Io ci ho provato a instaurare un dialogo con l’agente

Avete una vaga idea di cosa può voler dire vivere a Firenze, in una stradina alberata fra lo stadio Artemio Franchi e il Mandela Forum?
Avete una vaga idea di cosa può voler dire un sabato sera prigioniero in una stanzina al pian terreno, mentre da destra arrivano i boati dei tifosi della Fiorentina, che accompagnano con una ola fotonica i nomi dei giocatori in modalità stereo, e da sinistra i melodiosi acuti di Alessandra Amoroso in concerto?
No. Con tutto il rispetto non potete immaginare com’è convivere con la paura che un hooligan di cattivo umore per la sconfitta della propria squadra del cuore ti entri dalla finestra e se la prenda con te.
Sabato si giocava Fiorentina-Roma. Una partita molto delicata per la qualificazione in Champion’s League. (Tanto mi interessa la questione che ho dovuto fare una ricerca mirata su Google per capire se e quanto fosse delicata la partita, e come si scrive Champion’s League). Così, penso bene di trascorrere la mia vigilia pasquale il più lontano possibile dal luogo prescelto per l’apocalisse (casa mia). Mi fermo da Niccolò a mangiare una pizza fatta in casa… croccantissima.
A mezzanotte inoltrata agg’ decis’ e turnà (espressione interamente ripresa da un sito internet culturale napoletano, pure l’accento e gli apostrofi). Pensavo che a due ore dalla fine della partita fosse tornato tutto regolare e invece. Povero illuso.
Già da Viale dei Mille si vedono i lampeggianti blu rischiarare il cielo. Sono tantissimi, sembra una base aerospaziale da cui sta per partire il lancio del secolo. Vado avanti, fiducioso che in quelle poche centinaia di metri che mancano succederà qualcosa che mi permetterà di raggiungere la mia stradina alberata. Arrivo al blocco. Cinque uomini armati mi scrutano nell’anima, come se nascondessi trenta chili di eroina nel bagagliaio. Alzo il finestrino. Dovrei proseguire dritto, ma farò il giro prima che mi sparino, penso. Povero illuso 2 – il ritorno.
All’imbocco della mia strada, la strada di casa mia intendo, quella alberata, un nuovo posto di blocco. Meno presidiato. Un solo poliziotto sta davanti alle transenne. Sembra annoiato e stanco. Una forza dell’ordine senza forze.
Prima di sfondare la barricata tento un dialogo.
– Salve signor… buonasera – dico. Mi veniva da dire signorsì.
– Ma no-o vedi l’elicottero? – dice lui accennando col capo al cielo dove svolazza un elicottero, appunto.
– Sì, lo vedo.
– Eh, che te fa pensa’ ‘sta cosa?
– Che mi fa pensare?
– Eh, che te fa pensa’? Di’, su!
– Non lo so! Veramente! – dico la parola veramente col tono di La prego non mi spari.
– Che te ne devi annà da qua! – esclama lui accompagnando il concetto con eloquente movimento palmo-mano-sinistra/fianco-mano-destra.
– Vorrei, ma non posso!
– E perché, sentiamo!
Incrocia le braccia e mi guarda con la stessa espressione del tenente di Squadra di Polizia che deride il ciccione.
– Perché io abito là, proprio dietro di lei!
E indico il portoncino di casa mia, nell’ombra immobile e silenziosa del vialetto.
– Se solo lei potesse scansare questa transenna… – aggiungo. – E permettermi di entrare…
Sta riflettendo. Nutro delle speranze che si infrangono in un: – No, fra un’oretta liberiamo tutto e rientri.
Ma dove vado io un’ora? Poi guardo l’orologio e mi viene una straordinaria idea: la compassione.
– Ma è Pasqua, agente!
Qualcosa di divino gli attraversa lo sguardo arcigno.
– Va bene, sposti la transenna e passi! Poi la rimetta dov’è, però.
Scendo dalla macchina, sposto la transenna. Mamma mia quanto pesa, penso. La transenna mi sfugge di mano. Cade a terra provocando un frastuono micidiale. Dietro di me suonano dei clacson. L’agente si allarma e afferra la ricetrasmittente. Io non ci capisco più niente. Salto in macchina e quasi lo investo. Dallo specchietto retrovisore lo vedo che tenta di fermare una coda di automobili che gli sfrecciano a pochi centimetri da lui, fregandosene del posto di blocco che ormai è saltato. L’ho fatto saltare io! Fischia col fischietto. Agita la ricetrasmittente. Nessuno rispetta la sua autorità.
– Grazie di cuore – gli dico da lontano mentre apro il portoncino. – E buona Pasqua eh!

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