Cose che dovremmo tenere bene a mente quando scriviamo: qual è il confine fra dire la verità e diffamare?

diffamazioneFino a che punto è lecito spingersi coi propri “pareri”?
Dov’è che finisce l’opinione e comincia l’insulto?
E quando questo diventa punibile?

Leggendo, scrivendo, vivendo quotidianamente la “rete letteraria” – ma sì, chiamiamola così – ho maturato la sensazione che chi si diletta a scrivere sul proprio blog, ma anche chi commenta il sito o il blog di qualcun altro, le domande su scritte (inclusa quella nel titolo) non se le sia mai poste nella vita. La convinzione di potersi esprimere in assoluta libertà, perché nella rete tutto è permesso, la fa da padrona, e il passo fino a ragionamenti selvaggi e offensivi è più breve di quanto si pensi.
Il social-opinionista si carica di un’onnipotenza immotivata che è lui stesso ad attribuirsi, e si convince di non essere soggetto a nessuna regolamentazione, a differenza dei giornalisti, per esempio. Le parole nella sua bocca, anzi sulla tastiera del computer – a voce e vis-à-vis non si azzarderebbe mai – si fanno armi capaci di causare piccoli o giganteschi disastri. E quindi:
a) Si dichiara un addetto ai lavori – lui sa sempre bene di cosa parla, qualunque sia l’ambito di discussione –  nonostante l’unico ambiente di “lavoro” che frequenta veramente dalla mattina alla sera sia la sua cameretta.
b) Rilascia pareri non richiesti sugli usi e i costumi di chi dice di conoscere pur non avendolo mai incontrato, né averci scambiato quattro parole direttamente.
c) Forse senza rendersene conto insinua e, in nome del sacrosanto diritto d’opinione, assolve o condanna. Insomma, giudica.
d) Infine completa l’opera con un clic pubblicando la sua menzogna che, di bacheca in bacheca e di tweet in tweet, si moltiplica fino talvolta a raggiungere i media nazionali e a rovinare nomi, immagini e carriere. Giustamente? (Nel caso di Valerio Scanu: Sì!) Ingiustamente? (Nel caso di Marco Carta: No!)
Scherzi a parte, vediamo di capirci qualcosa, io per primo.

Il fatto che tutti coloro che posseggono un computer e una connessione possano scrivere e divulgare su internet ciò che vogliono non significa che la rete sia una zona franca. Il nome, l’immagine, l’onore e la reputazione restano a tutti gli effetti diritti inviolabili, anche nella virtualità di internet. A tutelarli ci pensa l’articolo 595 del codice penale che, in sintesi, afferma: commette il reato di diffamazione chiunque, comunicando con più persone, offende la reputazione altrui. Detto così sembra chiarissimo, eppure ci sono alcune possibili interpretazioni inesatte nelle quali incorre il pensiero comune, e pure il mio, che ho sciolto informandomi. Mi è capitato di leggere e di sentire spesso che la verità non costituisce diffamazione. Non è così. La verità non costituisce diffamazione se espressa nei modi consoni.
Poniamo il caso che io sia incacchiato nero col signor Rocco Sfascione, meccanico che una ne aggiusta e cento ne rompe dal quale ho la certezza di essere stato appena raggirato, e decida di raccontare la vicenda sul mio blog. Posso farlo, fare il nome di Rocco e pure segnalare l’officina, ma non posso scrivere in preda alla rabbia che Rocco Sfascione è un pezzo di mierd e pure un brutto figlio di. E nemmeno una delle due soltanto. Sì, anche se probabilmente Rocco è entrambe le cose, proprio così. Quindi badate bene alle parole! Almeno voi che scrivete dovete essere in grado di utilizzarle efficacemente senza cadere nel facile tranello dell’insulto. La verità può essere utile a qualcuno che si trova o si troverà nella vostra stessa spiacevole situazione, fate benissimo a diffonderla, anzi dovete, ma rimanete nei ranghi verbali per rimanere nel giusto!
Abbiamo detto che il reato di diffamazione sussiste quando la comunicazione del messaggio arriva a più persone. Anche questa affermazione può generare interpretazioni imprecise. Infatti non significa che più persone devono aver letto le vostre simpatie. E che quindi io, sul mio blog che non legge nessuno, posso scriverci quello che mi pare perché: tanto fa 5 contatti l’anno. Proprio per niente. E’ sufficiente che la comunicazione di un determinato messaggio arrivi a più persone, indipendentemente dal fatto che quelle persone siano o meno effettivamente venute a contatto con le mie convinzioni su Rocco Sfascione. Conta che la montagna sia lì, meta visibile, non quanti “maometti” si siano messi in cammino per raggiungerla. E non conta nemmeno l’intenzione. Quindi non ve ne uscite poi con: Credimi, io non volevo offendere nessuno. Non avrei mai pensato che il tuo sensibile cuore… No, qui non si tratta di sensibilità, né di credere o no alla volontà di non ledere. Non è necessario che l’intenzione di chi dia luogo a quelle determinate espressioni sia necessariamente di offesa. E’ sufficiente che le parole adoperate siano socialmente interpretabili come offensive. Perciò, ancora una volta, attenzione alle parole! Le parole hanno un significato molto preciso che gli assegna un peso la cui interpretazione è insindacabile, e quindi su cui c’è poco da discutere.

Questo post non deve dissuadervi dal raccontare soprattutto le brutte esperienze. Anzi! La rete, oltre che un rapido mezzo per trasmettere le informazioni, dovrebbe intessere un intreccio di condivisioni umane affinché l’errore, l’ingenuità oppure il sopruso subito da qualcuno possa diventare il successo di qualcun altro.
A tal proposito vi segnalo l’ultimo articolo di Carolina Cutolo su Scrittori in Causa, un’altra di quelle piattaforme sacrosante e preziose per gli aspiranti autori. Carolina parte dalla vicenda di Linda Rando, blogger denunciata per diffamazione dall’editore 0111 e condannata in primo grado (ne ho parlato anch’io qui: Clic), per cercare di fare chiarezza sul rapporto verità/diffamazione. E’ un articolo utilissimo non soltanto per chi quotidianamente affida alla rete le proprie impressioni, ma anche per tutti coloro che nella vita si sono trovati almeno una volta a pensare che fosse meglio tacere l’ingiustizia piuttosto che raccontarla.
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Ho prelevato l’immagine in alto e qualche info più tecnica da Dot Florence.

23 commenti su “Cose che dovremmo tenere bene a mente quando scriviamo: qual è il confine fra dire la verità e diffamare?

  1. Ti lascio uno spunto di riflessione meta giuridico. Se io affermassi “la maggioranza degli italiani – ovvero una porzione superiore al 50% – è evidentemente (ovvero tale per indagine diretta empirica) per natura o per scelta semianalfabeta ed incapace di assolvere degnamente alla figura di cittadino coerentemente con i dettami costituzionali (ovvero è egoista,propriamente evasore fiscale,mancante di spirito critico)” commetterei reato ai sensi dell’articolo cp da te citato? Ovviamente no. Ma forse una class action porterebbe alla ribalta lo stato pietoso in cui versa questo nostro paese.

    • Non commetteresti reato, anche perché la maggioranza degli italiani non è individuabile in un singolo o più individui che possono sentirsi offesi, diffamati, riconosciuti.

  2. Era da un po’ che non leggevo queso blog. Oggi cerco di mettermi in pari e cosa leggo? Una persona che tenta di dare lezioni di scrittura, nonostante non sappia elle stessa scrivere. Dopo avere riso per circa mezz’ora, vorrei far rilevare gli errori elefanteschi commessi da questa gentile e raffinata commentatrice, cui consiglierei di tornare alle elementari, sempre che le abbia finite.

    Un articolo ben fatto – che tra l’altro parla di offese e diffamazioni via Web – non dovrebbe contenere riferimenti a persone. [Ripeto, ma chi lo dice? Che poi gli articoli “parlino” è un’improprietà alla quale oramai tutti si sono assuefatti]

    Mettendo due nomi – anche se tra mille parole (Cit.) – casuali o no, fa sì che l’autore dell’articolo diventi proprio come quelli che lui ritiene “Autori da cameretta”. [Sarebbe il caso di ripassare la costruzione del gerundio]

    Sì, secondo la mia. Essendo Giornalista professionista [Ripeto, ripassare la costruzione del gerundio]

    Vedo che non sai leggere, “ben fatto – che tra l’altro parla di offese e diffamazioni via Web -”, ti è sfuggito un pezzo, vedo. [La ripetizione di “vedo” sfugge a ogni regola grammaticale]

    Se faccio un articolo [gli articoli non si “fanno” ma si “scrivono”] parlando [qui siamo nel marasma più completo, da quando in qua negli articoli giornalistici si “parla”?] di diffamazione [qui ci va una virgola] non posso – e non devo [a parte spiegherò l’uso degli incisi, che qui vengono scambiati per incisivi] – cascare nell’errore di diffamare qualcuno, lo posso fare [questo “lo posso fare” è orfano, attaccato a un palloncino, è forse riferito a “cascare nell’errore”? Cioè, quindi è consentito in quel caso cadere volontariamente in un errore?] – solo – nel caso parlassi per diffamare.
    Cosa che tu hai fatto – anche se – in modo abbastanza velato [Cioè cos’ha fatto lui? È caduto in maniera velata in un errore, o cosa?].
    Le altre due persone – rileggendo l’articolo – non sono state messe nella stessa condizione, quindi siamo su un piano non paritario, ovvio che casca all’occhio la cosa [le “cose” non “cascano” all’occhio, al massimo “saltano” all’occhio, rammento poi che il sostantivo “cosa” è proprio l’ultima spiaggia, lo usa chi ha finito tutti i sinonimi o chi ha un vocabolario di una pagina].
    Il trattino lo so sicuramente usare meglio di te, su questo non ci sono dubbi, nel caso dammi il tuo indirizzo, che ti insegno a scrivere in maniera corretta. [Prima però, gentile giornalista, ritorni alle elementari, poi legga, ma legga tanto]
    Quando un giorno scriverai per testate nazionali potrai darmi lezioni, ora no, su questo non ci piove. [Qui le testate sono ben altre].
    Non basta intervistare due scrittori per diventare uno scrittore, come non basta passare 24 ore al giorno sui Social Network per essere esperto sul modo di usarli. [Come non basta definirsi giornalista e avere il tesserino, per esserlo e per scrivere in un italiano mediamente corretto].
    Scusa se ti ho chiamato Autore, me ne pento amaramente, ti chiamo Blogger di un blog che fa venti entrate al giorno. Sempre se non parli della Tatangelo. Dai, non ci rimanere male. [Però, tra le venti visite c’è anche la Sua, esimia giornalista]

    Avevo detto che avrei spiegato la differenza tra inciso e incisivo, vero? Ecco, mi rimangio la promessa, gentile giornalista, vada a leggersela da sola, e non scambi i trattini con i bastoncini che si usano per giocare a Shangai.

    Detto ciò, trovo l’articolo di Matteo perfetto sotto ogni punto di vista, giacché Matteo scrive con le mani e la testa, dopo averle collegate.

    • Mario, ti ringrazio per il commento precisissimo. Mi sono divertito molto a leggere le tue analisi delle espressioni utilizzate dalla giornalista Lucia. E grazie ancora e di più per le parole sul finale, ti abbraccerei.

      • Matteo, credo sia una piccola pecca del tuo articolo aver indicato due casi di diffamazione giusta e ingiusta, riferendoli a due personaggi noti, senza però citare gli episodi (anche tramite link). Magari avresti potuto specificare che la colpa di diffamazione (o assenza di questa) era stata stabilita da un giudice, dato che non si tratta nemmeno di vicende note ai più. Da questo punto di vista capisco in piccola parte (mentre tutto il resto mi sembra inutile e assurdo) l’attacco che hai ricevuto dalla giornalista, si potrebbero avere dei dubbi sulla fondatezza dei casi che citi.

        • Marta, il mio intento non era quello di indicare due casi di diffamazione, non di farlo seriamente almeno. Mi riferisco a Marco Carta e Valerio Scanu che ho citanto soltanto per fare dell’ironia.

  3. Un articolo ben fatto – che tra l’altro parla di offese e diffamazioni via Web – non dovrebbe contenere riferimenti a persone.
    Mettendo due nomi – anche se tra mille parole (Cit.) – casuali o no, fa sì che l’autore dell’articolo diventi proprio come quelli che lui ritiene “Autori da cameretta”.

    • Quante cose si imparano! Mica l’avevo mai sentito che “un articolo ben fatto non dovrebbe contenere riferimenti a persone”. E secondo quale scuola di giornalismo? La tua?! E comunque… stai parlando del mio? L’autore di cui parli nel commento sono io? (Non si capisce bene. Non è chiarissimo.) L’articolo che hai commentato di nomi ne contiene quattro, non due, però a te stranamente infastidiscono soltanto quelli dei due cantanti, al punto che ti sei scomodata a prelevare un pezzo di un mio commento da Facebook riferito a loro due, e a citarlo qui. Dai, non ci rimanere male. Se mi dici in che zona abiti ti controllo se fanno qualche data dalle tue parti.

      Molto curioso il modo in cui usi il trattino. L’hai appreso nella stessa scuola dove hai imparato a valutare la bontà degli articoli scritti dagli altri?

      • Sì, secondo la mia. Essendo Giornalista professionista. Vedo che non sai leggere, “ben fatto – che tra l’altro parla di offese e diffamazioni via Web -“, ti è sfuggito un pezzo, vedo. Se faccio un articolo parlando di diffamazione non posso – e non devo – cascare nell’errore di diffamare qualcuno, lo posso fare – solo – nel caso parlassi per diffamare. Cosa che tu hai fatto – anche se – in modo abbastanza velato.
        Le altre due persone – rileggendo l’articolo – non sono state messe nella stessa condizione, quindi siamo su un piano non paritario, ovvio che casca all’occhio la cosa.
        Il trattino lo so sicuramente usare meglio di te, su questo non ci sono dubbi, nel caso dammi il tuo indirizzo, che ti insegno a scrivere in maniera corretta.
        Quando un giorno scriverai per testate nazionali potrai darmi lezioni, ora no, su questo non ci piove. Non basta intervistare due scrittori per diventare uno scrittore, come non basta passare 24 ore al giorno sui Social Network per essere esperto sul modo di usarli.
        Scusa se ti ho chiamato Autore, me ne pento amaramente, ti chiamo Blogger di un blog che fa venti entrate al giorno. Sempre se non parli della Tatangelo.
        Dai, non ci rimanere male.

        • Lucia, ti sembrerà strano, ma io non ho alcuna intenzione di diventare un giornalista. E’ una categoria che se la passa malissimo. Vivono nella frustrazione, come dimostra il tuo commento, che talvolta li spinge ad arrabbiarsi e a farsi venire un fegato COSI’ sul blog di un povero sconosciuto che fa 20 visite al giorno e che non è un giornalista né vuole diventarlo. Quindi, nonostante il tuo accorato desiderio di insegnarmi qualcosa, che manifesti in due commenti su due, tipico atteggiamento della maestrina che fa parte di certi DNA dai quali mi tengo sempre bene alla larga, rifiuto l’offerta e vado avanti.
          Vai avanti anche tu coi tuoi articoli sul New York Times, io vado avanti qui come pare a me, e altrove, dove mi permettono di fare quello che mi piace, col tuo permesso, ovviamente.

  4. Tutto questo blablablabla per poter scrivere oltre al blablablabla che le bugie, le carognate, gli insulti rivolti a Valerio Scanu sono giuste e per Marco Carta non sono ingiuste e quindi giuste.
    Sai che ti dico potevi risparmiarci tutto il romanzo e andare al “tuo” sodo, tanto si è capito lo stesso quale era il motivo e la sostanza di tale edotto papier.
    Sei esattamente come i tuoi compari di scrittura: venduti per due denari. Bleah.

    • Angelamaria, hai capito perfettamente il senso dell’articolo. Siete sempre così intuitivi voi fan di certi artisti.

  5. Ho letto entrambi i post…certo che ti propongono un contratto in cui alcuni ti farebbero cedere anche tua mamma…la superficialità in questi casi non paga…devi pagarla tu! Direi, al di là di tutti gli orpelli legali, che hai reso perfettamente il senso in modo molto semplice, mò vediamo di non fare come quelli che chiamano “orango” qualcun altro 😀

  6. Sono passata da un link all’altro, il tuo è quello della Cutolo e mi sono letta anche tutti i commenti. Veramente interessante, il discorso legato all’editoria e quello sulla sentenza. Certo è che comincerò a meditare se sia il caso di inserire la moderazione ai commenti…giusto per non correre rischi.

    • Io ho sempre lasciato i lettori liberi di esprimere le loro opinioni, e al massimo hanno insultato me, non altri. Dipende anche dal tipo di blog o dalla community che si gestisce. Quella di Linda Rando è variegata, delicata e densa di temi scottanti, come l’editoria a pagamento. Qualcuno si arrabbia, qualcun altro risponde, qualche anonimo insulta, partono i nervi e pure le denunce.

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