To Florence. Che, detto così, fa molto Madonna

Noi, la curva

La Papi mi ha trovato fuori Villa Madre al buio delle 5 del mattino. Ero riverso sul trolley. Appisolato, con le gambe sull’asfalto. Mi ha caricato sulla sua vomitevole Ka turchese, e si è diretta verso il luogo dell’appuntamento con la Francesca. Nel frattempo, enumerava tutto ciò che aveva dimenticato. Mentre io avevo ripreso già il mio sonno interrotto dai suoi fari lampeggianti: Pure l’accappatoio, mannaggia! E gli asciugamani, lo spazzolino, il dentifricio, il bagnoschiuma, la pinza a forma di occhiali da sole. Ah, gli occhiali da sole. Cazzo! Ho buttato tutto dentro al trolley senza pensare. Va be’, mo’ che lo apro, scopro cosa c’è. Andiamo con la macchina della Francesca, sua amica e adesso anche amica mia. La verità è che l’automobile è di una nota azienda che si è fatta carico del nostro viaggio. La Francesca doveva andare a Firenze per lavoro, e il gioco è fatto. La Papi, qualche centinaia di metri prima dell’imbocco autostradale, si ricorda che fra le cose dimenticate c’è anche il caricabatterie del cellulare. Non abbiamo scelta: senza cellulare muore. E’ una forma di vita evoluta. Per sopravvivere ha bisogno di aria, acqua, sostanze nutritive e Whatsapp. Torniamo a casa sua, dall’altra parte della città. Torna in macchina con in mano il caricabatterie e il pigiama, tanto che c’era. Arriviamo a Firenze e dintorni alle 9 e mezza, che pare ora di pranzo. Alle 14, ora di cena. Alle 17, di andare a dormire, posticipata però alle 3 del mattino.
La prima giornata la rinominerei Survivor. Francesca doveva recuperare delle carte importanti per la sua generosa azienda. Il nostro ruolo stava nell’aiutarla a districarsi fra un Comune e un altro, dove il navigatore nulla poteva: fra sensi vietati e parcheggi strampalati. Il momento più brutto si è consumato quando è dovuta passare in sede, e restarci un paio d’ore. Ha raggiunto il parcheggio travolgendo 4 o 5 volte i piccoli cordoli separatori, e una volta il muretto, causa di un’onda sul cerchione tutto storto: Ma questo mica l’ho fatto io! Io e la Papi abbiamo avuto la brillantissima idea di sfruttare l’attesa per recuperare parte del sonno perduto. Così, abbiamo allungato i sedili e ci siamo addormentati alla ridicola ombra di un alberello spelacchiato. Meno di un quarto d’ora dopo, ci ritroviamo in una condizione di pre-morte. Avevamo consumato tutto l’ossigeno, lei più di me. La temperatura si aggirava attorno ai 600 gradi. La bocca era incollata, che io non sono riuscito a dire nemmeno: Aiuto! Quello che ho potuto fare è stato colpire un paio di volte il finestrino con la mano. Qualcuno fuori ci guardava commentando con gli occhi: I soliti zingari barboni. Ci ha salvato Francesca, di ritorno dalla sede con un paccone di fogli e una bottiglia di acqua gelata. A casa di Luca e Linda baci e abbracci, e docce. A cena siamo stati da Pizzaman. Io devo andarci, altrimenti potrei diventare violento. E loro lo sanno. Se capitate in zona, andateci e chiedete un panuozzo. Il panuozzo di Pizzaman è l’estasi. Poi abbiamo festeggiato i 26 anni di Niccolò fuori al caffè letterario Le Murate. Seduto a terra, in quello spiazzo circondato da mura antiche illuminate, tavolini, gente, e dai miei amici, mi è salito il brividino della felicità. Quello che torna di rado, quello sincero.

Mancata insolazione

Sabato era il Madonna Day, che rinominerei Sbagliare è umano. Se perseveri, però, sei scemo. Quando ho spinto il portoncino del palazzo di Luca e Linda, dopo aver recuperato le 36 ore di sonno perso, mi sono scottato la mano sulla maniglia rovente, prima di venire investito da una botta d’aria infuocata, che mi ha bruciato i peletti della barba. Per le strade si respirava un odore di pollo bruciacchiato. Non proveniva da una rosticceria ambulante, ma dalla gente, che stava ardendo viva. Il sudore fuoriusciva dai pori e tentava una vana fuga prima di arrendersi all’evaporazione. E io, in queste condizioni da allarme rosso, a fare la fila fuori allo stadio ci vado col mio testone all’aria, parzialmente mancante di protezione pelifera. Come accadde nel lontano 2006 sempre da Madonna, però a Roma. Quanto mi sono pentito di aver scacciato decine di venditori del MDNA-cappellino, con la scritta fatta a mano. Oserei dire a penna. Col senno di poi, avrei dovuto comprarlo a qualsiasi cifra. Per fortuna che c’è la Papi, pronta a spogliarsi nuda pur di proteggermi da una terribile insolazione. Di tanto in tanto passava qualcuno a bagnarci con gli idranti, come i carcerati. Avrei voluto strangolare le ragazze davanti che godevano sotto il vapore ghiacciato, mentre a me arrivavano 2 schizzetti. Che senso di impotenza! Hanno aperto i cancelli alle 18 passate, mentre lei, la mamma di Gesù, faceva shopping in bicicletta per Firenze. Ci siamo appropriati di un ottimo posto in curva, a 60 chilometri dal palco, ed è cominciata la trafila della Papi e della Francesca direzione bagni. Anzi, bar: Vado a fare pipì! E tornavano con un paio di birre ghiacciate a testa. Alla terza volta, ho pensato che quella nel bicchiere non fosse birra. Scusate! Ci vuole poco ad entusiasmare l’intera curva di uno stadio, e l’Artemio Franchi non è piccolissimo.

Le birre

Bastano due ragazzi magri, con la t-shirt dozzinale del MDNA-tour, scatenatissimi in una coreografia studiata con tanto di playback, che neanche a Non è la Rai. La curva li acclamava in applausi e ole, e quelli continuavano a concedersi ai loro fan. Alle 20 inizia lo show di Martin Solveig, che fa ballare lo stadio con i suoi remix. Io non lo conoscevo prima e non lo conosco dopo. Alle 21, il cielo è ancora chiaro. E’ normale che Madonna aspetti ancora, penso. E poi penso pure che i giornalisti, invece che gridare e scrivere allo scandalo per il ritardo di Madonna, potrebbero prendersela con gli organizzatori che lasciano migliaia di persone ammassate sotto il sole ben oltre l’orario di apertura stampato sul biglietto. Madonna entra e dice: Salute! Io penso che il suo ballerino abbia starnutito, e invece no. Mi è piaciuta. Uno show stupefacente, che noi abbiamo potuto seguire passandoci il binocolo di Luca del quale, dopo la serata, si sono perse le tracce. Del binocolo, non di Luca. Mi sono piaciute le scenografie, gli effetti speciali, le provocazioni contro la parte più squallida della nostra Chiesa. La sua voce, che non sarà quella di Leona Lewis, ma conta poco, se la riconosceresti fra milioni. Tutto tranne la versione che ha fatto di Like a Virgin. Ho dato disposizioni di mandarla durante la mia sepoltura, quando sarà. Naturalmente a palla. Per il resto, ho avuto l’impressione di una star senza tempo, con ancora miliardi di cose da dire e da fare. Capace di reinventarsi, di cantare e ballare e fare capriole a 54 anni. E io che, dopo una mezz’oretta in montagna, soccombo per un enfisema polmonare. Non credevo, e invece mi ha stupito ancora. Grande rispetto, grande soddisfazione. Siamo ripartiti con in corpo 200 grammi di pasta, e un gelato che ci è rimasto qua, visto che di domenica alle 15 erano chiusi tutti i bar di Firenze, Gelatando in particolare. Io e la Papi siamo arrivati a lavoro con un’onesta ora di ritardo. L’autostrada è piena di traffico e inconvenienti, si sa. Madonna è rimasta a Firenze qualche giorno in più per girare il video del nuovo singolo. Avrà gradito la permanenza presso l’Hotel St. Regis. Io sarei rimasto a Firenze per sempre, per far diventare vita mia quella vita parallela nella quale posso tuffarmi per brevissimi bagni di amicizia e felicità. Amici miei, vi adoro.

La Giornata di Cacca Lenta 2012

Riorganizzavo le idee, le immagini e le sensazioni dei 3 giorni fiorentini. Non sapevo ancora che, prima di poterveli raccontare, avrei dovuto attraversare il buco nero: la mia giornataccia del mese, che se la batterà alla grande per aggiudicarsi il titolo finale de La Giornata di Cacca Lenta 2012. Perciò rimando il resoconto madonnaro, anche in attesa di recuperare qualche fotografia, e mi dedico all’esposizione delle catastrofi che si sono abbattute sulla mia persona lunedì 18 giugno 2012. Dopo lunghe e tortuose ricerche, mi sono imbattuto in un veterinario ortopedico al quale ho raccontato le tristi vicissitudini di Zion-cane, bruttissima esperienza col dottor Macello inclusa. Lui mi ha invitato a prendere un appuntamento presso la clinica dove lavora, a Pescara stavolta. Il 18 alle 18, che è anche facile da ricordare. Sebbene conosca la strada, imposto l’indirizzo sul nuovo navigatore Waze, per provarlo. Me l’ha fatto scaricare la Papi dallo shop del cellulare. Lo trova meraviglioso perché interagisce con lei offrendole, di tanto in tanto, caramelline virtuali e bonus, come premio per non aver ancora saltato alcuna indicazione. Si è così specializzata, che i viaggiatori sparsi per l’Italia chiedono a lei, via chat, notizie sul traffico, ingorghi, autovelox, posti di blocco. Quando la Papi si imbatte in un fenomeno stradale degno di nota, lo fotografa e condivide l’immagine sul suo social Waze. E’ diventata la migliore amica dei camionisti, dopo Manuela Arcuri e Stefania Orlando coi loro calendari sexy. Mancano un paio di chilometri alla clinica, e una tacca allo spegnimento del telefono. Waze ha assorbito la batteria come una spugna. Devo acquistare un caricabatteria da auto, penso. Siamo quasi arrivati. Un numero di cellulare che non ho in rubrica, ma che riconosco, perché aveva provato a chiamarmi anche in mattinata, lampeggia sul monitor. Ricordo di aver pensato: Non sarà niente di importante. Nel caso, richiamerà. Non riesco a rispondere neanche in macchina. Alla guida non si dovrebbero fare 100 cose, nemmeno 2, così ho preferito aspettare di parcheggiare, per richiamare. Non sapevo che era il cellulare della clinica, e che una fanciulla bionda stava tentando di mettersi in contatto con me. Il dottore aveva deciso di rinviare tutte le visite per un malore.
Ho provato 100 volte, credimi, ma era sempre spento, oppure non hai risposto, mi ha detto una volta dentro. Conclude: So che venite da lontano. Mi spiace davvero tanto di avervi fatto fare un viaggio a vuoto.
Dispiace anche a me, ma non così tanto come mi dispiacerà fra un’oretta. Però ancora non lo posso sapere. Prendo appuntamento per il lunedì successivo, 25. Nel frattempo Zion-cane fa la cacca su un marciapiede residenziale. Non riesco a intravedere, in un orizzonte di chilometri, una carta appallottolata, o una cicca di sigaretta, e quella cacca è un cazzotto in un occhio. Secondogenita non ha con sé il kit di rimozione degli escrementi canini. Entro in un bar e chiedo un sacchetto vuoto: Uno di quelli per portare via i cornetti dolci andrà benissimo.
Dopo un’ora e mezza di inutile viaggio, ci rimettiamo in viaggio. In macchina regna il silenzio disarmato di due poveri disgraziati che non sanno veramente più che dire. Gira proprio tutto storto attorno alla piccola Zion-cane, che non ha potuto neanche essere visitata. Comincia a girare tutto storto pure attorno a me in piena autostrada. Secondogenita si è appisolata. Zion-cane se ne sta zitta zitta, accucciata dietro. Uno sbattere di pezzi di metallo, simile a una mitragliatrice, raggiunge le mie orecchie durante il sorpasso di un gigante veicolo lento. Penso che arrivi da quello, e che dopo averlo distanziato non lo sentirò più. Invece il frastuono aumenta. Quando capisco che il problema sta nella nostra automobile, sveglio Secondogenita con quest’intelligentissima domanda: Secondo te questo casino è normale?
Non era normale. Non c’è la corsia d’emergenza, né una torretta di quelle dove chiedere aiuto premendo un pulsante. Fermo la macchina in piena corsia autostradale. Abbiamo forato. Non un buchino di spillo, ma uno squarcio grande quanto una mano. Come se la gomma fosse esplosa. Non ho con me il giubbino catarifrangente. Penso che avrei dovuto procurarmene uno in 12 anni di patente. Io le penso sempre dopo queste cose qui. Ho una minuscola tacca di batteria che è diventata rossa. Quando diventa rossa significa che potrebbe, ma non è certo, reggere una chiamata di 2 o 3 minuti al massimo. E io a chi la faccio? Al madre-marito, la persona sbagliata: Trova un gommista! Ma sono in autostrada. Allora esci dall’autostrada e trova un gommista. Ma mancano 45 chilometri al casello, e la macchina si sta distruggendo. Dietro c’è il ruotino. Metti il ruotino! Ma io non ho mai cambiato una gomma, non so neanche dove va fissato il crick.
Cade la linea. Il telefono si spegne. Secondogenita si mette a ridere. Sta pure calando la luminosità. A momenti sfreccerà un camion Bofrost e mi travolgerà. Mi siedo sul guard rail, e chiudo gli occhi. Ora scoppio a piangere, penso. Mi ripeto: Non posso cambiare una gomma io. Io… non so come si fa! Poi mi faccio forza. Apro il portabagagli. Scopro il vano segreto che custodisce il ruotino e una borsetta. Dentro ci trovo una chiave per i bulloni, un cacciavite, una stecca di ferro con una manopola di gomma che gira, un triangolo di metallo: Sarà questo il crick!? Secondogenita risponde: Boh, ma sbrigati che fra un po’ farà notte. Insomma, il crick si sganciava continuamente. I bulloni parevano incollati. Per svitarli incastro la chiave e ci salgo sopra col piede, pregando la Madonna (non quella che ha cantato a Firenze, ma quella che sta in alto, nei cieli) che la direzione giusta sia l’antioraria. Con la sola forza della disperazione, i consigli di un automobilista, che si ferma in autostrada a soccorrermi, e seguendo meticolosamente le immagini stampate su un adesivo incollato al crick, con le scritte in giapponese, riesco a smontare la gomma, a mettere il ruotino e a ripartire all’imbrunire. Arriviamo a L’Aquila che sono quasi le 8 e 30. Il gommista più vicino ha già chiuso le saracinesche dell’officina. Sorride alla moglie che l’aspetta in macchina. Attiro la sua attenzione invocando una leggera lacrimazione dell’occhio destro: Ho forato in autostrada. Ho messo il ruotino fra 1000 fatiche disumane. E’ davvero difficile fare una cosa pure non così complicata, per chi non l’ha fatta mai. Non è che potrebbe ripararmi la gomma o, in alternativa, cambiarmela? Lui mi guarda impietosito, non so se da me e dalla mia storia, oppure dall’immagine di Secondogenita con le treccine giallo-nere e molteplici tatuaggi di morte sul corpo. Saluta la moglie: Ci vediamo a casa. Mi cambia le 2 gomme posteriori. Devono essere uguali, se no la macchina non è in equilibrio. Sbuffa un paio di volte, ma lo capisco. Mi chiede 116 euro per 2 gomme nuove, mi aspettavo di più. Sarei stato pronto a pagare di più, pur di tornare a casa col lieto fine. 116 euro di gomme più 30 di benzina e 12 di caselli per non aver concluso niente, in questa tempesta di caldo soffocante. Madre, alla finestra, ride di me e annuncia ai commensali il mio ritorno: Ecco Matteo, che sta incazzato.
Ho imparato almeno due cose da quest’esperienza.
– Ora so cambiare una gomma.
– C’è chi infrange la legge per aiutare qualcun altro in difficoltà, sulla cui strada s’è imbattuto, e che prima d’allora non conosceva. Questo è per me una grande lezione di vita, oltre che un esempio per il futuro.
Alla sera resto a casa a guardare la partita, e a soffrire per quest’Italia che raddrizza la Giornata di Cacca Lenta 2012. E che adesso se la vedrà con l’Inghilterra.

[Madre Sostitutrice]

Oggi ho indossato il mio paio di scarpe rosse di tela da passeggiata, pagate 9 euro al Decathlon, ed erano ispiegabilmente strettissime. Ma io ci sono andato a lavoro lo stesso.
Tornato a casa, mi sentivo come una bambina dell’antica Cina alla quale hanno fasciato i piedi per mantenerli piccoli.
– Ma ti sei messo le scarpe di tuo padre?
– No, le mie. Quelle rosse!
Lei comincia a ridere, ma ride senza fiato, tipo asma.
– No, ti sei messo quelle di tuo padre, che gliele ho fatte comprare uguali alle tue, che costavano poco. Solo che sono 2 numeri più piccole!
-…

Madonna sarà invecchiata, ma pure i fan mica scherzano

Stanotte alle 5, o domattina, che dir si voglia, comunque alle 5, stacco la spina e la riattacco a Firenze. Quanto mi piacciono i ritorni! Rivedrò Palazzo Vecchio, la giostrina di Piazza della Repubblica con la libreria Edison sotto i portici. Se solo potessi, traslocherei al reparto narrativa, e andrei avanti a pane, acqua, libri e presentazioni. L’Arno con tutti i suoi ponticelli. Mai abbastanza lontano da me è nato proprio su uno di quelli, prima che a L’Aquila, e poi è andato a finire dentro Una valigia tutta sbagliata. E i miei amici, che certi giorni mi mancano da starci male. Ogni volta che li sento al telefono, penso a quanto tempo insieme stiamo perdendo, forse sprecando. Sento il bisogno fisico di riabbracciarli. Tanto che ci siamo, andiamo pure a gustarci il buon brodo di quella gallina vecchia di Madonna. Ho sempre pensato che non sia ‘sto granché, e non ho cambiato idea nel 2006, quando ho assistito al suo show a Roma. Se penso a Madonna, mi viene in mente uno speciale televisivo dedicato a com’era/com’è: come e cosa sono diventati i VIP invecchiando. La bambola Barbie è diventata Madonna, appunto. Allo stadio Olimpico di Roma, il 6 agosto del 2006, ho vissuto la giornata più asfissiante della mia vita. Dovrebbe esserci qualche resoconto su queste pagine ma, al solo ripensarci, mi mancano le forze per cercarlo. Dopo le prime 5 ore di attesa, in piedi, sotto il sole, circondato da corpi parcheggiati a una distanza massima di 6 millimetri dal mio, ho iniziato a vedere milioni di pallini neri su fondo bianco. Non so se avete una vaga idea di quanti gradi possa raggiungere l’aria in un 6 agosto qualsiasi nella Capitale. Io non ce l’avevo prima di allora, e l’ombrellino si è rivelato il classico inutile rimedio disperato del vacanziero inesperto. I raggi bollenti sbucavano dall’altra parte geneticamente modificati dalla tela sintetica, e trasformavano la poca aria respirabile in vapore acqueo, tipo effetto serra. No Alpitour? Ahi ahi ahi ahi!  Per evitare il crollo di pressione, con conseguente intervento delle ambulanze, ricovero ospedaliero e figura di merda internazionale, ho cominciato a ingurgitare salatini, patatine, sandwich con la mortadella, quanto di commestibile avevo ficcato nello zainetto, senza bere nulla; l’acqua era finita da un pezzo. Ecco spiegato l’asfissiante di poco fa. Pure i fan, ahiloro, invecchiano. Ci avete fatto caso? Siete lì, fanciulli saltellanti e fanciulle svestite, con la testa bagnata di acqua e sudore, le scarpe di tela ai piedi e una chitarra che dà il la per ore di canzoni, in attesa che aprano i cancelli, sperando che la vostra artista possa sentirvi. L’ennesima tortura che ho dovuto sopportare, in religioso silenzio, se no questi qui ti conficcano una emme di perline di plastica al centro del cuore. Nelle foto che ho visto del concerto di Roma di martedì, ho riconosciuto gli stessi di 6 anni fa. Però con la pelata, la panzetta, la gobba e le tette calate. Non siamo più quelli di una volta, esclusi i presenti, naturalmente, e questo fa un po’ tristezza. Come non è la stessa la plurilaureata in Intonazione alla Harvard University. Ne ho lette e sentite di ogni sulla sua data romana. Va bene che la stampa italiana si dimostra il solito manipolo di caconi, però del parere spassionato degli amici mi fido. Un’amica mi ha chiamato per dirmi: Premetto che non voglio rovinarti la sorpresa, ma sono rimasta molto delusa. Ha cantato un’ora e mezza, e tutte canzoni nuove, delle quali pochissime carine. Una bambina dietro di me si è addormentata, e la gente alle 11 ha cominciato a lasciare lo stadio. Un’ora prima! Intanto grazie per la premessa. Poi ho pensato che avesse sbagliato concerto, che fosse andata a quello di Ivana Spagna alla sagra della pizza fritta. Così le ho chiesto: Sei sicura di essere andata al concerto di Madonna e non a quello di Ivana Spagna? Lei: Un concerto di Ivana Spagna costa 80 euro? Sì che l’euro precipita, però…
Almeno un paio di circostanze si sono mosse a favore della tesi che niente è casuale, e tutto va interpretato come segno di qualcosa. In questo caso, segno che non potevo mancare.
– Firenze, intanto. Per quanto detto sopra, e per tanto altro non-detto che porto dentro. Madonna non poteva scegliere città migliore per convincermi. Sì, credo che l’abbia scelta per questo. Ci tiene molto alla mia partecipazione.
– Il 16 giugno, che non è un giorno comune. Niccolò festeggia 26 anni, e difficilmente saltiamo i nostri compleanni, nonostante i quasi 400 km che ci separano.
– Io e Papi non ci siamo mai fatti 3 giorni insieme. Andare con lei mi fa felice e mi preoccupa in egual misura. Più la seconda.
Piccolo PS lampo: Mi scuso con i miei responsabili per aver loro causato attacchi di panico a raffica e crisi d’ansia per tutti gli intrecci di orari e turni e riposi e permessi a cui li sto costringendo per i miei comodi. Dopo 5 mesi senza farmi manco un’ora di ferie, avrò diritto a 3 santissimi giorni di vita mia?

Il dottor Macello e la dottoressa Chil’havistapiù. Zion-cane avrà giustizia*

La peggiore delle ipotesi era che il dottore mi dicesse: Mi spiace, la neurologa mi conferma che il difetto nervoso di Zion-cane non è dipeso da me. Perciò dovrete sostenere di tasca vostra la spesa dell’operazione sul legamento crociato dell’altra zampa. Che non ammettesse le sue colpe, insomma. Mi aspettavo che chiamasse il nostro cane per nome almeno una volta, e che dicesse almeno una volta: Mi dispiace. Invece non l’ha chiamata per nome mai in questi lunghi mesi, più di un anno, di visite sbrigative e viaggi L’Aquila-Roma, e non l’ha fatto mercoledì, né gli è scappato un mi dispiace per sbaglio o circostanza. Quando pensi di essere capace di immaginare il peggio, è la volta che ti ritrovi a prendere atto che la vita sa fare di più. In questo post leggerete di particolari all’apparenza poco rilevanti e scollegati fra loro. Mi servono a descrivere l’aria, il filo conduttore che alla fine farà sì che tutto torni. La clinica, della quale non farò il nome neppure stavolta, come anche del dottore, nell’attesa di poterlo fare naturalmente, e non soltanto su queste pagine, si trova in una zona trafficatissima di Roma. Parcheggiare nelle vicinanze è impossibile. Al piano terra dell’edificio c’è un parcheggio a pagamento. Avanza verso di noi una ragazza che ci spiega: Il posteggio costa 4 euro la prima ora e 3 euro per ogni ora successiva. Io sto per dire qualcosa, lei interrompe la materializzazione del mio pensiero aggiungendo: Ah, è sufficiente un minuto a far scattare l’ora. Per esempio, se state 2 ore e un minuto, pagate 4 più 3 più 3 euro.
Una serie di attese favoriscono la lievitazione del costo complessivo del parcheggio.
– L’attesa in coda per segnalare alla signora dell’accettazione il nostro arrivo. (15 minuti)
– La lunghissima attesa prima che il dottore decida di riceverci. (30 barra 40 minuti; ci è capitato anche di aspettare un’ora dal momento dell’appuntamento)
– Il tempo effettivo della visita. (una mezz’ora, mediamente)
– Quello per saldarla, la visita. Le visite costano dai 70 euro in su, e devi rifare la fila pure per pagare. (un altro quarto d’ora ad essere ottimisti)
– Raggiungere nuovamente il parcheggio e guardare l’orologio. (dai 3 ai 5 minuti)
Ecco fatto le 2 ore e un minuto. La nostra presenza viene annunciata al microfono: La visita delle 17 e 30 per il dottor ortopedico Macello e la dottoressa neurologa Chil’havistapiù è arrivata. Inizia la seconda lunghissima attesa. Secondogenita si siede con Zion-cane che fatica a trovare pace, con tutti quegli animali fasciati che piangono e vorrebbero trovarsi a migliaia di chilometri da lì, con la zampa destra operata che non controlla più a pieno, e l’altra col crociato rotto. Io vado a informarmi sul costo delle medicine che il dottor Macello aveva prescritto a Zion-cane per l’artrosi: Vi conviene la confezione grande, c’è un notevole risparmio. La donna legge il nome del medicinale sulla ricetta: Sì, lo vendiamo direttamente in clinica. La confezione piccola da 70 pasticche costa 80 euro. La confezione grande da 140 pasticche costa 150 euro. Non sono riuscito a evitare alla mia faccia di deformarsi. Lei se ne accorge e aggiunge: Sono molto efficaci. Io le rispondo: Immagino di sì. Volevo soltanto sapere il prezzo, e torno a sedermi domandandomi intanto dove fosse la convenienza, e poi se è possibile pagare una pasticca per l’artrosi più di un euro. Ci chiamano che sono le 18 passate. Un tirocinante in divisa verde scuro ci parcheggia in una piccola stanza interna, con un tavolino al centro e un banchetto con sopra carte e un computer acceso, rassicurandoci: Arriviamo subito, un pochino di pazienza! Quanta ancora ne avremmo dovuta dimostrare non lo sapevamo neppure noi. Da quel momento passano altri 20 minuti nei quali io e Secondogenita stiamo in silenzio. Ci rendiamo entrambi conto che ci aspetta un momento difficile. Arriva il dottor Macello e mi saluta sorridendomi e stringendomi la mano, lo stesso fa con Secondogenita, Zion-cane neppure la guarda. Poi si rivolge a me dandomi del lei: Allora, mi ricordi che succede! Non si ricorda chi siamo e perché siamo qui. Non è possibile. Mentre gli faccio il riassunto delle puntate precedenti, penso che questa sua recita non mi piace. Lui finge di ricordarsi improvvisamente e spiega i dettagli alla dottoressa neurologa Chil’havistapiù al suo fianco, concludendo: Il signore, la volta scorsa, mi ha chiesto di venire loro incontro economicamente per l’operazione che il cane dovrà subire all’altra zampa, alla luce del fatto che la responsabilità del danno neurologico potrebbe essere la mia, in seguito alla prima operazione. Io voglio da te un parere per capire se è davvero andata così. La neurologa fa un cenno di assenso col capo e ci invita a far camminare Zion-cane. Ci fa fermare in un corridoietto verdognolo dalla luminosità limitata, che puzza d’urina. Tira fuori dalla tasca del camice un martelletto. Si accovaccia e assesta qualche piccolo colpo su entrambe le zampe di Zion-cane. Questo è sufficiente per avere un quadro chiaro della situazione perché il dottor Macello la invita a un consulto privato. Ci dicono di aspettare lì, nel corridoietto buio che puzza di urina, il tempo di una discussione che verte sul parere della neurologa in merito al fatto che il dottore abbia o meno danneggiato i nervi della zampa di Zion-cane, ma alla quale noi non siamo chiamati a partecipare. Mentre si chiudono la porta alle spalle, mi volto verso mia sorella e le dico: La stanno facendo veramente losca, comunque aspettiamo che ci chiamino. Ricompare il dottor Macello che ci invita a seguirlo. Ci ritroviamo nella stessa stanza col tavolino, il banco e il computer acceso. Inizia dicendoci che la dottoressa conviene con lui sul fatto che in effetti sussistono alte probabilità che il danno neurologico alla zampa di Zion-cane sia dovuto all’operazione, ma che la certezza scientifica non esiste. Cerco la dottoressa con gli occhi, ma non c’è. L’avrà fatta andar via prima che io potessi chiedere spiegazioni direttamente a lei. O forse è lei ad aver voluto evitare di metterci la faccia. E’ la seconda evidente scorrettezza, ancor più losca della riunione segreta. Lui riprende: Arriviamo al sodo. L’operazione al crociato costa 1800 euro. Voi mi chiedete di fargliela gratis, io vi rispondo che sono disposto a farla per la metà, cioè 900 euro. Sento le forze scendere attraverso le braccia e suicidarsi a testa in giù per terra: Lei ritiene di aver causato un’invalidità permanente al nostro cane, nel corso di un’operazione per la quale è stato pagato quasi 2000 euro. E adesso mi sta dicendo che un’invalidità permanente ha un prezzo, e in questo caso sarebbe equivalente a 900 euro? No, io non ritengo di esserne il responsabile, e voi oggi siete venuti qua a svoltare un crociato gratis. Il sangue mi va in ebollizione anzitempo; mi sta trattando da pezzente. Mi ripeto: Matteo calma, e rispondo: Non si permetta. Del crociato rotto ce lo ha detto lei. Non lo sapevamo prima. Il dottor Macello prosegue con quella che poi si rivelerà la miccia dell’esplosione: Le faccio un esempio. Lei va dal carrozziere a far aggiustare la sua automobile tamponata. Ritira l’automobile, paga e torna a casa. Dopo un anno si ripresenta dal carrozziere perché ha notato della ruggine, e dà la colpa a lui. Visto che nel frattempo si è rotto il motore, lei è la classica persona che pretende dal carrozziere che le venga aggiustato il motore gratis. Queste sue parole mi fanno rinunciare al buono che è in me: Intanto complimenti per la similitudine fra un cane e un’automobile. E poi, anche fosse, il carrozziere mi restituisce la macchina fiammante. Lei mi ha restituito Zion zoppa. Ma quale zoppa che cammina benissimo, m’interrompe: L’operazione è perfettamente riuscita, l’anca è allineata. Sì, l’operazione è riuscita e il paziente è morto, ribatto. A quel punto interviene Secondogenita: Ma ci vede? Non appoggia la zampa come dovrebbe, si muove male, tutta storta, impiega tempo a sedersi e ad alzarsi, ha i polpastrelli sanguinanti… Mi dispiace vedere mia sorella con le lacrime agli occhi, che non riesce a capacitarsi. Non ci sto a farmi prendere per i fondelli ulteriormente. Stavolta mi rivolgo a lei: Tu stai cercando di spiegare a un dottore veterinario specializzato in chirurgia ortopedica che il cane cammina male? Ma lui (e lo indico) lo sa e lo vede molto bene. Ci sta prendendo in giro, il dottore. Calco sulla parola dottore, indicandolo. Lui nega: Io non sto prendendo in giro nessuno. Vi sto facendo un’offerta, un compromesso più che buono, mi pare, visto che non è neanche sicuro che il danno gliel’ho provocato io. La vita è fatta di compromessi! No, non è vero: Forse la vita sua è fatta di compromessi. Mi può spiegare quali altri fattori potrebbero essere intervenuti a causare il danneggiamento dei nervi, secondo lei che è un luminare? Calco sulla parola luminare. Il dottor Macello alza gli occhi al cielo: Uh, quante gliene potrei dire… beh per e-e-esempio… (sta balbettando?) beh… non le rispondo perché se no lei pensa che me le stia inventando. Questa conversazione sta toccando l’assurdo, penso mentre lui aggiunge: Comunque, se volete farvi 2 soldi potete anche denunciarmi, io ho un’assicurazione. Pensi che sono stato condannato a pagare 10000 euro a una signora che ha presentato in tribunale pure la lista delle visite dallo psicologo. (E lo dice pure?) Con questa storia dei soldi ha rotto, e glielo dico così: Io non sono venuto qui a elemosinare dei soldi. Se tanto lo vuole sapere avrei timore a far operare Zion da lei anche gratuitamente, perché sa qual è il fatto? Che per lei un automobile e un cane sono la stessa cosa. Forse nella vita avrebbe dovuto fare il carrozziere e non il veterinario. Il dottor Macello si agita e sbatte le braccia in aria: Benissimo! Ritiro la mia offerta. Prego prego, da quella parte, e ci indica la porta. Uscendo lo saluto: Forse non ha capito che la sua offerta non l’ho presa in considerazione neppure per un secondo. Buona giornata, e ci risentiremo presto. *Sì, era e rimane una minaccia.

Commentare è un’arte non da tutti. Riflessioni post-Pierantozzi

Mi godo la silenziosa pace ritrovata dopo il baccano di questi giorni causato dalle faccende Pierantozziane dell’ultimo post, che ha attirato su queste pagine centinaia di lettori. Al silenzio della stanza, nel mio giorno di riposo, con la luce del sole intiepidita dalla tenda verdina, poco dopo il pranzo, rifletto. Mi aspettavo una vagonata di insulti dagli amici di Pierantozzi, indirizzati sul blog dal link che lui stesso ha condiviso sulla sua bacheca. Sospetto l’abbia fatto allo scopo di infliggermi una punizione. Un precedente mi preparava al massacro mediatico. Qualche secolo fa pubblicai un’analisi molto seria, si fa per dire, del testo della canzone Essere una donna interpretata da Anna Tatangelo. Purtroppo, pure col pulsante di ricerca, non riesco a recuperarlo per lincarvelo. Voi che mi conoscete rileggete il testo, soprattutto quando Anna dichiara con convinzione, e non vedo motivo per dubitarne, di non essere una ciliegia, e immaginate il tono del mio post al riguardo. Una tatangiolesca ascoltatrice ebbe la fantasmagorica idea di condividerlo nel forum ufficiale della di D’Alessio compagna, e via il finimondo di offese dei nano-fan all’insegna del minimal: T nn cpsc 1 caX d music!! VFNCL!!!!!!!!!!!!!! (sui punti esclamativi non lesinano mica), molte delle quali manifestanti la mancanza della più intuitiva consecutio temporum. Stavolta conto con sorpresa la quasi totalità dei commenti di sostegno non a me, che non sono in discussione, perché la discussione non verteva sulla mia persona, ma alle mie impressioni, quelle sì. Questo mi convince dell’opportunità della mia riflessione. Esprimere un’opinione, che sia di complimento o delusione, di critica o di piacevole emozione da condividere, un commento o il post di un blog, deve restare intanto una libertà incondizionabile e insindacabile di chi scrive. E poi deve restare sempre ben visibile il muro di separazione fra la persona che scrive e la sua idea, pure se i muri nella Storia non hanno mai significato cose buone. Quello che voglio dire è che si può rispondere ed è sempre gradito un commento da chi legge, che sia di complimento o delusione, di critica o di piacevole emozione da condividere, come sopra. L’importante è che resti legato all’impressione manifestata, e non abbia niente a che fare con la persona autrice: nel caso specifico me medesimo. Per esempio, commentare le mie osservazioni sull’atteggiamento snob di Pierantozzi così: Tu sei invidioso perché Rizzoli non ti chiama, e se non ti chiama è perché non hai le qualità, significa debordare dal letto di discussione. Cosa c’entrano le mie qualità con l’atteggiamento snob di Pierantozzi? Cosa c’entra la mia invidia con l’incoerenza di Pierantozzi, che noto io, magari sbagliando, e della quale scrivo? Perché non mi correggete, se sbaglio, invece di parlare di me quando si sta parlando d’altro? Io, la mia invidia e le mie non-capacità non rientriamo nel discorso Scrittori che sputano nel piatto dove mangiano, e quindi chi ci tira in ballo dichiara a gran voce di avere grossi limiti nel confronto. Non sa mantenersi sullo stesso piano di discussione, e fa una brutta figura nel tentativo di farla fare a me che mi prendo gioco di lei/lui commentatore.
Piccolo aggiornamento lampo: Pierantozzi mi ha offerto di nuovo la sua amicizia su Facebook per permettermi di leggere e rispondere ai commenti di chi è intervenuto sotto al link da lui condiviso. Io non c’entro niente con la sua bacheca, e la mia autostima non ci tiene a farsi una doccia sotto una cascata di attacchi sanguinari, né m’interessa alimentare il polverone mettendomi a battibeccare pubblicamente coi suoi lettori. Chi vuol parlare con me sa dove trovarmi. A quelli lì che gli risponda pure lui! Perciò ho rifiutato. Quello che mi dispiace, e di cui mi scuso, è di non essermi inginocchiato mentre lo facevo. Il confronto con l’autore è andato avanti per altri 2 o 3 lunghi messaggi privati che non riporto, perché Pierantozzi mi ha fatto notare che non è carino pubblicare su un blog una conversazione privata. Vista l’annotazione illuminante, sto seriamente valutando l’ipotesi di lasciare MatteoGrimaldi.com in gestione ad Alcide Pierantozzi, sarebbe in ottime mani.
Piccolo aggiornamento lampo2: Domani, 6 giugno, sarà il giorno della nostra decisione difficile. Vi racconto tutto al ritorno o al massimo giovedì. Spero che prevalgano il buonsenso e l’umanità.