[Madre e le impronunciabili locuzioni tabù]

Qualcuno mi domanda perché non twitto, non taggo, non posto, non linko, non condivido. Ma io non posso vivere dentro a un computer, gente! Oltre a twittare, taggare, postare, linkare e condividere, io devo anche scrivere, dire, fare, baciare, lettera e testamento. Per non parlare di lavorare e studiare, fino a quando l’arcangelo Gabriele non si deciderà a comparirmi in sogno per annunciarmi finalmente la mia futura paternità. Prenderò la notizia con il dovuto stupore di circostanza: ritrovarmi incinto della tesi, senza aver prima avuto un solo rapporto con nessun membro del corpo insegnanti, non è cosa che lascia indifferenti. Questo della tesi è un argomento molto delicato. Se mi sente Madre mi disereda, e io a Villa Madre ci tengo. Ho già fra le mani il progetto del parcheggio a 4 piani che sostituirà il verde attorno alla Villa, e ospiterà automobili di piccola e grossa cilindrata, caravan, autocaravan, camper, autobus, treni e pure yachts senza limiti di dimensioni, ché io un giardiniere non me lo potrò permettere mai, ma un parcheggiatore abusivo sì. Intanto devo preoccuparmi di gettare acqua sui focolai attizzati delle impronunciabili locuzioni tabù che raggiungono Madre, e quindi me, come una sparatoria. Segue qualche esempio da non pronunciare mai neanche per scherzo.
– laurea
– trent’anni
– lavoro vero
– libri
– scrittore
– disoccupazione giovanile
– tesi
– relatore
Una soltanto basterebbe ad attivare l’interruttore delle madresplosioni a raffica contro il sottoscritto, figuratevi una frase che ne contenga un paio o, non sia mai, 3. Immaginate una comune chiacchierata fra 2 sconosciuti davanti a un cappuccino e cornetto, durante la colazione post-prelievo di sangue, al bar adiacente all’ospedale: Oggi come oggi senza laurea non ti fanno neppure un colloquio. E l’altro risponde: Poi se hai trent’anni, e sei ancora disoccupato, un lavoro vero te lo puoi scordare. Ecco, collocate nel quadretto me e Madre a distanza d’orecchio dai 2 interloquenti, e attendete meno di un minuto che il cocktail dinamitardo faccia effetto. Lo senti il signore? Ma’, ti prego, sussurro nel disperato tentativo di arginare la sua furia nascente, che già so essere in procinto di travolgere case, cose e persone. Lo senti, eh?! Oddio, sta urlando. I 2 smettono di chiacchierare ponendosi nella condizione di finta indifferenza, che nasconde una maniacale attenzione tipica dell’ascoltatore impiccione. Continua così, e non ti prenderanno nemmeno a fare il Babbo Natale fuori dai negozi di giocattoli nel periodo natalizio! Pago il conto sorridendo al barista e scuotendo la testa, come a dire: Non si preoccupi, la stiamo facendo seguire da uno bravo. Madre, a voce sempre più alta: La verità ti fa male? Io penso che di tutta risposta avrei potuto esclamare: Nessuno mi può giudicare, tanto per restare in tema. Continua toccando picchi sonori da temere per i propri timpani: Vuoi rimanere uno schiavo della società per sempre? L’afferro per un braccio, che ritrovo più tonico da quando ha cominciato il suo arduo percorso piscina, e la conduco a forza fuori dal bar. Capite che in una condizione di vita in equilibrio su un filo, un passo falso può essere mortale. I pericoli più grandi li corro in Villa, all’interno della fascia oraria di Forum, Il Tribunale di Forum, La Sessione Pomeridiana di Forum, cioè praticamente dalla mattina fin dopo pranzo. Rita Dalla Chiesa, personcina adorabile come il botulino nelle uova, riesce a sincronizzare perfettamente le cause a me contenutisticamente più ostili con le mie presenze in Villa. E allora dajje coi trentenni disoccupati che pretendono il mantenimento dal padre; e con le madri che chiamano in causa i figli maschi per farsi restituire 10 anni di tasse universitarie pagate. A proposito, annuncio a quanti aspettavano questo momento che, in uno dei prossimi giorni, andrà in scena il rituale annuale del pagamento della rata. La segretaria mi scruterà minacciosa prima di insultarmi, lo fa sempre, appellandomi nei modi peggiori. Michel Martone avrebbe di che imparare da una come lei. Uscirò da quell’orribile palazzone grigio muffo armato dei migliori propositi, nella speranza che non sia sufficiente chiudermi la porta alle spalle per dimenticarli. Lo farò, me lo prometto. Mi laureerò anche solo per evitare che si ripeta una certa scena. Ero agitato, emozionato, terrorizzato, intrappolato in una camicia violetta aderente come un salsicciotto. Era la prima presentazione di Non farmi male, la mia prima in assoluto. Sorridevo e sudavo davanti a 92 persone contate dal socio del libraio. Leggevo negli occhi di tutti la curiosità di capire cos’avesse da scrivere e da dire quel Matteo Grimaldi, caratterizzato da tutti gli elementi tipici del non-scrittore per eccellenza. Il bravo libraio moderava con abilità tanto convincente da farmi credere che Non farmi male fosse davvero il libro che il mondo aspettava. Tutto procedeva per il meglio, in un’atmosfera alleggerita, finché arrivò il momento più temuto, l’ago della bilancia di ogni presentazione, l’unico indicatore del successo dell’incontro, o del fallimento: le domande dal pubblico. Un furbo autore, al posto mio, avrebbe assoldato un paio di fidati per fingersi interessati ascoltatori, alzare la mano e porre una domanda, almeno per rompere il ghiaccio. Giusto per evitare la landa desertica di occhi sgranati che si guardano intorno aspettando che qualcuno dica loro che è tutto finito e che possono tornare a casa. Per fortuna c’erano tante mani alzate. Ad un iniziale respiro di sollievo, seguì una botta di panico agghiacciante appena mi resi conto che una di quelle mani al soffitto era di Madre. Non posso farla parlare, n-o-n d-e-v-e p-a-r-l-a-r-e, si ripeteva lo spirito di sopravvivenza che è in me. Mi volto verso il libraio confondendo in un colpo di tosse: Enri? e poi continuando a rispondere alle domande degli altri con invidiabile padronanza della situazione. Lui: Come? Io gli sorrido: No, dicevo… Poi abbasso la voce in un sibilo demoniaco: Non farla parlare! Dicevo che i personaggi sono tutti scaturiti dalla mia immaginazione. Muovo le mani ad arte camuffando il terrore che Madre possa dar voce alle sue malvagità, e poi continuo nell’esposizione: C’è poco di realmente accaduto, ma sapete, è quasi impossibile per un autore… Quella donna col giaccone nero e la borsa rossa di plastica. Non farla par… Ah lei, sì! Ancora domande dal pubblico. Allora, la signora con la borsa rossa! Vada con la domanda a Matteo! Bene, il libraio ha capito esattamente il contrario. Madre si assesta sulla sedia con un movimento ondulatorio/sussultorio, io mi rassegno. Emette un colpetto di tosse mentre le ultime resistenze mi abbandonano. Fissa gli occhi su di me, che sono già un cadavere, e poi, davanti a 91 persone (lei esclusa) convinte di avere davanti un giovane promettente autore di narrativa moderna: Io vorrei sapere soltanto una cosa. Ma quando pensi di laurearti?

Che scoperta OpenDns!

Grazie alla paziente collaborazione del web-designer Pino e del suo tecnico di fiducia ho risolto un problema rognosetto. In questi mesi mi sono arrivate un sacco di richieste di aiuto da utenti che non riescono ad accedere al sito. Inizialmente ho pensato a un pasticcio di codici, o che dipendesse dalla presenza di qualche filtro, una blacklist sul server, una barriera architettonica, boh. Pino continuava a rassicurarmi che il sito è accessibile a tutti, ma io non ci credevo.
Quando le segnalazioni sono diventate numerose ho ritenuto opportuno ascoltare il vecchio saggio e le sue pillole: E’ più probabile che sia tu stesso a risolvere il problema che 1000 persone hanno con te, piuttosto che lo facciano loro, uno alla volta. (Non è una citazione, è la rielaborazione di una logica che mi è stata trasmessa in qualche momento della vita, e che ora fa parte del mio ragionare. Perciò potrei addirittura appropriarmi della frase suddetta senza che qualcuno se ne abbia a male.) Ho cercato qualcosa che accomunasse tutte le persone che mi scrivevano, e l’ho trovata. La quasi totalità degli utenti indignati aveva sottoscritto un contratto con Air2bite. Si tratta di una nuova compagnia nata proprio a L’Aquila, e in via d’espansione pure in altre città e regioni. Funziona senza alcun abbonamento telefonico, quindi senza linea, e offre un’ADSL anche nelle zone che non hanno copertura. Si dimostrano tutti soddisfatti di Air2bite, non solo per le buone tariffe. (A Villa Madre ahimé sono state fatte scelte diverse tutte ugualmente catastrofiche, prima di arrivare all’attuale pace dei sensi con Wind.) E allora qual è il tuo problema con me, cara Air2bite?  Sono andato a casa di un amico cliente di Air2bite, ho digitato l’URL del mio sito dal suo PC e, come volevasi dimostrare, si è aperta una finestrella ad annunciarmi il lieto evento: E’ impossibile raggiungere matteogrimaldi.com, e impossibile vuol dire proprio impossibile. Perché tutti i siti del mondo sì e il mio no, perché?! Sono arrivato persino a credere che qualche lavorante presso Air2bite provasse nei miei riguardi un’antipatia cronica tanto radicata da bannare il mio indirizzo e quello degli altri suoi siti nemici.
Adesso per me arriva il momento più difficile: riferirvi ciò che quel gran geniaccio (che ha sempre ragione) di Pino mi ha spiegato, e che non ho ancora completamente compreso. Il server che fornisce ospitalità al mio sito si trova in America (mica pizza, fichi e mandolino!), e non è detto che i DNS forniti dalle compagnie telefoniche, o impostati sul router che utilizzate per navigare, siano capaci di raggiungerlo. In America non è che ci si va con la zattera, insomma. A questo punto dovrei entrare nello specifico del protocollo Internet TCP/IP, ma non ci penso neanche. Quello che conta è che con poche rapide e semplicissime mosse potete sostituire il DNS standard fornito dal vostro provider con OpenDns che, oltre a rendervi accessibili migliaia di portali in tutto il mondo, migliora di molto le prestazioni. A occhio nudo la navigazione è più veloce perché OpenDns annienta tutti quei piccoli rallentamenti che la rete subisce interrogando il DNS nel passaggio da un sito all’altro. Se il DNS non risponde stiamo freschi, invece i DNS di OpenDns rispondono sempre e in frettissima, non chiedetemi perché. Impostare OpenDns è veramente facile e spiegato benissimo in quest’articolo, dettagliato a seconda del sistema operativo che possedete (XP, 7…) anche per il MAC. Io l’ho fatto (e se ci sono riuscito io…) e i benefici sono evidenti. L’hanno fatto i miei amici che, nonostante Air2bite, adesso vedono il mio sito; l’ha fatto l’amico lettore MisterGrr, che da un certo punto in poi non ha più potuto partecipare alle discussioni sul blog, e che ora è tornato più gajardo che mai. (A lui va un ringraziamento speciale per aver insistito, per la fedeltà a queste pagine, per avermi spinto a cercare una soluzione.) Fatelo anche voi, ci vogliono 2 minuti e navigherete a vele spiegate. E’ bello quando, nella risoluzione di un problema, incontriamo vantaggi che non ci aspettavamo. E io condivido le mie piccole scoperte quotidiane con voi, magari possono essere utili a qualcuno, penso sempre. E’ bello pure accorgersi di quanti ostinati lettori si siano arrabbiati per non poter più leggere il blog. Non è sadismo il mio; ci siamo capiti.
Nota a margine: Io furbamente ho pensato di aiutare gli utenti di Air2bite spiegando in un post come riuscire a visualizzare il sito. E poi pubblicarlo sul sito (che gli utenti di Air2bite non vedono). Un genio del crimine proprio.
Nota a margine 2, la vendetta: MatteoP. nei commenti consiglia i DNS di Google (primario: 8.8.8.8 e secondario: 8.8.4.4). A voi la scelta, ma fatela.

I love tele-iPhoning (piagnucolare per un iPhone)

Come piagnucola la mia amica Papi, nessuna/o al mondo. Il suo piagnucolare è continuo e sostenuto da un tono di voce che ti penetra nelle orecchie come un trapano, fino al punto nevralgico della sopportazione. Il punto nevralgico della sopportazione si trova in una capsula piccolissima ficcata per bene nel cervelletto, quasi introvabile. Il suo piagnucolare la scova, e spinge fino a sfondarla. Non c’è stato un sol giorno passato con lei in cui non abbia dovuto chiederle in ginocchio di smetterla. Io i soldi per comprarle un iPhone 4S 16 giga bianco non li posseggo. Mi pare più che comprensibile pensarci un attimo prima di sborsare 630 euro carta su carta, quando ne guadagni mensilmente poco più, con una lista di spese fisse che si avvicina al prezzo dell’oggetto del momento. Assodato che l’iPhone da me non l’avrà, la Papi ha attivato il ripetitore piagnucolare riversando i suoi desideri e le sue pene sul mondo circostante. Qualche segnale è giunto a confortarla. Nessuno che si offrisse di regalarglielo, sia chiaro, nemmeno per il vicino compleanno, nemmeno sotto tortura, nemmeno se minacciato di morte dalla ‘ndrangheta, però un paio di utili suggerimenti, per noi servi della gleba, su come aggirare il problemino della cifra proibitiva, quelli sì. Ad accendere la miccia ci hanno pensato non una, ma 2 colleghe che si sono presentate al lavoro, a distanza di pochi giorni l’una dall’altra, con un iPhone bianco fiammante fra le mani, nell’atto di rispondere a una telefonata proprio davanti a lei. Scusa, è tuo quello? Sì, l’ho preso con l’offerta della 3. Top 400. Ti danno 100 minuti… Che mi frega dei minuti! Ti danno pure 100 messaggi al… Ma io voglio l’iPhone! E ti danno pure l’iPhone! Non l’ha nemmeno fatta finire di parlare che me la sono ritrovata fuori Villa Madre. Mi accompagni alla 3? Devo comprarmi l’iPhone! Dammi il tempo di mettere su qualcosa di decente. No, vieni così! Ti assicuro che non sei vestito tanto peggio di come ti vesti di solito per uscire. Mi ha preso per un braccio, mi ha costretto con sovrumana forza all’interno della sua sfavillante Ka blu elettrico e, in un battibaleno, ci siamo ritrovati davanti al bancone del punto 3, dentro il centro commerciale Globo, con tutta la Ka (dopo avergli sfondato 3 vetrine). Parla tu, mi ordina mentre aspettiamo il nostro turno. Scusa, il telefono è tuo, come se non bastasse sto in tuta, pure strappata sul ginocchio, e dovrei fare la parte di quello che vuole un iPhone? Questa mi dice di andarmi a comprare un paio di pantaloni prima, e non avrebbe tutti i torti! Buonasera! ci accoglie la ragazza dagli occhi accoppati e con l’orecchino di perla di plastica. Papi in quel preciso istante mi scaraventa la zeppa del suo piedino di fata taglia 44 sull’alluce, invogliando una lacrimuccia a tuffarsi dall’occhio destro dritta giù per terra, assieme a poche parola dalla bocca: Buonasera! Noi vorremmo qualche piccola informazione sull’abbonamento per avere un iPhone. Io voglio l’iPhone, lo vogliooo! Sì, la signorina ha capito. Ora stai un attimo zitta eh?! Poi mi rivolgo di nuovo all’addetta: La scusi, ma lo desidera così tanto. La capisco, in questi giorni siamo inondati di richieste. Quanto spendi mensilmente di telefono, se posso chiedertelo? Papi cambia colore, si guarda intorno fingendo di pensare alla risposta. In realtà sta elaborando il modo per sviare la domanda. Mah, guarda… sì e no sui 30 euro al mese. Per esagerare eh! Il dato, alla luce delle sue continue ricariche, non mi convince, così chiedo alla signorina di controllare sul sito. Da qui mi risulta che hai speso in ricariche circa 180 euro nell’ultimo trimestre, praticamente il doppio! Ed ecco comparire la ragazza sciarpata di verde, la Becky Bloomwood della telefonia: Ah sì, in questo trimestre ho dovuto telefonare molto di più però, per lavoro… Me la immagino alla prima seduta di gruppo, che si presenta: Ciao a tutti, mi chiamo Papi e sono una telefonatrice compulsiva. La signorina taglia corto: Allora, vi spiego un attimo quali sono le condizioni della promozione. Con 30 euro avrai top 400. Lo voglio, lo voglioooo! Papi, fai la cuccia! esclamo prorompente. A quel punto Papi guaisce, risucchia i depositi di bavetta emettendo il suo riconoscibilissimo verso per nulla gradevole all’udito, e si mette calma e buona in un angolo a far finta di consultare un volantino. La signorina continua: Sono 400 minuti al mese, 100 sms al mese e 2 giga di internet. E in 30 mesi ti sarai pagata l’iPhone, che diventa tuo da subito. Fantastico, sì lo voglio! Tu, l’iPhone che hai in mano, l’hai preso così? Gli occhi superbi della signorina s’illuminano: Me l’hanno regalato, io alla 3 ci lavoro. Che domandona, Papi!
Dov’è la magagna?
è l’interrogativo che bisogna sempre porsi quando vi trovate faccia a faccia con qualcuno che vuol vendervi un prodotto, o farvi un’offerta. Prendetevi del tempo prima di firmare. Non fate come Papi, pronta a fornire iban, documento, pin e la sua borsa acquistata a IperCina e piena di scontrini, fazzoletti usati e qualche moneta da 2 centesimi. Siamo usciti col foglietto riassuntivo per analizzarlo nei minimi dettagli, scovare i cavilli che nessuno ti dice mai. Piccole magagne individuate:
– Ai 30 euro vanno aggiunti 5 euro e 16 centesimi al mese che corrispondono alla tassa di concessione governativa.
– Dire che si potrà parlare per 400 minuti al mese non è corretto, perché in verità i minuti sono 100 a settimana. Questo significa che, se in una settimana chiacchieri per 120 minuti, i 20 minuti che hai sforato li paghi, cari e salati, fra l’altro.
– Stesso discorso per gli sms che non sono 100 al mese, ma 25 a settimana.
– La tariffa che entra in azione nel momento in cui superi il tetto dei 100 minuti, o dei 25 sms è piuttosto alta. Sono 15 centesimi di scatto alla risposta, 15 centesimi al minuto di chiamate e 15 centesimi per ogni messaggio oltre i 25 settimanali, che Papi, per una sua strana logica, ha riassunto così: Praticamente sono 30 centesimi al minuto!
– Se non c’è campo, e con 3 da qualche parte capita, il telefono si appoggia a Tim. Se non te ne accorgi e navighi, stai pur certo che te ne accorgerai al momento della bolletta. C’è di buono che per le chiamate il discorso non vale. Anche le chiamate fatte appoggiandosi alla rete di Tim rientrano nei minuti della promozione.
Consapevole di tutto questo la Papi ha scelto di accettare la proposta. Ritiene di essere in grado di gestirsi quei 100 minuti senza superarli mai. Ce la farà? Siamo tornati in negozio. Papi ha dovuto subire un breve interrogatorio al quale alla fine ho risposto io, perché lei non era a conoscenza di alcuni suoi dati personali, né di informazioni relative alla sua posizione lavorativa. Finalmente è arrivato il momento di stringere fra le mani il tanto agognato iPhone. Manco per niente! Per il telefono passa domani mattina! Non me lo puoi proprio dare stasera? Scherzi? Sono quasi le 8! (Embè?!) Domani. Va bene, allora passo in mattinata. Lo voglio bianco! Ah, come lo vuoi bianco? Sì, lo voglio bianco. Cavolo, mi è rimasto soltanto nero. E, a dirti la verità, è quello esposto in vetrina. Che tu, stronzona, volevi impacchettare per benino senza farti accorgere che si trattava del modello esposto, ecco perché domani mattina. A quel punto intervengo io: Beh, se è quello in vetrina ti conviene aspettare che arrivi il bianco. Guarda che non è stato mai acceso! mi incalza la signorina. Non le ho risposto se non scuotendo il capo, altrimenti avrei dovuto allegarci un vaffanculo. Ma dico io, mi compro un iPhone e tu mi dai la rimanenza della vetrina? E’ un telefono che costa 630 euro, come minimo me lo devi consegnare sigillato. Se vuoi il bianco devi aspettare una decina di giorni. Mentre diceva la parola decina non so perché, ma era come se dicesse ventina, altro che domani mattina. E ora Papi chi la regge?

Là non c’era niente, ma c’era tutto

Da un giorno all’altro ho capito che bastano la mazzate della vita ad appendersi agli abiti come pesi che tirano verso il basso; non occorre aggiungerne altre di nostra fattura. Della vita poi… come se avesse vita, la vita; coscienza e volontà di far male. Sono le persone che lo fanno: metterti su un piedistallo e poi bombardarlo. So reagire alle delusioni, pure quelle che, al solo immaginarle, esclami: No, non ce la farei! Ecco, io da un giorno all’altro ho scoperto che ce la faccio. Non l’ho scritto subito, né detto a gran voce. Dovevo prima capirlo da me; le parole di nessuno riescono a convincere il mostro Inadeguatezza, che abita le nostre fragilità, a traslocare lontano. Solo una presa di coscienza propria può farlo. Avevo bisogno di qualche giorno per capire se la reazione di forza, coraggio e volontà era specchio dell’effettivo stato della mia natura sconfitta, ma sana e salva, con ancora i brividi addosso di rivoluzione, ritenta, rialzati, ricomincia. Pure se da capo, ricomincia. Oppure se si trattava dell’ennesimo tentativo di non mollare la presa, perché sotto c’è il burrone e cadere non è mai meglio. Realtà, o non volerla accettare la realtà. Il giorno di passaggio, verso l’altro delle consapevolezze, è datato 9 aprile, Pasquetta. Non è accaduto niente di straordinario, anzi sì. Dipende dal punto di vista dell’osservatore. Io me ne sono accorto tardi, comunque prima che accadesse. Non abbiamo fatto grandi programmi, ognuno preso dai propri impegni di lavoro e familiari, e poi sapevamo che non ce ne sarebbe stato bisogno. Ci siamo ritrovati in 4, e siamo partiti per Roccaspinalveti, un paesino dell’entroterra vastese dove vivono i nonni di Luca e Linda che, in occasione delle feste, si sono trasferiti per qualche giorno dai genitori. Un’oretta da Lanciano, di curve in salita che Luca ha affrontato con una certa grinta al volante che non ricordavo, e che ha messo a dura prova il mio stomaco sensibile. Chiedetelo ad Arisa che cosa si prova, che lei di vomito, che non arresta la corsa e non si vuole fermare, se ne intende. Mi ha salvato la sberla continua di aria gelida che mi arrivava in faccia dalla fessura del finestrino, aperto dal sottoscritto a tradimento. Roccaspinalveti è un comune della provincia di Chieti che esiste dal XIX secolo, e che oggi conta poco meno di 1500 abitanti, dei quali ho conosciuto i nonni di Luca, incontrati in altre occasioni, una signora gentile che, se non sbaglio, dovrebbe essere la zia Giulia, che ci ha fatto trovare il camino scoppiettante, e la barista che non m’è parsa felicissima di essere l’unica in tutto il paese a lavorare a Pasquetta. Ma chi lo sarebbe?! Mentre in moltissimi assalivano agriturismi e ristoranti, noi ci siamo organizzati vecchia maniera: ognuno porta qualcosa di pronto. Zappa la pasta fredda e le bibite analcoliche; ritenendo follemente che avessi ragione, su mio consiglio ha caricato in macchina una cassa d’acqua, un’altra d’aranciata e 3 cartoni di succhi di frutta gusto tropicale da 1.5 litri cadauno. Luca e Linda si sono occupati del secondo e contorni, e vino. Una gustosissima frittatona con peperoni; patate fritte non-fritte, così le ha chiamate lui prima di aggiungere: In effetti si vede. Non hanno proprio una consistenza croccantissima; dell’altra verdurina che non ho saputo identificare, forse agretti, ma non ho chiesto numi a riguardo. Qualcuno si starà chiedendo: Se tutti portano qualcosa, tu cos’hai portato? Domanda più che lecita alla quale risponderò dopo la pubblicità del Saccottino del Mulino Bianco. Nel suggerire a Clementina di darsi una svegliata, rispondo che io ho portato tutta la simpatia che la mia bella faccia irradia minuto dopo minuto e ora dopo ora! I giorni precedenti sono stato omaggiato di turni lavorativi leggermente castranti, Pasqua inclusa, quindi ho gentilmente chiesto ai miei compagni d’avventura di concedermi di non preparare nulla (il solito scansafatiche).
Dopo pranzo ci siamo recati a Pick Nick, proprio scritto così: con la doppia ck, che non è, come molti di voi staranno pensando, il tradizionale pasto in un contesto naturalistico, su una tovagliona a quadri bianchi e rossi, detto anche romanata, ma un luogo fisico in alta quota che gli autoctoni pronunciano Pìcnìc (non so come riescano a rendere questo doppio accento; io mi sono esercitato, ma no, non sono capace) e scrivono appunto Pick Nick. Quando ho aperto lo sportello l’ho dovuto immediatamente richiudere, lottando contro un’entità invisibile che tirava con una forza sovrannaturale: il vento, ma così forte che a un certo punto mi sono voltanto verso i miei amici magrissimi, timoroso di vederli spiccare il volo da un momento all’altro. Abbiamo raggiunto una chiesetta e poi abbiamo proseguito fino a un fontanile, e fino alla neve. Non era la solita neve, pareva sintetica; uno strato croccante e sottilissimo che ricopriva, non in modo uniforme, la collina, lasciando intravedere tracce di verde. Camminavamo ridendo e respirando l’aria di un’atmosfera surreale, con tutto quel vento che saltavi, e atterravi spostato di qualche centimetro. Là non c’era niente, ma c’era tutto, visto che quel niente mi ha fatto dimenticare tutto, cioè la botta d’impotenza subita poco prima di Pasqua con allegati gli auguri di chi può fare e non fa, e non farà. Perciò ho identificato il giorno di Pasquetta col momento della consapevolezza della mia forza, che mi dà l’avere certe vicinanze, che emanano energia e luce come lampadine inesauribili.

Questo continuo dover morire, da me non voluto

Sono stato tentato dal vento di lacrime che, si sapeva, in questi giorni avrebbe attraversato l’aria dell’Aquila e di tutta l’Italia sensibile al ricordo, e con una coscienza. Però, pur con la volontà di partecipare, in un certo qual modo da definire, non in quello che è stato, il mio corpo si è rifiutato.
– Di passeggiare sotto una pioggia leggera con una fiaccola fra le mani, raggiungere piazza Duomo e aspettare le 3.32 della notte, quando 309 rintocchi di campana, lenti, pesanti, macigni, avrebbero ricordato le persone che 3 anni esatti fa hanno perso la vita.
– Di guardare i programmi televisivi che dell’Aquila si sono occupati, in massa in un unico giorno, per poi dimenticarla i 364 giorni precedenti e successivi, fino al prossimo 6 aprile. Mi fa comunque piacere sapere che in qualcuno si è visto un buon lavoro di reportage. Mi dicono di Robinson su Rai3, per citarne uno. Io ringrazio sulla fiducia.
– Di riascoltare la canzone Domani. Il pensiero che di fronte a un’urgenza così importante tutta quella gente della nostra musica si sia ritrovata in un comune accordo, e registrato la canzone, in 2 giorni soltanto, mi fa salire il magone, che è pur’esso un ringraziamento.
– Di partecipare a messe, commemorazioni, celebrazioni, processioni del venerdì santo, del Cristo Morto. Come se a morire fosse stato un unico, povero Cristo.
– Di scrivere una sola parola su questa ricorrenza. Sul blog, su Facebook.
Avrei voluto, credetemi, trovare il modo di esserci, ma, come vi dicevo, è stato il mio corpo a rifiutarsi. Perché non fa parte del mio modo d’essere continuare a versare lacrime sulle lacrime altrui. Io ne ho abbastanza della morte, delle immagini, dei video, delle testimonianze e delle canzoni, degli speciali della nostra tivvù, per dire e ribadire che a L’Aquila sta andando tutto storto. Io vorrei vedere mattoni nuovi, nuvole di polvere nell’aria, cartelli di lavori in corso ovunque. Vorrei sentire dappertutto il frastuono delle ruspe, le grida dei capi-cantiere. Vorrei festeggiare il giorno della prima casa ricostruita, l’inaugurazione di una nuova scuola. E invece mi ritrovo sempre partecipante di un funerale nel quale mi sveglio, senza essermi preparato a dovere, vestito e aver respirato abbastanza prima di andare a sopportare. Credetemi, non è salutare subire continuamente ondate depressive da ogni direzione. Tento ogni giorno di rimettere a posto i pensieri, costruire un aeroplano che mi aiuti a oltrepassare la catena montuosa contro cui mi scontro, ferendomi talvolta in modo grave. L’equilibrio non è un dato di fatto, ma una variabile che è difficile mantenere solida. Poi se ogni 2 per 3 bisogna parlare di, sentire la testimonianza di, vedere il cortometraggio di, ritrovarsi un microfono sui denti, essere chiamato in causa solo e soltanto per L’Aquila, per commemorare, piangere, essere compatito. Allora no, per una serie di perché.
– Non ho intenzione di arrivare a 35 anni depresso cronico, e suicidarmi.
– Non ho intenzione di arrendermi a una vita fondata sul ricordo.
– Non ho intenzione di animare le conversazioni di chi, dal 6 aprile 2009, ha un ghiottissimo argomento di discussione in più.
– Non ho intenzione di accomodarmi sull’idea che L’Aquila è finita.
– Non ho intenzione di diventare protagonista o non-protagonista di una fiction più longeva di Beautiful, considerato che prima di rivedere un pezzetto di centro storico si parla di 20 anni, e quindi almeno 50 di gentile pazienza. Molti sono gli attori chiamati dal produttore, io non voglio essere una di quelle facce, sempre le stesse.
Io gradirei una vita normale, in una città della quale non si parla mai. Non riesco a spiegarmi cos’è che accende l’entusiasmo di chi, aquilano, gode dei riflettori. Forse pensa che quest’attenzione massiccia accelererà il processo di ricostruzione. Possibile che non gli sia servita da lezione l’esperienza del G8? Tutto il mondo a guardare L’Aquila, che prima del terremoto non infilavano neanche nelle previsioni del tempo; tutti i potenti ad accaparrarsi la ricostruzione di questo castello e di quell’altra basilica e pure di quel complesso studentesco per 5 milioni di euro, 10, 20 e 50. Qualcuno mi sa dire quante e quali di quelle promesse, trasmesse in mondo visione, sono state poi rispettate? I riflettori riempiono i palinsesti, le coscienze di chi indossa elmetti gialli su abiti di sartoria per percorrere pochi metri, raggiungere la Casa dello Studente, e indicare le fotografie dei ragazzi sepolti da un’intera ala crollata, convincendosi di fare del bene. Utilizzando il proprio potere televisivo in questo modo, magari avrà accesso diretto al Paradiso. Ma i riflettori servono anche a complicare, più di quanto già sia, quel lunghissimo percorso verso la serenità di chi queste strade le percorre tutti i giorni senza elmetti, di chi deve tentare, pur contro la propria volontà, di trovare un senso agli anni che verranno, in questo continuo dover rivivere, continuo dover morire. I riflettori non servono a ricostruire, o a velocizzare processi in cancrena. Semmai i riflettori daranno vita a una città ologramma, illuminata da bellissime luci colorate, che sapranno ricreare persino l’acqua che sgorga dalle fontane, e che, puntualmente, verrà inghiottita dal buio non appena sarà giunto il momento di premere l’interruttore e tornare a Roma e a Milano.

Attenti alla squinzia sciacalla telefonica!

Cerco, in ogniddove attorno a me, il coraggio di avvicinarmi nuovamente al portatile, che la mia amica Papi mi ha scaricato sul sedile del passeggero, accompagnando il gesto con francamente esagerata disperazione: Riportamelo in vita, dagli una ripulita! Ti scongiuro! prima di fuggire a gran velocità, terrorizzata dall’idea che io potessi accorgermi di quanto fosse lercio. La superficie esterna dell’oggetto è ricoperta di uno strato color terra di Siena bruciata, neanche l’avesse tirato fuori da un lago di melma. Lo apro, e i pulsanti, originariamente bianchi, mi provocano un senso di repulsione, accompagnato da un conato all’idea di dover appoggiare le dita su quella che pare urina essiccata al sole. Papi, quando dicevi ripulirlo pensavo dai file cattivi e pesanti, liberare spazio di memoria, non che dovessi sciacquarlo con l’acido muriatico. Indosso i guanti antisettici, la mascherina e la tutona bianca da astronauta che mi son fatto prestare dal mio amico carissimo Warrick Brown di CSI: Las Vegas. Punto lo spruzzino caricato ad acido in direzione del dispositivo posseduto dal demone liquame. Quando sto per sparare parte a squillare il cellulare. Sono 2 o 3 volte che vi racconto di telefonate che speri on e invece poi è off. Pare come se me la stessi tirando, ma tant’è che a lampeggiare stavolta non è un numero metropolitano, di quelli che mi fanno sudare il cuore, e che immagini abbiano trovato proprio te, ma la scritta numero privato, che esalta l’effetto precedentemente descritto costringendo il cuore, già sudarello, a farsela addosso. Premo su rispondi, ma non risponde: il touch dev’essere insensibile al lattice. Nel tempo di togliermi pure i guanti il telefono si placa, e io sparo un porca scrofa! che mi sentono dal vicino bar, perché adesso non saprò mai chi mi cercava e, naturalmente, non mi cercherà più; il treno passa una volta soltanto e quelle robe lì. Invece io sono fortunatissimo perché 10 minutini dopo, assieme al treno, riparte il telefono. Stavolta non mi faccio fregare e, in un battibaleno, esplodo un suadente: Sì, prooontooo? Piazzare un convinto e allo stesso tempo frettoloso davanti all’universale pronto fa di voi personcine impegnate, con non molto tempo a disposizione che si prega l’interlocutore di far fruttare al meglio perché non si dimostri tempo perso, per voi e per lui, all’altro capo del telefono.
Matteo Grimaldi? Sì. Parlo con il signor Matteo Grimaldi? (Costei è forse una non-udente? Ho appena risposto di sì, santo cielo!) Sono io. Per la precisione sono Matteo Grimaldi. Aggiungerei volentieri il signor, così è proprio sicura di parlare col Matteo Grimaldi che cercava. Buongiorno, la chiamo da Torino, dalla sede centrale di Spillos (nome di fantasia). Spillos, Spillos, mi ripeto nella testa. Non mi è nuova questa parola… ma certo! E’ la compagnia alla quale da quasi 7 anni pago la rata della macchina di euro 185/mese, per quella che non è una Ferrari Testarossa, ma una Matiz Verdeacqua. L’ultima rata è fissata per luglio 2013, giorno in cui darò un party. Vi annuncio già che ci sarà Belen Rodriguez ad agitarsi sulle voci di Lady Gaga e del cugino Cristiano Malgioglio in duetto. Sembra una barzelletta, ma è vero, e non era neanche così difficile immaginarlo. Concentratevi sulla tonalità del ciuffo di Malgioglio e avrete le vostre risposte. (E che vorrà Spillos da me?) Spillos sta chiamando tutti i suoi migliori clienti per proporre loro una copertura assicurativa vantaggiosissima. Deve aver sbagliato numero, signora. Io con voi ho soltanto questa cosa della macchina che non vedo l’ora di… Ma lei vive a L’Aquila! Sì (e che pippa c’entra?). Allora saprà cosa vuol dire ritrovarsi senza niente dopo un tremendo terremoto. (Non ci posso credere. Mentre ci credo resto in silenzio e la faccio parlare.) La nostra compagnia la risarcirebbe fino a 200mila euro in caso di morte e invalidità gravi riportate dopo un evento cataclismatico. Non sono male 200mila euro no? Ehm, in effetti no. Certo che da morto non vedo come potermeli godere, e non mi sembrano una gran consolazione, seppur sopravvissuto riportando invalidità definitive. Certo signor Grimaldi, ma non troverà nessuna assicurazione che la copre da eventi di questo tipo. Ma mica ci sono solo i terremoti, pure i naufragi. Avrà sentito della triste storia della Costa no? Bene, se lei dovesse andare in crociera e la nave affondasse, avrebbe il nostro risarcimento massimo di 200mila euro (e guardo il mondo da un oblò, e muoio un po’…).  Ma non è finita qua. La nostra compagnia la risarcirebbe anche in caso di esplosione della sua abitazione, come è tristemente capitato a una palazzina di Bari. Uno non è che gliele augura queste cose, eh. (Piazzo la mano, libera dalla cornetta, sui gioielli di famiglia, e do una scaramantica ravanata.) Però è sempre bene essere previdenti. Mi schiarisco la voce e provo a risponderle con una gentilezza che non è da me: Io preferisco non godere dell’opportunità che mi state offrendo. La donna, con un tono a metà fra il derisorio e il saccente: Quindi preferisce non proteggersi? (La mano, preposta al gesto, insiste nell’intima operazione di scudo anti-sfiga.) Beh, diciamo che preferisco pensare che non sarei comunque felice se mi capitasse una sciagura di questo tipo, pure con i vostri 200mila euro. E poi ho delle spese fisse e, anche se si tratta di una piccola cifra mensile, sul mio budget pesa. Per questo la ringrazio molto, ma… Ma lei vive a L’Aquila! (Ancora?) Dovrebbe essere a conoscenza dei rischi. Di quali rischi sta parlando? Della possibilità che possano fare altre scosse devastanti signor Grimaldi! Mi scusi, ma lei sta telefonando a tutti gli abitanti dell’Aquila, e di Bari, e ai parenti dei superstiti o delle vittime della tragedia del Giglio? Nooo, assolutamente! Quindi lei, signor Grimaldi, preferisce non dover rinunciare al suo caffè quotidiano, perché alla fine, se fa bene i suoi conti, di un caffettino al giorno si tratta, e mettere al rischio la sua tutela? Io non metto a rischio nessuna tutela, semmai preferisco non dover sperare di aver investito bene i miei soldi. Ma vive a L’Aquila, si rende conto? (Oh, hai rotto il caXXo con questa storia!) Lei, signora, dovrebbe sapere che i terremoti non sono prevedibili. Quindi potrebbe tranquillamente farne del settimo grado domani a Torino, e radere al suolo la sede centrale di Spillos. Tiè!
Mi scusino i lettori torinesi; non ce l’ho con la vostra splendida città, ma ‘sta squinzia sciacalla telefonica, che ci vuole una faccia per fare un lavoro così, me le ha cacciate di bocca queste parole.

Il bidone del culo del macaco

Non chiamatemi al fisso. Vi risponderà una voce uguale uguale a quella di un customer care, che vi inviterà a riprovare più tardi, ma è un più tardi tendente al mai. Villa Madre non è ancora diventata la sede di un servizio clienti. E’ l’effetto dello smaltimento definitivo della Vomiton Station, e quindi anche della linea telefonica, avvenuto con successo qualche giorno fa presso l’unico TNT point che conosco a L’Aquila, che poi(nt, va be’, non fa ridere) è una cartoleria. Il proprietario ci ha dedicato una vita. Prima stava in centro, accanto ai portici, e io ci passavo le ore. Le cartolerie, assieme agli autogrill e alle librerie, sono il mio habitat ideale. Accarezzo i quaderni, i Monocromo sono i miei preferiti; compro pacchi di post-it, pure se so che il cassetto della mia stanza quasi non si apre più per quanti già, non volendo, ne contiene; provo tutte le penne e gli evidenziatori che trovo a portata di mano, quelli verdi mi fanno impazzire, e sono andato più volte vicino a infilarmene un paio in tasca a tradimento; i puzzle e i pupazzi li vorrei tutti quanti, ma proprio tutti quelli del mondo. Ora ha riaperto fuori da un centro commerciale. Non è la stessa cosa, ma alla distruzione bisogna reagire col cambiamento. Quando mi sono presentato, con la Vomiton nella sua scatola rossa sotto il braccio, contento che le circostanze mi portavano di nuovo lì a chiacchierare col vecchietto, ho dovuto parlare col figlio e col figlio del figlio. Mi è dispiaciuto perché, nonostante il tono scherzoso di entrambi, ho avuto la sensazione che non fossero pienamente soddisfatti della staffetta passata nelle loro mani. Quasi sicuramente mi sbaglierò, poi chi sono io per stabilire il livello di contentezza di 2 sconosciuti per aver ereditato l’attività di famiglia?
Un altro che rispedisce al mittente la Vodafone Station! Mi accoglie così il figlio, che avrà 50 anni e 50 chili di pancia. Me lo ricordavo più magro, pure lui si ricorderà me con più capelli. Ne hanno riconsegnate molte? domando. Uh, non puoi immaginare quante! Si accoda il figlio del figlio. Avrà 20 anni, e io me lo ricordo un bambimetto che saltellava fra gli scaffali: Dev’essere una cagata pazzesca ‘sta Vodafone Station! Dal suo unico intervento deduco che ha sviluppato una notevole perspicacia. Compilo il modulo TNT scrivendo per 5 volte il mittente e altre 5 il destinatario, appongo le 19 firme richieste, e saluto. Volando a bassa quota verso la porta, libero e felice come la farfalla dei Lines, mi cade l’occhio su un cartellino circondato da un triplice cerchio verde chiaro di evidenziatore. Ad arrestare il mio volo è intanto la parola OFFERTA in stampatello, alla cui curiosità non riesco a resistere mai, e poi l’evidenziatore perfettamente in sintonia col colore della mia anima. Insomma, a farmi precipitare sullo scaffale è stato il mio karma. 3 quadernoni ad anelli coi paesaggi di Geo&Geo mi osservano, riempiti solo dei separatori colorati per dividere un argomento dall’altro e organizzare i molteplici blocchi di interesse. Pensate, 3 a 5 euro, meno di 2 euro l’uno. Rifletto sulla grandiosa possibilità che ho davanti ai miei occhi, a portata di mano, a un palmo dal naso. Se ne prendo 6 beneficio di una doppia offerta. 6 quadernoni ad anelli a 10 euro, è incredibile! Alla fine mi accontento di 3, che porto in cassa senza nemmeno sceglierli. Ci hai ripensato? Rivuoi la tua stazione? Il padre ciccione accenna un faticoso sorriso, ma è simpatico eh! No, è che uscendo mi sono imbattuto in questa vostra offerta ed è davvero una di quelle che non puoi rifiutare. 3 quadernoni ad anelli a 5 euro, pazzesco! Mentre esulto ondeggio pure corpo e testa. Immagino di sembrare colpito da una scarica elettrica, e invece sono solo eccitato. L’uomo e il ragazzo non capiscono la mia emozione, ma cosa ne vogliono sapere loro, che maneggiano quelle meraviglie tutti i giorni per 10 ore al giorno. Mi sorridono imbarazzati, ma perché? Ho usufruito della vostra offerta, mica mi sono messo a ballare la lap-dance all’ingresso della cartoleria, voglio dire. Eh sì. Sono carini e… convenienti, mi asseconda l’uomo. Utilissimi pure, sì sì! aggiunge il figlio. Carini, convenienti e utilissimi… Tornato a Villa Madre scopro che ne ho presi 2 uguali con in primo piano il culo rosa spelacchiato di un Macaco, sulla copertina dell’altro sta appollaiata una tarantola gigante che mi guarda minacciosa. Hanno ingradito la foto a tal punto che distinguo la pupilla. A mente fredda devo dire che non sono proprio il massimo, però i separatori sono fantastici, con tutti quei colori che mi aiuteranno a discernere il reale. Mentre l’entusiasmo si spegne, lasciando il posto all’avvilimento per aver buttato 5 euro in roba che fa schifo al solo vedersi, e che non avrò mai il coraggio di riempire, arriva la solita chiamata a sorpresa da Milano. 02… oddio è la Feltrinelli! Faccio cadere il telefono 2 volte per terra, la batteria rimane pelin pelino e riesco a rispondere: Pronto! Eccomi! Sono qui! L’iniziale silenzio all’altro capo del telefono mi fa sentire un deficiente. Il solito entusiasmo inopportuno. Matteo Grimaldi è lei? Sì, sono io! Sono io, sì! Sì sì! Ehm. (Ok, la smetto, tanto non è nessuno che può cambiarmi la vita.) La chiamo dalla Wind. Uh, la Wind! La mia adorata Wind! Io adoro la Wind, lo sa? Bene, ci fa piacere. Fra bene e ci fa piacere inserisce un’altra pausa francamente imbarazzante. Che problema ha pure questo qui? Che mi chiamano a fare se parlare con me equivale allo sforzo di uno stitico, alla disperata in bagno? Deduco che anche la Wind la adora, perché vuole proporle di adeguare la sua tariffa All Inclusive, che al momento paga 20 euro al mese per 250 sms, 250 minuti di chiamata, internet sul telefono e chiamate illimitate verso il suo numero preferito, a All Inclusive 300. Avrà 300 sms, 300 minuti di chiamate verso tutti gli operatori, internet sul telefonino e chiamate illimitate verso il suo numero preferito, al costo di 19 euro al mese. Cioè, mi faccia capire bene. In soldoni mi aggiungete 50 minuti e 50 messaggi al mese, facendomi pagare un euro in meno? Esatto signor Grimaldi! Non credo alle mie orecchie. Certo che accetto l’adeguamento, signor Wind! Riaggancio felice; da oggi in poi posso chiamare questo mondo e quell’altro, quindi lasciatemi in privato i vostri numeri di telefono e ci faremo lunghe chiacchierate dei nostri problemi e dei nostri guai. E poi perché in soli 5 mesi la Wind mi avrà pure ripagato del bidone del culo del macaco.