Decidere

Ieri ho seguito la puntata di Presadiretta su Rai3 dedicata a L’Aquila, principalmente al processo che vede imputati i sette membri della Commissione Grandi Rischi. Questi signori sono: Franco Barberi, Enzo Boschi, Mauro Dolce, Bernardo De Bernardinis, Giulio Selvaggi, Claudio Eva e Gianmichele Calvi. Sono stati chiamati a riunirsi a L’Aquila a fine marzo del 2009, cinque giorni prima del Terremoto con la “t” grande, pensate, dall’allora capo della Protezione Civile Guido Bertolaso. Si è trattato di una riunione-farsa, come ammette lo stesso Enzo Boschi intervistato da Lisa Lotti, giornalista di Presadiretta che ha seguito tutte le udienze del processo. La riunione è durata un’ora esatta, meno di un consiglio di classe. L’unico obiettivo, a detta di Bertolaso in un’intercettazione telefonica con Daniela Stati, era rassicurare la gente.
– In modo che è più un’operazione mediatica. Così loro, che sono i massimi esperti di terremoti, diranno: è una situazione normale… sono fenomeni che si verificano… meglio che ci siano cento scosse di quattro scala Richter piuttosto che il silenzio, perché cento scosse servono a liberare energia e non ci sarà mai la scossa quella che fa male… Hai capito?
La Stati risponde: – Va benissimo!
In effetti gli esperti hanno ripetuto esattamente le parole dette da Bertolaso alla Stati al telefono. De Bernardinis in conferenza stampa post-riunione ha parlato di una situazione “normale”.
– La comunità scientifica conferma che non c’è pericolo, perché c’è uno scarico continuo di energia. La situazione è favorevole, si colloca diciamo in una fenomenologia senz’altro normale.
Il verbale fu redatto (sempre parole di Boschi) non quella sera, ma a terremoto avvenuto. Quindi, deduco, esclusivamente per parare le chiappe a tutti.
I sette sismologi sono stati condannati in primo grado per omicidio colposo plurimo a sei anni di reclusione non per non aver saputo prevedere il terremoto, come si è scritto e detto in questi mesi in tutto il mondo tranne che qui, ma per aver fatto una “inefficace” “superficiale” “negligente” analisi del rischio sismico. Questo si legge nelle 943 pagine di motivazione della sentenza che il giudice Marco Billi, un uomo coraggioso per il quale nutro una stima di valore vicino all’infinito, ha depositato tre giorni fa.
– Gli esperti in quel momento non erano a una conferenza scientifica – spiega Francesco Stoppa, professore di vulcanologia all’Università di Chieti, intervistato in puntata e testimone al processo. – Dovevano agire in maniera etica. E’ chiaro che se uno dice “è improbabile che un terremoto avvenga”, aumenta la vulnerabilità del sistema perché la gente capisce che può stare tranquilla. Ci sono delle responsabilità in queste parole, non come scienziati ma come membri della Commissione Grandi Rischi.
Il tragico effetto rassicurante è un punto fondamentale della sentenza. “Dalla condotta colposa degli imputati è derivato un inequivoco effetto rassicurante” scrive il giudice Marco Billi. “La migliore indicazione sulle rassicurazioni della Commissione Grandi Rischi si ricava dalla lettura della frase finale della bozza del verbale della riunione, laddove l’assessore alla Protezione Civile regionale Daniela Stati, in modo emblematico, dice: – Grazie per queste vostre affermazioni che mi permettono di andare a rassicurare la popolazione attraverso i media che incontreremo in conferenza stampa.”
Billi sottolinea che la rassicurazione non costituisce un segmento della condotta che il PM contesta agli imputati, ma costituisce in realtà l’effetto prodotto dalla condotta contestata.
Proviamo a chiarire anche la questione “processo alla scienza”, che ha generato polemiche tra le istituzioni e sui media in Italia e nel mondo, sempre attraverso le parole del giudice Billi.
“Il compito degli imputati, quali membri della commissione medesima, non era certamente quello di prevedere (profetizzare) il terremoto e indicarne il mese, il giorno, l’ora e la magnitudo, ma era invece, più realisticamente, quello di procedere, in conformità al dettato normativo, alla previsione e prevenzione del rischio. È, dunque, pacifico che i terremoti non si possano prevedere, in senso deterministico, perché le conoscenze scientifiche (ancora) non lo consentono; ed è altrettanto pacifico che i terremoti, quale fenomeno naturale, non possono essere evitati: il terremoto è un fenomeno naturale non prevedibile e non evitabile. Per gli stessi motivi nessuno è in grado di lanciare allarmi, scientificamente fondati, circa una imminente forte scossa. Proprio sulla corretta analisi del rischio andava, di pari passo, calibrata una corretta informazione. L’affermazione secondo cui il terremoto è un fenomeno naturale non prevedibile e non evitabile costituisce, infatti, solo la premessa dei compiti normativamente imposti agli imputati poichè, per quanto previsto dalla legge e per quanto richiesto dalla loro qualità e dalle funzioni della commissione da essi composta, il giudizio di prevedibilità/evitabilità, su cui si basa la responsabilità per colpa contestata nel capo di imputazione, non andava calibrato sul terremoto quale evento naturale, bensì sul rischio quale giudizio di valore.
Quanta fatica in Italia per avere un po’ di giustizia!
La puntata è stata un susseguirsi di immagini, resoconti, storie, cronache di dolori essenziali. Da cittadino aquilano mi sento di dire “grazie” a QUESTA televisione, che si è occupata de L’Aquila riuscendo nel difficilissimo compito di rimanere fedele alla verità.
Quanto è importante! La fedeltà alla verità certe volte, quando manca, può essere causa di morte o parte sostanziale di essa.
La sensazione post-trasmissione è certamente una rabbia furente che giace sopita da allora, e che di tanto in tanto riemerge. A questa mi sento di aggiungere una serenità nuova: la restituzione pubblica della dignità di cittadino, di uomo rispettato in quanto essere vivente avente pieno diritto di conoscere e, in funzione della conoscenza, DECIDERE.
Mi spiace per chi ha pensato che L’Aquila fosse morta, passata di moda, finita. No, non è così. De L’Aquila se ne continuerà a parlare, perché non si può permettere che una città sparisca dalla cartina geografica pensando di tenere la bocca chiusa a tutta l’Italia. Non ci si riesce.
Buon inizio di settimana a tutti!
(Immagine prelevata da AbruzzoWeb.it)

Endorfine

Fra qualche giorno saranno quattro mesi di nuoto tre volte a settimana.
Tornare in piscina dopo vent’anni… chi l’avrebbe mai detto? Soprattutto se da bambino hai deciso di non volerne più sentir parlare. E vorrei anche vedere, dopo aver rischiato di morire annegato per colpa di un compagnetto di corso la cui massima aspirazione nella vita era quella di affogare gli altri, me in particolare. Avevo dieci, dodici anni ed ero il classico bamboccio preso di mira dai bulli. Li attiravo ovunque andassi, a scuola come in piscina. Adoravano i miei panini salame e formaggio.
Una cosa sulla quale fino a qualche mese fa avrei messo entrambe le mani nelle fiamme è proprio “il nuoto mai più nella vita”. Non potevo immaginare che quell’incontrollabile uragano di sesso femminile, che è la mia amica polipona Papi, mi avrebbe preso di peso e gettato nell’acqua clorata. Il fatto è che la Papi ha un potere soprannaturale travolgente con tanti pro e i suoi contro (pochi, che comunque non elencherò, neanche con la delicatezza di parola di cui sarei ben capace. Mi aggredirebbe prima nei commenti e poi, tempo una mezz’ora, me la ritroverei fuori il cancello di Villa Madre, col trucco sbavato di pianto, a urlare: – Perché hai scritto questo di meee, perchééé?!). Perciò mi limiterò al suo punto di forza: un entusiasmo pericoloso unito alla capacità di trasmetterlo come un’informazione da cervello a cervello. Avete presente “Inception” con Leonardo di Caprio? Al di là di essere uno dei pochi film di cui posso dire con fierezza di non averci capito niente di niente, ma proprio niente, lei fa come lui. Ti porta a credere che l’entusiasmo non sia suo, ma tuo, partito da te, che sei tu a voler fare quella determinata cosa, a partecipare a quella determinata serata. Perciò, frequentando la Papi può capitarti per esempio di scavalcare la recinzione di un autogrill di notte e intrufolarti in autostrada da pedone abusivo attraverso la rete, solo perché ti è venuta una voglia di cornetto caldo al cioccolato che non ti spieghi. Soltanto diverse ore dopo, al mattino, ti renderai conto che quella voglia non era tua, ma sua, trasmessa a te per farsi procurare ciò che desiderava: il cornetto caldo al cioccolato.
Attraverso il suo potere della mente, prima mi ha trascinato di peso in macchina a comprare costumi, occhialini, cuffia, ciabattine e borsa, e poi direttamente alla Piscina Comunale de L’Aquila.
La ringrazio perché adesso non posso più rinunciarci. Non chiedetemi di farlo, diventerei violento. Dipende dalle endorfine che il nuoto rilascia, l’unica droga naturale di cui dovremmo abusare tutti. La parola “endorfina” significa “la morfina nel corpo” (endo = “all’interno del corpo” orfina = “morfina”). Leggo che si tratta di proteine prodotte dalla ghiandola pituitaria e dall’ipotalamo. Le endorfine inibiscono la trasmissione nocicettiva periferica (il dolore) al sistema nervoso centrale e influenzano l’emotività e il comportamento. Avete capito bene? Chi fa sport sa cosa voglio dire, e ora lo so anch’io, al punto che mi costa quando non ci posso andare.
Ma non è sempre stato così tutto rose e fiori. Le prime settimane sono state durissime. A mezza vasca mi andavano in allarme tutti i ricettori della fatica. Dal fiato alla milza passando per il cuore. Ero costretto a fermarmi e ad abbandonarmi sui cordoli galleggianti che separano le corsie come uno straccio steso a sgocciolare. I sirenetti e le sirenette passavano a gran velocità ridendo di me fra una bracciata e l’altra, prima di sputarmi l’acqua in faccia e proseguire sollevando onde anomale che mi sommergevano e mi spingevano a fondo.
L’esercizio che più detestavo, e al quale Papi mi costringeva con l’entusiasmo di cui sopra, è l’allenamento delle gambe con la tavoletta. Quattro vasche gambe stile, quattro vasche gambe rana, e quattro vasche gambe alternate stile rana. Al termine delle 12 vasche le gambe urlavano dal dolore. Tornato a Villa Madre non riuscivo a salire le scale esterne. Mi sono dovuto aggrappare al corrimano in ferro battuto, tirandomi su al coro di “Oooh issa!”.
Convinto che l’esercizio della tavoletta mi avesse danneggiato qualche nervo impedendomi a vita di salire e scendere le scale agevolmente, ho cercato e trovato la soluzione: un montascale per le rampe di Villa Madre. Avete presente quelle poltroncine comode comode che vi portano su come in ascensore? Mi sono imbattuto in “Encasa Expert, la tua guida ai montascale” e mi sono messo a spulciare i prezzi dei montascale Encasa. Stavo quasi per noleggiarne uno quando ho avvertito i primi miglioramenti. I dolori hanno lasciato il posto a una sensazione di benessere vicina all’estasi.
Ho ancora qualche difficoltà col dorso (lo stile). Non riesco a nuotare dritto. Parto da un angolo e vado a finire a quello opposto. Devo stare attento a non travolgere i sirenetti, e arrivo alla fine della vasca che mi tocca tornare indietro a cercare il cuore fuggito dal petto. Magari mi compro un bypass aorto-coronarico e il montascale lo regalo alla temibile nonna TheMadrefather, che dalla Befana mi ha fatto portare il nuovo profumo di Ungaro. “Fresco e sensuale grazie alle foglie di basilico, speziato con l’accattivante tabacco che fa emergere una nuova armonia mediterranea”, dice lo spot. Vuoi vedere che con questo finalmente acchiappo?

[Madre Pizza Perfetta]

Apro il piccolo frigorifero giallo che illumina la cucinetta di Villa Madre e vengo assalito da un’immagine che mi colpisce come un cazzotto in un occhio. Quattro mozzarelle passite, molto passite, lasciate da mesi in un piatto impotenti all’aggressione della muffa.
Madre è a pochi centimetri da me. Non mi dà il buongiorno, non mi saluta, non esisto.
– Perché stai facendo ammuffire le mozzarelle? – oso chiedere al suo umore non tanto in vena di fare quattro chiacchiere innocenti.
Lei si volta. Lancia lo straccio contro l’acciaio brillante del lavandino. Sta per esplodere.
– Senti, non le sto facendo ammuffire, ma… STAGIONARE! E poi, dici sempre che la pizza viene acquosa. Be’, con queste verrà perfetta! E poi…
-… (e poi?)
– E poi, se non ti stanno bene i ritmi di questa casa, puoi anche andartene a vivere per cavoli tuoi, dove deciderai tu se e quando far stagionare le mozzarelle.
– …

Capodanno di Mettiu

L’ultima risata di questo Capodanno memorabile me la sono fatta al ritorno, sull’autobus Roma-L’Aquila. Il controllore si è sollevato a fatica dal sedile accanto al guidatore, si è schiarito la voce e ha domandato a megafono:
– Aho! Ceeavete tutti er bietto?
I passeggeri, me compreso, hanno risposto in un coro unanime: – Sììì!
Lui fantasticamente si è riaccomodato, e a posto così. Duro lavoro quello dei controllori romani.
Di solito la malinconia del post-felicità la modero bene. La classica sensazione da fine vacanza. Come quando sei in viaggio, di ritorno a casa dopo una bella estate. L’ingresso del villaggio turistico è appena sparito dallo specchietto e tu vorresti fare inversione e tornare indietro per prendere quello che hai lasciato lì. Il bungalow, il bazar, la piazzetta, la sala giochi (esistono ancora?), la piscina, il bar, il gioco aperitivo, la spiaggia, l’arena e le sigarette nascosti dagli alberelli di olive, gli scogli, i tuoi amici, quelli che aspetti un anno per rivedere e poi qualcuno non viene e non lo rivedi più, e quelli nuovi.
Io pensavo di essere diventato grande per queste cose, e invece no. L’altro ieri avrei voluto prendere i miei amici e le loro case fiorentine e portarli con me. Seguivo la corsa del paesaggio sul finestrino del treno. I campi e le nuvole e la pioggerellina e le stazioni. A ogni stazione ero più lontano. Ho capito che, se è un po’ complicato far entrare Firenze e tutti loro in una tasca, forse ce la faccio a mettermi in un valigione assieme a poche altre cose e a traslocare la mia vita dove si può essere felici davvero.
Vediamo se riesco a sintetizzare il resoconto del mio Capodanno in meno di mille caratteri spazi inclusi.
Nella tarda mattinata del 31 siamo andati a fare la spesa. Alla Coop di Firenze (e probabilmente anche in altre città vere, ma concedetemi la faccia da gran meraviglia tipica degli aquilani “all’estero”) funziona che i soci hanno la possibilità di pagare la spesa in automatico evitando le file in cassa. Basta munirsi di una pistola-scanner (avrà di certo un nome tecnico che io ignoro) e sparare sul codice a barre di ogni prodotto prima di buttarlo nel carrello. Poi paghi il totale a una macchinetta. Non pensate di andar lì a fregare ché sarete di certo i fortunati selezionati per un breve controllo.
Nel primo pomeriggio abbiamo iniziato ad avvantaggiarci qualcosa per la cena. Per essere più precisi, i miei amici hanno iniziato ad avvantaggiarsi qualcosa per la cena mentre io leggiucchiavo e facevo battute e cambiavo canale. Insomma, mi rendevo utile. Molto, sì.
Menù della casa
Antipasti:
– Crostini funghi, prosciutto e fegatini
– Croissant salati con ripieno di Philadelphia e zucchine
Poi è stata la volta della vellutata zucca e lenticchie. Era un’estasi al palato. Cremosa, dolce… come sono bravi i miei amici a cucinare!
Primo:
– Pizzoccheri alla valtellinese con taleggio e verza, una bomba atomica di bontà e pesantezza. Ho mandato giù a fatica l’ultimo pizzocchero e mi sono accasciato sul tavolo con la faccia nel piatto unto.
Secondo e contorno (una torta rustica con patate, zucchine e formaggio, e un’insalata freschissima con rucola, pere, noci e grana) li abbiamo lasciati per la colazione del giorno dopo, tenutasi alle ore 16.30 quando ci siamo svegliati più o meno in sincrono. Idem per il dolce, un panettone artigianale così buono che mi piacevano pure i canditi, riempito di gelato fiordilatte e cioccolato.
Agili come tacchini ripieni, ed equipaggiati con tre bottiglie di spumante in offerta, abbiamo raggiunto il piazzale della stazione di Santa Maria Novella per il countdown prima del concerto dei Subsonica. C’erano solamente 50mila persone equipaggiate allo stesso modo con in più razzi, bombe carta, e armi scoppiettanti di simile genere e pericolosità tutti pronti a scatenare l’inferno. Ho vissuto dieci secondi di estremo terrore.
10… 9… 8… (oddio, mo’ mi tirano una bottiglia in testa, lo so) 7… 6… 5… (guarda che facce da terroristi che hanno questi vicino) 4… 3… 2… (devo escogitare un piano per salvarmi, e ho… un secondo! Addio!) 1… 0!!! Mi accovaccio sotto le gambe dei miei amici. Non mi viene in mente nient’altro di intelligente, come se questa fosse un’idea intelligente poi.
Pim, pum, pam, bum, byebye, splash, sbam (un tappo di sughero vagante a 400 chilometri orari mi colpisce la tempia pelata). Mi rialzo fresco fresco di doccia sgocciolante di frizzantino di terza scelta.
Tagliamo la corda a metà del concerto in direttissima verso la fase dance. Lo sanno tutti che io non so ballare. Per fortuna che lo so pure io; essere consapevoli della propria malattia è il primo passo verso la guarigione. E mi facevano male pure i piedi. Avrei dovuto forse addossarmi a una colonna e fare il ragazzo da tappezzeria? Ma manco per niente. Datemi un Long Island e vi solleverò il mondo. Al quinto non c’ho capito più niente. Ho rimosso gran parte della nottata. Mi ricordo soltanto il divano letto del salotto di Luca che nasconde ipnotici segreti. Dovrebbero studiarlo in qualche laboratorio del sonno. Appoggi la testa e crolli in uno stato di pre-morte. Non senti più niente fino al suono della sveglia. Secondo me, se ti dimentichi di programmarla, non ti sveglierai mai più. Divino!
Il giorno dopo, cominciato per noi che il sole stava già quasi per tramontare, l’abbiamo passato a ciondolare per casa fino a sera, quando siamo andati al cinema a vedere “Vita di Pi”. Forse siete ancora in tempo per andarci anche voi. E’ un film straordinario, per storia e per effetti speciali. Riesce a raccontare un viaggio incredibile rimanendo fedele a tutte quelle regole che definiscono il mondo e le creature che lo popolano. Leggerò di certo l’omonimo libro da cui è tratto.
(La foto è una Firenze rubata dall’iPhone di Niccolò. Non ho ancora il suo permesso, ma la utilizzo lo stesso.)