Prendete (i miei soldi) e mangiatene tutti

Ieri mi sentivo strano, alla ricerca di forze esterne come di vitamine rinforzanti. Sarà la confusione che lascia questo sole, questo tepore e questo cielo azzurro scuro luminosissimo. Madre ha detto: – ‘Sto tempo non mi sconfinfera – e un po’ la capisco. Domattina affacciatevi alla finestra, mettete proprio la faccia fuori e guardate il panorama. E poi ditemi se un giorno così può essere la vigilia di Capodanno, che devi andare a ripescare la maglia da mezza stagione messa via col cambio dell’armadio.
Ho passato l’intera mattinata di ieri a onorare il mio dovere mensile, un appuntamento di quelli che non si scappa, che lasciano il segno. Voi donne disegnate tanti palloncini rossi sul calendario in corrispondenza della settimana X del mese, io ci disegno una cacca di tartaruga. La pulizia dell’acquario, con dentro due tartarughe di sette anni grosse come un pallone da calcio, è una pratica lunga e meticolosa che non sto qui a descrivervi nei dettagli. E’ capace di lavare l’anima dalle scorie della quotidianità tecnologica e riportarla al contatto col mio io più primordiale. E’ come fare un tuffo in un laghetto di me… lma. Ci siamo capiti. Ne esci cambiato, esausto, ma rinnovato. Pronto ad affrontare quanto di peggio ti possa capitare. Tanto per fare un esempio, pagare l’assicurazione 997 euro. Per la serie “Come fare secchi, bruciati, dissolti, au revoir 1000 euro in 1000 secondi”. Non era abbastanza. Avrei ancora dovuto capire cosa significa “quanto di peggio”.
La ragazza al desk mi ha augurato un buon anno, lei con 1000 euro in mano, io con due quadrati di carta colorata che non sono buoni neanche per l’igiene intima. Sono uscito dall’assicurazione, ho fatto presto presto – quando devi pagare non ti fanno aspettare – e sono andato a prendere un caffè al ginseng. Mi hanno insegnato che si dice così. Non basta “ginseng”. Bisogna specificare “caffè”, altrimenti rischi che ti servano la radice di ginseng in un bicchierino, oppure addirittura l’essenza. Nella vita bisogna essere precisi.
Fate attenzione perché ora viene il bello, o il drammatico.
Mi sono domandato a lungo se raccontarvi l’accanimento della mia deficienza cronica, oppure no. Ho deciso che sì, voi dovete sapere nonostante l’umiliazione dell’ammettere che il mio attuale stato cerebrale degenera a passi da gigante verso l’Alzheimer precoce. Tutto ha avuto inizio al bancomat della BNL accanto al bar. Ho prelevato 60 euro considerando qualcosa per la benzina, e ho raggiunto i miei amici al tavolino. Franco ha offerto perciò non mi sono subito accorto di quanto sono idiota.
Al distributore di benzina, un paio d’ore dopo, sono sceso, ho aperto il portafogli per prendere una banconota da 20 e ci ho trovato dentro soltanto un vecchio scontrino di Fruit Joy.
– Ho lasciato i soldi al bancomat – ho sussurrato piano alla macchinetta del benzinaio. Lei non ha risposto. Così ho ripetuto: – Nooo! Ho lasciato i soldi al bancomat! Non ci credo! – non riuscivo a capacitarmene.
Intanto ho inserito la tessera del bancomat, digitato il pin e scelto la pompa. In qualche modo dovevo pur pagarla la benzina. A 30 euro ho stoppato, ho rimesso la pompa al suo posto e sono partito per Teramo dove mi aspettavano Luca, Linda e Niccolò, a una cinquantina di minuti di autostrada da L’Aquila. Poco prima di prendere l’autostrada, diciamo l’ultima curva, rimuginavo sulla storia dei 60 euro regalati al signore dietro di me. Sperare che siano passati i 30 secondi, e quindi che se li sia ripresi la macchina, è troppo ottimistico pure per il periodo natalizio. Io me lo ricordo che c’era un tipo vicino all’obesità, col baffetto scalpitante e sbuffante, entranto in banca già stanco di aspettare. Non gli sarà parso vero. Ladro! Che tu possa spenderli in psicofarmaci dimagranti!
Tutto a un tratto un gigantesco punto interrogativo si è materializzato sospeso sulla mia testa come la spada di Damocle.
– Ho ripreso il bancomat dalla macchinetta del distributore, vero?! (Verooo-ooo?!)
Non vero, la tasca del portafogli era vuota. Ho fatto un’inversione che neanche al Gran Premio di Monza. Sono tornato al benzinaio. Mi sono avvicinato col passo felpato della Pantera Rosa, furtivo come un ladro. Ho spostato di peso la donna che aspettava una volce dall’Aldilà che le dicesse cosa premere, cosa fare.
Nada bancomat.
Ok, se mi hanno fregato pure quello, senza bancomat e senza portafogli dove vado a cena a Teramo, alla mensa dei poveri?
– Tieni, l’ho ritrovato io – mi dice il tipo in tuta rossa e blu.
– Ti ringrazio. Oggi è una giornatona. Prima lascio 60 euro al bancomat. Poi mi dimentico la tessera nella macchinetta vostra…
– Allora tu si scem in tutto!
Non aveva tutti i torti, anzi. Però… che modi! E io che cercavo solo un po’ di umanità mista a comprensione. Dopo Capodanno andrò in banca a fare l’ennesima figura di merda. Vi anticipo che a breve mi faranno Presidente Onorario delle Figure di Merda (P.O.F.M.) e avrò anch’io il mio vitalizio.
Domani si parte per Firenze. Capodanno è lì con i miei amici. Divertitevi come vi piace veramente! Ci risentiamo il 3, il 4. Sperando di avere ancora il bancomat con me e qualche spicciolo sul conto.

Un madre-Natale da cronaca nera

Natale se n’è andato, ma tornerà. Non è come il Marco della Pausini, disperso vent’anni fa e mai più ritrovato. Manco a farlo apposta sono veramente venti. Dal Sanremo del 1993 al Sanremo (fra poco) del 2013. L’ultima volta è stato avvistato su un treno delle 7 e 30 che assomigliava a “un cuore di metallo senza l’anima”. Quel giorno a scuola il banco era vuoto, e addio Marco. Le indagini si concentrano sull’artista stessa. Gli inquirenti stanno facendo analizzare dai maggiori linguisti italiani il passaggio della sua celebre “La solitudine” che recita: “Marco è dentro me”.
Che Laura, disperata per il rifiuto di Marco e per l’ennesimo sgarro alla sua eterna dieta, e colpita da un folle attacco di fame, si sia vendicata su tutti e due i fronti nutrendosi del suo amore impossibile (nel senso che se l’è proprio magnato)? Tutto dipenderà dai rilievi fossili riscontrati nello stomaco della signora Pausini, sperando che i suoi succhi gastrici allenatissimi abbiano risparmiato anche solo un’unghia del corpo di Marco. Purtroppo le ultime parole del Commissario Rex poco prima di morire non lasciano spazio all’ottimismo: – Quella è in grado di digerire pure i sassi.
Dalle vostre parti com’è andata questa due giorni di abbuffate non stop?
A me benissimo, a parte che:
a) Devo ancora fare tutti i regali. Mi correggo; qualcuno l’avrei anche fatto, se il postino e il corriere non avessero preso lo stesso treno di Marco. Mi perdonino tutti, ma non me la sono sentita di uscire all’ultimo momento. Ho visto delle foto de L’Aquilone che “Entrapment” è nulla al confronto. L’Aquilone è un centro commerciale: (quasi) l’unico luogo a L’Aquila dove si può sperare di trovare un regalino di cui non doversi vergognare al momento della consegna. Su Facebook si susseguivano gli appelli di casalinghe disperate, imploranti di andarle a liberare con gli elicotteri. Erano paralizzate in un chilometrico serpentone di automobili, con la coda al parcheggio del CC e la testa oltre il ponte, dove si cominciava a respirare. Roba di due ore d’attesa; molto meglio Villa Madre.
b) Il Cenone della Vigilia è stato un successo clamoroso. Ne hanno parlato anche i giornali nelle pagine di cronaca nera. Madre ha seguito “pedes… pedessi… pedessiquamente” (come direbbe il Cavaliere) le istruzioni contenute nel manuale “Mangiare Benissimo”, scritto e prodotto da Rosanna Lambertucci. Peccato che la salsa allo yogurt nella quale intingere i molluschi fatti a pezzettini per l’insalata di mare, che uno immagina delicatissima, aveva un sapore di mostarda molto accentuato e pizzicava pure. Al termine di un lungo interrogatorio, Madre ha confessato che aveva letto “un cucchiaio” invece che “un cucchiaino” e comunque le era sembrato poco e allora di cucchiai di mostarda ce ne aveva messi tre. Madre ha sempre avuto il bisogno di personalizzare le ricette. Non so se dipenda da un estro creativo soffocato in tenera età, oppure dalla sua universale diffidenza.
Il pancarrè dei crostini al salmone riproduceva alla perfezione tutte le cinquanta sfumature di grigio fino al nero petrolio.
– L’ho fatto stare un po’ di più, ma è buono lo stesso –  ha detto Madre.
La chitarrina era cruda. Lei continuava a dire che la chitarra va mangiata al dente, ma non è che ti possono cascare i denti per masticarla, penso. No?! Il sughetto non era sugoso e il pesce rimaneva sul fondo del piatto. Il sapore della chitarrina al pesce era quello della chitarrina cruda (senza pesce).
Abbiamo saltato i tranci di salmone al forno, chiedendo a Madre in coro di non offendersi. Sospetto fossero il piatto meglio riuscito. Lei ha compreso benissimo tanto che da quel momento, e per tutto il resto del tempo del convivio, a intervalli regolari ripeteva: – Ho sbagliato tutto come ogni anno. Mai più, mai più!
Quando è finalmente arrivato il momento di scartare la gigantesca torta colorata acquistata dal madre-marito, e per la quale Madre non smetterà mai di rimproverarlo a insulti pesanti, si è materializzato un poltergeist che evidentemente riposava nella panna. La torta doveva essere una tortina artigianale per 4 persone, invece il madre-marito si è ripresentato con una scatola di un metro per un metro che in frigorifero ci entrava solo lei. E sapete bene quali sono le condizioni di un frigorifero di medio ceto sociale dal giorno della Vigilia fino a Santo Stefano. Pareva una di quelle che gli americani dei telefilm si lanciano sulla faccia, pomposa di panna azzurra, bianca, gialla e traballante. A tutto lasciava pensare tranne che alla genuinità, insomma.
Madre l’ha presa fra le sue mani e si è resa protagonista di un fenomeno religioso straordinario: la liquefazione della torta. La nascita del Bambi (cerbiatto) Gesù, del quale stavano mandando il film in tivù, deve aver influito positivamente, fatto sta che nessuno di noi poteva crederci. La torta in pochissimi istanti si è trasformata in un liquame che fuoriusciva dai piattini. Dopo le festività verranno condotte le dovute indagini per dichiarare Villa Madre luogo sacro di culto e pellegrinaggio per i tantissimi fedeli di Madre. Questo ha di molto aggravato la condizione processuale del madre-marito riaccendendo su di lui la mitragliata di accuse. E pensare che il poveruomo aveva passato cinque ore a fare la spesa, e speso 30 euro in telefonate a Madre per fugare ogni dubbio e assicurarsi di non aver interpretato male i geroglifici sulla papirica lista madrestilata.
c) Il pranzo di Natale ha seguito le orme del cenone con in aggiunta il pericolo disumano dell’unica nonna ancora in vita, TheMadrefather, 83 anni: la donna visitata tutte le notti dai morti che le lasciano dei messaggi per noi, che lei poi non riferisce perché se no “ci rimanete male”. Ha salito a fatica le scale. Ogni passo corrispondeva nel mio apparato respiratorio a un micro attacco d’ansia. Ha varcato la soglia dicendo: – Il silenzio è d’oro – frase che mi ha dapprima rassicurato e poi inquietato. Cosa aveva da dire? Si è fatta la sua insulina a casaccio: – Tre dosi dovrebbero bastare, male che va me ne faccio altre tre – insistendo perché tutti la guardassimo mentre s’infilzava l’ago nella pancia. Io alla fine ho pure applaudito.
Il silenzio d’oro è durato fino al brodo con gli gnocchetti fritti, tosti quanto un asino. A discolpa di Madre va detto che quelli li ha ordinati alla Pasta all’Uovo di fiducia, che ringraziamo di cuore per averci fatto fare l’ennesima figura di merda. Per non dire che TheMadrefather ha qualche problema ad acciaccare. Capite che il buonumore iniziale è stato rimpiazzato da una furia violentissima che la vegliarda ha scaricato sulla mia persona.
– Quando ti laurei?
– Ma ti laurei, sì?
– Mo’ laureati e poi…
Buttandola infine sul pietoso: – Prima che mi moro (ha detto proprio “moro”) voglio vedere la tesi.
Questo suo punzecchiare insistente ha innescato le solite uscite alla pene di quadrupede del madre-marito, figlio fedele di TheMadrefather, e quindi la civilissima discussione natalizia annuale proprio quando mi stavo illudendo di essermela risparmiata.
Per fortuna le treccine fucsia sintetiche di Secondogenita hanno attratto l’attenzione di TheMadrefather, concedendomi preziosi minuti per ricaricare la perseveranza del silenzio.
Alle 5 del pomeriggio ho fatto una cosa senza pensare. L’ho fatta e basta. Mi sono messo sotto le coperte e ho spento la luce. Poi, mentre riguardavo lo spettacolo di David Copperfield in tivvù – sarà stata l’atmosfera magica – ho capito che le persone che ami, quando se ne vanno, ti lasciano pure le loro abitudini.

Il mio regalo di Natale per voi

copertina-lvdcca1Facciamo presto presto. Oggi è una giornata frenetica perciò andiamo subito al sodo.
I più attenti avranno notato che da qualche settimana nello slider in alto si è aggiunto un nuovo nato tutto blu, “La vita delle cose che amiamo”.
Anna Albano è un’editor indipendente nonché padrona di casa dello stupefacente Cose da libri. Io sono un bravo ragazzo, non ho vizi e tante virtù, ma pur’io mi drogo, e la mia dose quotidiana di “Cose da libri” non me la leva nessuno. Un giorno di primavera Anna mi ha chiesto un contributo per la sua collana di ebook “Le perline”, grani di editoria illustrata e gratuita. Io ho avuto un mancamento, ricovero in ospedale e tutta la procedura di primo intervento e pronto soccorso. Quando sono stato dichiarato fuori pericolo mi sono commosso e ho scritto “La vita delle cose che amiamo”. Anna l’ha editato aiutandomi a farlo diventare bello com’è, e Raffaella Valsecchi l’ha illustrato onorando al meglio il difficile compito di colorare un’atmosfera.
Nonostante il lavoro appassionato di tre persone, “Le Perline” sono tutte gratuite. E’ una precisa scelta di partenza legata alla convinzione che talvolta si può rompere la corrispondenza lavoro-denaro. Quando c’è di mezzo la passione ci si può permettere tutto (nel limite del lecito, sia chiaro).
Questo è il mio regalo di Natale per voi. E’ un racconto breve che per me ha un significato speciale, che sono sicuro individuerete e capirete leggendolo. Ringrazio Anna e Raffaella per avergli regalato una veste così elegante, e a me un’emozione così grande.
Per leggerlo vi basta cliccare qua e scaricare il pdf sul PC. Fatemi sapere! (Magari per gli insulti aspettate la fine delle feste che non è carino in concomitanza con la nascita del bambin Gesù.) C’è una rinascita anche nella mia storia. Se vi piace, condividetela con le vostre care e i vostri cari. Usatela come biglietto di auguri, allegatela alle email natalizie, fatene un po’ quello che volete. E’ vostra!
Allora buon Natale! Che sia bello, ma bello bello.

“Splendidamente” un cazzo!

Insomma siamo al 23. Chi l’avrebbe mai detto? Tutti. Ok, tranne Giacobbo, Bossari e i Maya che non possono spiegarci. C’è un Maya all’ascolto? Non si sa may(a). ah-ah
La puntata di Mistero, in diretta su Italia1 dall’Osservatorio La Torre del Sole, e dedicata all’attesa della fine del mondo, è stata sì catastrofica, ma da tutt’altri punti di vista. Non mi sono mai vergognato tanto per qualcuno come l’altra sera per Daniele Bossari. Mi ha fatto tanta tanta tenerezza. Gliene fosse andata bene una, poveretto! Non ha funzionato niente, ma niente niente.
I microfoni erano stati disattivati dagli alieni, presumo, visto che si sentiva soltanto la voce del “presentatore”. Quando veniva interpellato un ospite, la prima metà del discorso te la dovevi leggere sul labiale, prima che qualcuno si ricordasse di accenderlo.
Il jingle della pubblicità con la scritta “Mistero” tutta misteriosa fra le stelle s’inceppava due pause su tre. Quando poi, alle 23 e 30, è passato il promo della nuova stagione, mi sono dovuto dare una grattatina. Recitava più o meno così: “Se stai vedendo questo spot significa che la profezia dei Maya non si è avverata, e quindi ti aspetta un altro entusiasmante anno di misteri con Mistero”. Soprassediamo sulla straordinaria fantasia di chi l’ha ideato. Mi domando: non era un attimino presto per mandarlo, visto che mancava ancora mezz’ora più tutto il 21?
Bossari cercava disperatamente di movimentare l’atmosfera, quella del programma e quella terrestre, tenuta d’occhio sui monitor piazzati su tutti i lati dell’osservatorio. Dall’aria che tirava mi aspettavo che da un momento all’altro comparisse all’orizzonte una meteora grossa come 10 volte l’America, e si mettesse a correre verso la Terra, più precisamente l’Italia Pelbaese, che se fosse un formaggio sarebbe il marcetto. A quel punto Napolitano Cuor di Leone che fa? Be’, si dimette. Monti, prima di fare lo stesso come ha fatto, ordina a Equitalia di far pervenire alla signora meteora una sostanziosa cartella esattoriale per saldare subito l’occupazione del suolo pubblico. In allegato, come regalino di Natale a tradimento, pure una multarella per il futuro disastro ambientale e la distruzione di massa che si appresta a portare a compimento. La stessa multa per la futura distruzione di massa l’ha fatta recapitare ad Arcore. Per il momento, soltanto per conoscenza.
Visto che, non volendo, ho nominato Arcore, devo aprire una piccola parentesi su di Lui con la elle maiuscola. Il signor Silvio Berlusconi ha deciso di ri-ri-ri-ributtarsi (nell’indifferenziata? No) nella mischia politica. Mi viene il vomito. Per recuperare il terreno perduto sui suoi avversari ha deciso di traslocare in televisione e farsi riprendere da quando si sveglia, e va subito al bagno a fare la cacca, fino a quando va a dormire abbracciato stretto stretto alla bis-nipote Francesca. Ah no, è la fidanzata. Un po’ come se io mi fidanzassi con una ragazza che nascerà fra 17 anni. Anche su questo non voglio esprimere altro che vomito. Ma dell’esternazione a Porta a Porta: “A L’Aquila abbiamo risolto il problema in poche settimane splendidamente” ne vogliamo parlare?
No, mi sono detto. E ingoio e ingoio, ma a un certo punto, credetemi, un Vaffanculo a cuore aperto mi parte, scusate. Questo è veramente troppo, signori. C’è qualcuno all’altro lato del monitor che creda o abbia creduto che Silvio Berlusconi avesse risolto il problema L’Aquila? (Sì, da qualche tempo siamo diventati un problema.) Io non chiedo tanto, ma quello “splendidamente” bisognava mettercelo per forza? Non sarebbe bastato e avanzato l’insulto di dire che avete risolto il problema L’Aquila e fine, stop della frase? Doveva, signor Cavaliere, aggiungere quell’immondo “splendidamente”? Lo sentite il suono dell’offesa, della presa per il culo? Il suono dell’onnipotenza di questo robot dalla impunita licenza di mentire? Perché in quel momento non si è alzato nessuno armato di una mitragliatrice e gli ha svuotato un caricatore di bussolotti in bocca? Perché Bruno Vespa, aquilano che piange in tivù quando deve presentare i suoi libri natalizi e gli domandano de L’Aquila, la sua “più dolorosa ferita aperta”, le stesse lacrime di Elsa Fornero quando tenta ma non riesce a dire la parola “sacrifici”, non ha ribaltato Berlusconi con tutta la bianca poltrona? Servo dalla lingua felpata! Avresti dovuto rispondergli che solo ora stanno abbattendo le costruzioni di categoria E (tipo casa mia, proprio in questi giorni) altro che “splendidamente in poche settimane”.
Chissà se a questi punti interrogativi gli scienziati di Mistero avrebbero saputo dare una risposta. (Lo chiudo così il discorso di Berlusconi, con una stanchezza aquilana nelle membra e nelle orecchie e nella sopportazione. Non ci servi Silvio, ‘sta città ce la ricostruiamo noi. Ci impiegheremo una vita, anche due. Lo faremo male, ma sarà e potremo dire che sarà sempre stata la nostra città).
In studio hanno smentito tutte le teorie, tutte le profezie, tutti i teoremi, facendo sembrare Daniele Bossari un defiente. Una studiosa, stremata, a pochi minuti dalla presunta apocalisse, ha alzato la mano e ha detto: – Questa è pura disinformazione!
A inacidirli dev’essere stata la posizione. E come dargli torto? Col culo costretto per 3 ore di diretta su uno dei duri gradoni che componevano la scenografia, come neanche la peggiore Maria De Filippi. Li vedevi ondeggiare, prendersi le ginocchia, muovere il busto, spingersi con le mani per sollevarsi quel tantinello da riattivare la circolazione alle gambe, tirare la bocca in smorfie di dolore. Dei collegamenti ne fosse andato bene uno. Ce n’erano anche di interessanti tipo quello coi ragazzi di Skylive che non conoscevo (e non ho potuto apprezzare tramite Mistero, ma che poi mi sono andato a vedere e hanno messo su una roba pazzesca). La comunicazione si perdeva nell’aere.
Daniele chiamava: – Ragazzi, mi sentite? – che ho pensato si stesse collegando con la casa del Grande Fratello. Quelli si guardavano come a dire: “Boh!” e cacciavano un rutto. Neanche quando dalla base Nasa di Cape Canaveral tentavano di mettersi in contatto con l’equipaggio dello shuttle Discovery si sentiva e si vedeva così male. C’era un ritardo di due giorni e mezzo. Jane Alexander, spedita a Cisternino, riceverà fra una decina di minuti la domanda clou di Daniele Bossari: – Come vive quest’attesa la popolazione dell’unico paese che verrà risparmiato dalla profezia?
E per fortuna che c’è Jane, verrebbe da dire. Con la scusa che non sentiva le domande da studio, si è impossessata della linea e urlava e saltava come una pazza in discoteca, secondo me con in corpo 4 o 5 bicchierini di sangria. Perché a Cisternino si festeggiava. Che ci sarà mai da festeggiare nell’estinzione della specie umana tranne la loro, vallo a capire. A un certo punto il sindaco di Cisterino ha cominciato a fare discorsi sull’enorme responsabilità che in quelle ore e nei giorni futuri avrebbero gravato sulle sue spalle. Insomma, c’era da ripopolare un pianeta, da affrontare anni di buio cosmico, fame, difficoltà. Cioè, quello lì era entrato totalmente nella parte!
Daniele Bossari continuava a guardare l’orologio, come se i Maya, 1000 e passa anni fa, ragionassero col fuso orario italiano. Secondo me si stava rompendo talmente tanto le palle che non vedeva l’ora di porre fine a quel baraccone. Tanto che ho pensato. Sai le risate se a mezzanotte in punto casca una meteora piccola piccola, ma abbastanza grande da distruggere l’osservatorio con Bossari dentro?
Piccolo PS: collegatevi domani che ci facciamo gli auguri, e io ho un regalo per voi.
(Vignetta presa da eccesatira.blogspot.it)

Andrea De Carlo ricoverato a Villa Metaphora coi suoi lettori

A molti di voi sarà capitato di recarvi in libreria e inciampare in una catasta di blocchi rosa che ostacolavano il passaggio. Spero non vi siate fatti male. Come avrete poi avuto modo di notare, si trattava delle copie del nuovo libro di Andrea De Carlo dal senile titolo di “Villa Metaphora”. La bellezza di 921 pagine, non tantissime se paragonato allo Zanichelli che ne ha appena il doppio. Vi lascio interpretare liberamente la parola “bellezza”.
Non lo leggerei nemmeno se mi ritrovassi sua maestà editrice di Bompiani Elisabetta Sgarbi in persona, fuori il portoncino blindato di Villa Madre, a supplicarmi di farlo con una copia in una mano e 5mila euro nell’altra. Ehm, forse in quell’unico caso lo leggerei. Però non si capisce per quale motivo dovrebbe accadere un evento simile, perciò possiamo considerare fantascientifica l’ipotesi e procedere.
Perché parlare di Andrea De Carlo visto che non ho neanche letto il tomo? Bella domanda. Comunque un motivo c’è ed è il seguente. In questi giorni un’interessante popolazione di curiosi sta colonizzando queste pagine alla ricerca googliana di news, aggiornamenti, trame, recensioni, provocazioni, svolte imprevedibili intrecciate nell’ultima opera dell’Andrea De Carlo perduto. E cosa trova? Va a finire in un post che ho scritto due anni fa dopo aver comprato (quindi pagato) e letto LEIELUI (tutto attaccato e maiuscolo), la sua precedente fatica letteraria appena uscita. Mi sono sentito in dovere di esprimere la mia opinione di ribrezzo provato nel corso e dopo la lettura. Il post, che molti dicono essere divertente, potete leggerlo cliccando qua.
Ora vorrei porre l’attenzione sul commento di un tal Carlo (dalla fantasia dimostrata nella scelta degli ultimi titoli direi che potrebbe trattarsi benissimo di Andrea De Carlo sotto mentite spoglie) che in disaccordo, diciamo così, col parere espresso nel post mi scrive (bambini, a letto!):

De carlo è attualmente il più grande scrittore italiano in assoluto. Criticarlo è ammettere le proprie frustrazioni di chi non potrà mai esserlo.. oltretutto, ma chi ti chiede di leggerlo? orgasmo riuscito male in un mare di nulla.. i tuoi sogni di adolescente scrittore, come dici tu, sono rimasti tali e allora devi rompere i coglioni a chi di libri ne scrive da trent’anni, sei nato nel 1981 quando De Carlo pubblicava il suo primo libro e già vieni a fare il pierino della situazione? ma chi li vuole sentire i tuoi commenti di merda? Non nominare lettura e letteratura fai il favore, non scrivere libri pagando gli altri per scriverli…come sai benissimo di fare..raccontalo a tutti come li hai pubblicati! le pagine dei tuoi libri sono buone per pulirsi il culo, ma che razza di titoli idioti, ambigui e pieni di luoghi comuni, basta legger la trama e ti viene il vomito nero..leggiti qualche rivista rosa in meno piuttosto, che ti prende un crampo alla mano destra a forza di usarla, sempre meglio così comunque, che per scrivere cazzate!

Vi chiedo perdono per non essere intervenuto nell’editing del commento. Avrei potuto sistemare almeno maiuscole e punteggiatura per rendere la lettura un po’ più agevole. Ricevere questo commento mi ha fatto un grandissimo piacere. (Cosa sono quelle facce?) Come sapete io tengo molto in considerazione il parere dei miei lettori (e pure di quelli di Andrea De Carlo a ‘sto punto, “il più grande scrittore italiano in assoluto”. Pensa te come siamo messi in Italia, verrebbe da dire). Mi spiace solo che Carlo abbia dovuto patire in sequenza un orgasmo riuscito male – non preoccuparti, capita a tutti di fare cilecca – e il vomito nero. Tutto per colpa mia. Mi risulta che quando vomiti nero è perché nello stomaco è rimasta soltanto la bile, e cacci pure quella. Mio zio medico ti consiglierebbe di bere subito qualche bicchiere d’acqua. Dicevo che io dai commenti come quello di Carlo cerco di assorbire i preziosi consigli pur se celati dietro espressioni un po’ colorite e molto originali. (Quella del vomito nero me la sono già rivenduta, per dire). Perciò ho immediatamente convocato a riunione straordinaria i miei ghostwriter, sono più di uno e meno di dieci, cioè coloro che “io pago per farmi scrivere i libri”, e ho chiesto loro di concentrarsi sulle trame dei prossimi affinché, se proprio devono far vomitare, che sia di una tonalità più chiara, che so, una sfumatura di grigio che a livello di marketing funziona di più. I titoli “idioti, ambigui e pieni di luoghi comuni” io li creo su commissione. E’ la mia specialità. Carlo De Carlo pensa (se ci riesci), c’è gente che mi telefona e mi dice:
– Sparami un titolo idiota, ambiguo e pieno di luoghi comuni!
E io là TAC! “Villa Metaphora”, oppure… sì eccolo, “LEIELUI” e aggiungo: – Mettilo attaccato e maiuscolo, se no ti dicono che hai copiato a “Io e te” di Ammaniti.
Carlo, cerca di non arrabbiarti troppo, vendi cara la bile e sii felice.
(Voglio farmi una cultura, quella che mi manca e si vede, come tu e tanti altri quotidianamente notate. Che dici, meglio “Chi”, “Gente” o “Dipiu”?)