incontro e non allo scontro, se sono le parole che aspetti e se te le dice qualcuno che ti comprende. Allora quelle parole possono trasformare un giorno che non funziona in uno che almeno in parte invece è quasi perfetto.
    E comunque sì, organizziamo, spero. Io è un po’ che ci penso, sto pensando a un posto a metà strada, pensando a dove abitiamo tra tutti e poi magari un giorno ci mettiamo a tavolino e tiriamo le fila di questo progetto, che mi piacerebbe molto.
    Un bacetto e un abbraccio, un po’ virtuale ma sincerissimo!

  4. Io alle volte blatero all’infinito… altre volte non ho bisogno di dire nulla: le azioni e ciò che ci circonda parlano da soli.
    Però posso dirti che l’edicola più vicina a casa mia è a 12 km quindi… niente giornali 😀 (santo intenet)

  5. Un abbraccio. Un bacio. Lo scrivo spesso anch’io, ma solo se lo sento, solo quando mi immagino di farlo davvero. Infatti capita solo con qualcuno, solo qualche volta, non è come il ciao che, alla fine, non lo rifiuti a nessuno.
    Un bacio, Mattè.

    E sì, *dobbiamo* organizzare.

    • Signor Ponza, io li affitto, già certo che qualcuno per me dovrà rimborsarli. Visto che io nel frattempo sarò caduto in qualche burrone aquilano. -.-“

  6. Oh Matteo Matteo, quanto sei bravo? Per una come me che ama le parole, leggere questo tuo post è scivolare sensibilmente tra pagine di bello. E le parole restano. Crescono. Testimoniano. Confessano e sconfessano. Come certi giorni non funzionano, così certe parole non funzionano. Ma anche quando non funziona, tu funzioni. Da lettrice, da donna, da blogger, da.

  7. Io sono iperlogorroico 😉

    Per motivi certamente diversi, sono parole, quelle che hai scritto, nelle quali mi rispecchio e capisco tutto, ma proprio tutto quel che scrivi eh. E’ una sensazione molto…bah, molto strana e personalmente la odio ma quando sono così (oggi un po’ lo sono…devo dirlo) non trovo le energie e le forze per uscire da questa sensazione. Di solito quel che mi fa passare tutto…è il tempo.

    Ciao!

  8. Io invece sono davvero di tante parole, a volte troppe.
    Il punto è che lo so ma non riesco a cambiare le cose…
    Buona neve. Qui in Emilia siamo sommersi ed ora è il momento del ghiaccio.

  9. Sulle parole, Matteo, sono in parte d’accordo con te. Io però, sono SpeakerMuto perché ho spesso difficoltà ad esprimermi. Sicuramente non sono il solo e magari c’è chi dice “Non servono parole” solo per glissare sulla propria difficoltà.

    Le parole sono bellissime, è vero. D’altro canto il loro fascino può spaventare, oppure può intimidire chi non le padroneggi bene. Mille parole possono valere più di un abbraccio, però al secondo non dico no :^)

    • SpeakerMuto, nemmeno io dico di no a un abbraccio vero. Mille parole sentite sono una gran fortuna, se poi c’hai pure l’abbraccio hai fatto bingo. 🙂

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