Che so fesso, io che (il quale) penso?

Oggi la Stanza si fa luogo di pensiero, e già questo dovrebbe preoccuparvi. Comunque, dove altro, meglio che in un vero luogo di pensiero, (perché io valgo, e anche voi! (molto più di Raz Degan. La Barale la penserà diversamente, oppure no, chissà, ma a noi di cosa pensa la Barale poco ce ne sbatte)) possiamo trovar risposta all’interrogativo: tutti pensano? Tutti sanno, possono, sono in grado di (mettetela come volete) pensare?
Ignoro il motivo che ha spinto i miei piccoli e stremati neuroni (ieri notte un’altra chiusura e stasera idem con patate) a porsi cotale domanda. Forse perché vivo ogni giorno, un po’ come tutti (quelli che vivono, chiaramente) a contatto con persone e realtà multicolori, multiformi, tipologie di essere umano variegate (basso e grasso va per la maggiore, ma non è dell’aspetto fisico che parliamo) tra le quali, sempre più spesso, osservo spiccare vite avvezze a comportamenti insensati, risposte insensate, manifestazioni quasi animalesche, e non manifestazioni di emozioni e problemi personali da condividere, eccezion fatta per impellenti bisogni quotidiani necessari, come sfamarsi o andare a cagare. Visto e considerato che esistono individui così: che non piangono mai, non tentennano mai, che non sono neanche forti di carattere, quella sarebbe una spiegazione, almeno. Che esistono individui che non raggiungono neanche un obbiettivo e questo non li preoccupa. Che gravano su chiunque, a partire dal microcosmo più vicino fino all’idea più generale di società, senza riuscire a ricambiare una sola di quelle donazioni non troppo spontanee, finalizzate unicamente alla loro sopravvivenza parassitaria.  Sembra quasi che procedano la vita come se al di là dell’esistere non vi sia altro, o altre persone da ringraziare in qualche modo, dubbi da valutare, ipotesi di fallimento da metabolizzare. Mi chiedo allora se questi individui soffrano, non dico spesso, qualche volta almeno: una lacrima, un dolore interiore, una riflessione, un senso di mancanza, di tristezza, di malinconia. Mi chiedo se questi individui pensino.
Mi viene spontaneo accostare il pensare al soffrire. Il pensare, inteso come porsi delle domande, percorrere strade mentali, valutare problemi personali, ascoltare il rumore dei dubbi e delle paure, ti induce ad andare oltre, a guardare dentro la tua anima, a leggerla e, se non ti piace, a provare a ripulirla, cambiarla, o a disprezzarla per sempre, disperarsi sul letto o davanti allo specchio.  Accosto il pensare al soffrire perché sono convinto che chi non pensa, o chi riesce a non pensare (che poi è l’elevazione necessaria alla probabile tesi dell’impossibilità dell’esistenza di esseri umani non pensanti, che va comunque considerata), e a vivere e basta, respirare, nutrirsi, dormire abbastanza, e basta, non soffra. Tranne che se si punge con un ago o si morde la lingua.
Quindi, da un certo punto di vista, è anche una condizione privilegiata, e non poco, quella dell’essere non pensante. Sì, perché a lui (o esso, come ci si rivolge parlando di un oggetto, o di un vegetale, al massimo) nulla può essere rimproverato, perché nulla di male ha fatto ragionandoci, decidendolo, per scelta. Va compatito, o evitato. Il rovescio della medaglia è la solitudine.
Io ho come l’impressione che vi sia molta astuzia dietro una quasi perfetta finzione di demenza. La pietà non mi appartiene, l’indifferenza sì, così mi allontano senza mai essermi avvicinato troppo, e dimentico. Però, camminando nella direzione opposta, mi chiedo: possibile che non si renda conto? Possibile che non sia in grado di pensare?
Domani Trash week end. Aspetto le vostre trash segnalazioni sui VIP, che siano copiose come neri schifosi semi d’anguria sfatta.

43 commenti su “Che so fesso, io che (il quale) penso?

  1. Jakumal, mi piace la tesi degli esseri superficialmente pensanti. Ed è vero che è quasi sempre negativo il risvolto che prende un pensare prolungato. Forse perché il brutto siamo sempre capaci di trovarlo ovunque, è il bello che ci resta difficile ammettere.
    Anche l’impeganto finale non è male.

  2. soleepioggia, non pensare è impossibile per un essere umano comune, dotato di ciò che caratterizza gli esseri umani e li rende differenti ad esempio dai vegetali. Immagina che un giorno nasca un essere umano che non può pensare, non sa pensare e non sa neanche cosa voglia dire pensare. E se fosse già nato?

  3. Notare la licenza poetica che mi sono concesso nel dire “proddotto”…Proddotto: “quel qualcosa che scaturisce da una profonda e intelligente elucubrazione mentale”. (Jakupedia)

    xD

    Ok…mi sono solo sbagliato… -.-‘

  4. Effettivamente questo del pensiero è un tema complesso.

    Io aderisco alla tesi del pensiero involontario…nel senso che non è affatto possibile controllarlo e/o indirizzarlo verso qualcosa… “esso” va, secondo la sua sensibilità a rovistare nei più o meno disordinati cassetti della nostra testa.

    Una cosa in cui credo fermamente è che il pensiero non dipenda dal funzionamento del cervello. Secondo me è l’unica cosa che non finisce con la vita…mi pare impossibile che qualcuno possa smettere di pensare (anche se a vedere le interviste di Bobo Vieri in tv qualche dubbio mi viene).

    Quindi non credo che esistano esseri non pensanti: piuttosto esseri che tralasciano di soffermarsi su quello che pensano, o sono superficialmente pensanti, o ancora pensano di non pensare o non pensano di pensare ( che poi sempre esercizio del pensiero è).

    Infine il rapporto pensare-soffrire… mah…il dolore fisico porta a sofferenze fisiche, il dolore del ricordo (o di altro proddotto del pensiero) a sofferenze psichiche..più si pensa più c’è possibilità di soffrire, perchè elaboriamo una quantità di dati maggiore e quindi è molto più probabile incappare in pensieri negativi.

    La mia esperienza di Homo rationalissimus mi ha insegnato che 99 volte su 100 quando mi fermo a pensare molto, l’oggetto del pensiero è di segno negativo. Per quelli di segno positivo, beh, sono troppo impeganto a godermeli per investire tempo a pensarli…

    ^^

  5. Non penso che pensare tanto sia sintomo di profondità o saggezza o sensibilità. O forse sì. Ma è anche sintomo di seghe mentali, sofferenza ingiustificata e a ben vedere stupidità! Voglio dire, che intelligenza c’è nell’individuo (io in primis) che immagina, si arrovella, si interroga su ogni minchiata e indaga giù giù giù fino a scoprire tutti i dettagli e i risvolti delle situazioni, e poi in definitiva non vive nella realtà ma in un suo mondo fittizio formato solo dalla mappa dei suoi ragionamenti non realistici.

    Perchè poi, cos’è reale? I nostri pensieri non lo sono, sono solo trasposizioni dell’esperienza filtrati da un nostro particolare modo di interpretare l’esperienza stessa.

    Già tutti questi discorsi mi hanno fatto venire mal di testa – molto meglio chi pensa poco(non pensare è impossibile, tranne forse per chi ha raggiunto mirabili vette di meditazione profonda)

  6. Sandra, io non mi cambierei mai con uno capace di non pensare (se esiste tale protitopo d’individuo). Di qualche periodo di nulla ne ho bisogno anch’io di tanto in tanto, periodi nei quali annullo tutte le complicazioni anche quelle non proprio inutili.

  7. Pensare che saresti vissuto insieme a chi ti sembrava pieno di grandi pensieri e ritrovarsi insieme a chi oggi si lascia trascinare dagli eventi senza lasciar trasparire alcun pensiero ( ” pensare, inteso come porsi delle domande, percorrere strade mentali, valutare problemi personali, ascoltare il rumore dei dubbi e delle paure, guardare dentro la tua anima, leggerla e, se non ti piace, a provare a ripulirla, cambiarla, o a disprezzarla per sempre”).

    La pietà non mi appartiene, per qualche periodo l’indifferenza e poi la voglia di provare cosa si prova a negare il pensiero. Lasciarsi trasportare dal niente e dalle futilità di riempie di una leggerezza che sa di nulla e che dopo un pò ti pesa più dei pensieri stessi. Non si può negare se stessi ed è difficile convivere con chi ti è opposto. Si è soli anche pensando, ma in compenso i tuoi pensieri ti fanno compagnia…

    Sandra

  8. “La pietà non mi appartiene, l’indifferenza sì, così mi allontano senza mai essermi avvicinato troppo, e dimentico. Però, camminando nella direzione opposta, mi chiedo: possibile che non si renda conto? Possibile che non sia in grado di pensare?”

    Diciamo che mi hai un po’ tolto le parole di bocca.

    Un bacio.

  9. Il fatto non è pensare in senso stretto..ma quanto valutare il bene e il male degli effetti dei pensieri e delle azioni correlate (cazzo che frase!).

  10. niente di più vero!!!! io credo che che ci sia una sorta di destrezza…secondo me più che non pensanti sono furbi-profittatori-parassiti-ignavi :DDD

    per cui…”non ti curar di loro ma guarda e passa”

    buon fine settimana a tutti…..

    un sorriso 🙂

  11. ehehehe mi hai dato da pensare..

    e come sempre chi pensa troppo si fa solo tante pippe mentali alla fine..

    pippa mentale??? presente.. oddio forse è per questo che ho un neurone pazzo!!

  12. Capa, comunque è vero. Certe volte quello che scriviamo lo capiscono più gli altri che noi, ecco perché poi nelle scuole si affannano a convincere milioni di studenti che Manzoni o Dante o chi ti pare, in quel verso voleva sottolineare questo piuttosto che quello, quando magari quel povero Ungaretti voleva solo dire che era entrata la luce del mattino dal vetro della finestra.

  13. Mary, già. C’è un legame forte tra il pensare e il soffrire. Bisognerebbe capire se smettere di pensare dia dei benefici in tal senso, e se qualcuno ci riesca, o sia riuscito.

  14. concordo sulla soluzione: alzare i tacchi e usare l’indifferenza.

    non so se non riescano a pensare o se facciano finta di pensare.

    quando si pensa la mente crea e sempre porta all’elaborazione…

    ma elaborare implica sia liberazione sia sofferenza…

    secondo me sono morti dentri e si riconoscono tra morti… evitano i vivi e scimmiottano la vita.

  15. Il cogito ergo sum tanto decantato a me sembra soltanto una frase di tre parole dal dubbio significato.

    Penso dunque sono, ma io potrei essere anche senza pensare, se non fosse che io sono io e non riesco a vivere senza pensare. Ché potrebbe essere la negazione di quello che ho appena affermato, a meno che il primo io che ho scritto non sia direttamente relativo a me medesima, bensì sia un io generico, che potrebbe rivolgersi a tutto il mondo come anche a nessuno in particolare.

    E quindi, tra il tutto ed il nessuno è molto probabile che vi siano esseri viventi, uomini nella fattispecie, che vivono lasciandosi trascinare dalla sequela di eventi che li travolge, di volta in volta. Ogni tanto, magari, costoro fanno funzionare la propria mente, eppure non so se il pensare “su quale cavallo dovrei puntare all’ippodromo?” sia un vero e proprio pensiero e non semplicemente un meccanismo spontaneo ed inevitabile.

    Perchè, in fondo, tutti pensiamo. A cose diverse, è vero, ma il pensare è qualcosa che non possiamo evitare.

    C’è poi da considerare, altresì, la volontà di pensiero. Non tutti pensano volendo pensare, anzi.

    Ho appena riletto quello che ho scritto e non l’ho ben compreso. Amen.

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