Lo strano caso di Amanda Hocking che si auto-pubblica e diventa milionaria

La storia di Amanda Hocking è eccezionale, unica nel suo genere e direi irripetibile. Amanda è una giovane autrice statunitense che scrive da quando ha 6 anni. 20 romanzi nel cassetto e mai un editore disposto a pubblicarla. Si era posta un obiettivo, trovarne uno prima dei 26 anni. Non ci è riuscita. Adesso di anni ne ha 27. Dopo aver ricevuto centinaia di rifiuti, 2 anni fa, nel corso di una fiera, si imbatte in alcuni autori che avevano sperimentato l’esperienza del self-publishing e stavano riscuotendo un buon successo, così decide di gettarsi nella mischia di Amazon. Nel luglio del 2010 carica il suo primo romanzo digitale. Vendeva una copia al giorno, non era molto, ma è più di quanto vende un autore che si pubblica da solo su Amazon. Nelle settimane e poi nei mesi successivi è un’ascesa continua, raggiungendo la cifra da capogiro di 9mila download al giorno per i suoi libri, pubblicati al ritmo di uno al mese.
Ha totalizzato più di 2 milioni di copie vendute ed è entrata nel Kindle Million Club con Stieg Larsson, James Patterson, Michael Connelly e Stephenie Meyer, diventando di fatto milionaria senza avere un editore.
Dopo questo straordinario riscontro di pubblico, naturalmente gli editori li ha trovati. In Italia ce l’ha portata Fazi che ha appena pubblicato Switched – il segreto del regno perduto, il primo titolo della trilogia fantasy Trylle, e che pare pubblicherà tutti i volumi della saga. Se siete curiosi di scoprire cos’è che sta entusiasmando milioni di lettori in tutto il mondo, Amazon vi dà la possibilità di assaggiare senza pagare, che di questi tempi non è poco. Trovate, in download gratuito, un corposo estratto contenente i primi 4 capitoli di Switched (qui). Fatemi sapere che ve ne pare. Io non mi ci avvicino neanche. Non per fare il sostenuto, ma le avventure delle diciassettenni che si chiamano Wendy, a cui la scuola non va e le giornate trascorrono senza sussulti, finché non si accorgono di avere il potere di condizionare col pensiero le altrui azioni, e sono pure un po’ tro… troll, (ecco spiegata la tinta verdognola della pelle) non fanno per me. C’ho pure quasi 31 anni, abbiate pazienza!
Amanda Hocking è la pioniera di 2 grandi rivoluzioni editoriali su cui nessuno avrebbe scommesso un solo centesimo. Da una parte quella digitale: è riuscita a vendere 2 milioni di copie da sola! Cifre che neppure un romanzo di carta, presente in tutte le librerie e supportato da una campagna promozionale martellante, toccherebbe. Esempio: La solitudine dei numeri primi, che ci ha frantumato i boccini, tanto ne abbiamo sentito parlare. Ce lo ritroviamo davanti nei momenti più impensabili, pure quando apriamo la confezione di compresse per la stitichezza. Eccola lì, l’immancabile immagine di copertina sul foglietto illustrativo con sotto scritto: Attenzione, prodotto purgante! Anche somministrato in piccole dosi può avere effetti lassativi estremamente fastidiosi. Beh, il bestseller di Paolo Giordano ha da poco superato il milione, pubblicato da Mondadori però, non so quanti anni fa ormai. Altro tabù bruciato dalla Hocking è quello del self-publishing che viene considerato di norma l’ultima spiaggia dei disperati senza talento schifati dagli editori, almeno in Italia. In America non è così. Secondo una ricerca pubblicata lo scorso anno sul blog letterario Novelr, tra i 25 autori di bestseller su Kindle, solo 6 hanno già pubblicato con case editrici. Nel 2010 il mercato degli ebook ha raggiunto quota 878 milioni negli Stati Uniti, quattro volte tanto rispetto al 2009.
Quella di Amanda Hocking è una bella favola, che offre speranza a chi sogna di arrivare alla gente attraverso la parola scritta, a chi non molla nonostante i rifiuti, a chi persevera perché pensa di avere le carte per sfondare il muro dell’indifferenza, che le case editrici erigono a protezione dagli aspiranti assaltatautori all’arrembaggio, però attenzione! Sarebbe sbagliato pensare che per lei si sia trattato di una specie di magia; che le sia bastato caricare un paio di libri su Amazon per ritrovarsi multi-milionaria. Amanda Hocking racconta di 10 anni di sofferenza, passati a lavorare e a dedicare il resto della giornata alla scrittura, anche fino a tarda notte, per svegliarsi la mattina dopo prestissimo e tornare al lavoro. Racconta di ore spese a risolvere problemi tecnici sul Kindle, disegnare le copertine, editare i suoi testi, scrivere sul suo blog (qui), che ha mantenuto sempre attivo, rispondere ai lettori che si facevano più numerosi. Il processo editoriale che va dall’idea al libro è molto lungo, e la frustrazione alle porte, soprattutto quando si è resa conto di essere una sola contro 100mila piccoli problemi che ne fanno uno gigante. Dice: Mi fa andare in bestia, perché davvero ho provato a far funzionare tutto, semplicemente non ci riesco. È troppo; è spossante ed è difficile. E comincia a pesarmi a livello emotivo. So che sembra strano e lamentoso, ma è vero.
Finché non ha deciso di consegnarsi al tradizionale mondo dei libri, che per anni l’aveva rifiutata. Per 2,1 milioni di dollari ha affidato la pubblicazione della prossima serie di romanzi a St Martin’s Press negli Stati Uniti e a Pan Macmillan nel Regno Unito. In attesa di scoprire se troverà su carta il medesimo successo che ha saputo costruirsi in digitale, potrà smettere di lavorare e rilassarsi un po’ in giro per il mondo a promuovere i suoi romanzi.

Intercettata tutta l’infinita rabbia aquilana 2 di 2

La seconda parte di questo doppio post legato al terremoto è per condividere con voi la terribile sensazione che, da aquilano, ho provato e son certo proverete anche voi, nell’ascoltare un’intercettazione telefonica risalente al marzo del 2009 fra l’ex-capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso e l’allora assessore regionale alla Protezione Civile, Daniela Stati. L’oggetto della telefonata è la convocazione di una riunione urgente della commissione Grandi Rischi a L’Aquila.
La commissione Grandi Rischi è una struttura che svolge attività consultiva per la Presidenza del Consiglio in materia di previsione e prevenzione delle situazioni di rischio, non solo i terremoti. Non molti di voi sapranno che sulla testa dei componenti che facevano parte della commissione nel 2009 pendono accuse gravissime per aver sottovalutato il rischio sismico e fornito false rassicurazioni ai cittadini aquilani. Gli imputati sono Guido Bertolaso, Franco Barberi, presidente vicario della Commissione Grandi Rischi; Bernardo De Bernardinis (tenete a mente questo nome); Enzo Boschi, all’epoca presidente dell’INGV, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia; Giulio Selvaggi, direttore del Centro Nazionale Terremoti; Gian Michele Calvi, direttore di Eucentre e responsabile del progetto C.A.S.E.; Claudio Eva, ordinario di fisica all’Università di Genova; Mauro Dolce, direttore dell’ufficio rischio sismico della Protezione Civile. I capi di imputazione per tutti sono di omicidio colposo, disastro colposo e lesioni personali colpose. Dopo l’udienza di mercoledì, il processo, in corso a L’Aquila, è stato rinviato al prossimo 1 febbraio.
La telefonata fra Bertolaso e la Stati è datata 30 marzo 2009. Mentre la ascoltate, fra un attimo, tenete sempre a mente che, esattamente una settimana dopo, alle 3 e 32 della notte a cavallo fra domenica 5 e lunedì 6 aprile del 2009, una scossa di magnitudo 6.3 della scala Richter fa tramare L’Aquila per 30 secondi. La scossa, insieme a quelle che seguirono nei giorni successivi, è stata nettamente percepita in tutto il centro sud d’Italia, anche a Terni, Roma, Frosinone, Napoli, Foggia, a settentrione, anche in tutta l’alta valle del Tevere, nelle province di Arezzo, Perugia, Macerata e nell’Appennino Tosco-Emiliano. L’Aquila è stata evacuata dalla quasi totalità della popolazione. Sono crollati la sede della Prefettura e un’ala della Casa dello Studente (con dentro diversi giovani, molti dei quali deceduti); seriamente lesionati l’Ospedale Regionale, le sedi dell’Università e la Questura. Rasa al suolo la frazione di Onna, un paesino di soli 300 abitanti dove sono morte 41 persone. Nel complesso sono state accertate 309 vittime, più di 1500 feriti e circa 65mila sfollati in tutta la zona.
Ascoltate!

 

La parole di Bertolaso, rese pubbliche dall’inchiesta svolta da Repubblica, sono cariche esplosive di indifferenza, menefreghismo, potere, interessi o disinteressi, visto che a lui “non gliene frega niente”; tutto ciò che gli preme è rassicurare la gente (pure se in pericolo) e gettare cenere sul fuoco, come se si potesse soffocare un vulcano con un mestolo di polvere. La signora Stati, che chiamerei Miss Vabenissimo, reagisce con la stessa vitalità di un lombrico in coma. Il signor Sindaco Cialente, intervistato da una tivvù locale immediatamente dopo la riunione incriminata, ripete a memoria la pappardella dell’energia sfogata in scosse di alta frequenza e scarsa ampiezza, che abbiamo sentito dalla viva voce di Bertolaso mentre indottrinava la Stati al telefono. Idem con patate De Bernardinis, intervistato stavolta prima della riunione che, alla domanda del timido giornalista: “Non è anomalo uno sciame sismico così lungo?” risponde che si colloca in una fenomenologia senz’altro normale, e che se ne occuperanno gli scienziati in riunione. Così non è stato, gli scienziati, “i luminari del terremoto in Italia”, come li definisce San Guido, sono stati mandati a L’Aquila da Bertolaso non per affrontare seriamente il problema, valutare il da farsi, studiare un piano di prevenzione. Proprio no. In quella riunione si sono occupati di tutt’altro: di scrivere il copione del loro stupido tentativo di fuga dalle responsabilità ristabilendo una calma ingiustificata attraverso rassicurazioni che, col senno di poi, hanno il sapore di certi medicinali che calmano il dolore intontendolo, senza curarne la fonte. Hanno messo a terra il primo mattone di drammatiche fondamenta per quello che al momento risulta il più grave terremoto, per intensità e conseguenze, del XXI secolo in Italia. E io avrei voluto gridare dalla rabbia, gridarla fuori, la rabbia, come non mi capitava, come forse non mi è mai capitato.

Terremoto televisivo 1 di 2

Me ne volevo stare tranquillo tranquillo, sul letto a godermi il coma di recupero energie, messe a dura prova dal virus ormai quasi debellato; concedere a voi un altro giorno di pace, e invece no. Potevo non arrabbiarmi e invece mi sono rovinato la giornata, di prima mattina, per colpa di uno dei pochi argomenti capaci di provocarmi reazioni ingestibili. Voi non sareste ora costretti a subire il mio inevitabile, proprio perché ingestibile, sfogo del giovedì. Lo dico con una punta di dispiacere, ma così è, trattenermi non posso e allora togliamoci presto presto il dente.
Ieri ci siamo svegliati, tutti quelli che si svegliano mentre guardano la tivvù, che hanno acceso prima di fare colazione, come faccio io, con la notizia della forte scossa di terremoto (4.9 sulla Scala Richter) con epicentro nel Reggiano, e avvertita fino a Milano, Genova, Varese e vicini di casa. Dopo l’iniziale panico per le strade e nelle piazze, l’evacuazione preventiva delle scuole, la situazione è tornata alla normalità. O meglio, sarebbe tornata alla normalità, se non fosse subentrata la solita stucchevole abitudine italica di trasformare un girino in un’avvenente e prosperosa sirena incantatrice, una notizia come un’altra in un copione cinematografico campione d’incassi nelle sale. La proiezione del loro film ha riempito prima la colazione, poi la merenda mattutina, poi il pranzo, poi lo snack pomeridiano, poi l’aperitivo, la cena, il dopocena e pure le pomiciate notturne degli italiani: 24 ore di palinsesto televisivo con speciali, tavoli di esperti, collegamenti dal luogo della catastrofe (?), titoloni sgradevoli con L’Aquila appena nominata, solo strumentalizzata a vantaggio di chi deve confezionare la tivvù del popolino. Tutto questo per una scossa di 4.9 della Scala Richter durata fra 8 e 10 secondi.
Rivolgo una domanda agli autori dei programmi televisivi, che resterà non-soddisfatta. Il terremoto esiste, lo sapevate? L’avete scoperto ieri, al nord, cos’è un terremoto? O fate finta di non ricordare? Capisco che L’Aquila sia troppo lontana e la vostra quotidianità troppo indaffarata, ma la parola Friuli e l’anno 1976, messi uno accanto all’altra, vi dicono qualcosa? Lo chiedo a voi che, dagli studi televisivi milanesi, raccontavate l’accadimento della scossa come se ieri mattina fossero scesi gli alieni sulla (vostra) terra del nord.
Chiariamo per chi non lo sa, che sente questi numeri e pensa che stia per finire il mondo. Anche per chi vive in quelle zone e sta pensando di trasferirsi in un villaggio vacanze in Costa Azzurra. Chiariamo un dettaglio che le televisioni, non solo non spiegano, ma esasperano al contrario. Una scossa di 4.9 di 9 secondi fa paura, ferma il fiato, è una sensazione terribile, ma non riuscirebbe a far cadere giù neppure la casa dei 3 Porcellini. La notizia va data, per carità, però senza girarci una soap opera. Perché creare un vortice d’ansia nella gente, attraverso una comunicazione pressante e subdola? Perché trasferire sull’ascoltatore solo certe informazioni ingigantendole all’inverosimile, e tralasciarne altre, sul tema terremoto, ben più rilevanti a livello di cronaca e interessanti per il cittadino, anche utili magari?
Per esempio potrebbe interessare a qualcuno che i terremoti non sono prevedibili. Quante volte l’abbiamo sentito dire? Tante, no? Eppure oggi c’è ancora chi crede nella possibilità di prevederli, come se dipendesse da persona a persona, una sorta di capacità extrasensoriale, paranormale, di talento proprio che altri non hanno.
“Mah, io c’ho una specie di sesto senso sviluppato, e quindi te posso di’ che fra 5 anni e 11 mesi, su via Ammazzachesfiga numero 13 si aprirà la terra e inghiottirà la casa di tu madre!”
Non funziona così. Non confondiamo la previsione magica con la previsione scientifica basata sullo studio dei fattori che causano un evento, su un data-base di accadimenti monitorati in centinaia di anni. Stabilire se un evento, in questo caso un terremoto, accadrà e quando, e circoscriverne con precisione la zona interessata; questo significa prevedere. Non si accettano previsioni approssimative del tipo: “Entro il mese prossimo farà una scossa di terremoto fra il grado 2 e il grado 6 in centro/sud Italia” come ne ho sentite fare da chi poi ha acquisito anche una certa fama. Grazie a chi crede alle sue storie, ora scrive libri per case editrici nazionali e fa comunicati ai suoi 20mila fan su Facebook. Non è questione di fede, è questione di scienza e la Scienza mondiale dice che no, i terremoti non si possono prevedere.
Quando Milo Infante, conduttore dell’Italia sul 2, ieri ha domandando al professor Valerio De Rubeis, ricercatore dell’INGV, se i terremoti potevano essere previsti, avrei voluto spaccargli sulla faccia il televisore del salotto di Villa Madre, quello grande insomma, non soltanto per averlo chiamato, per tutta la puntata, dottor Rubèis, che è sbagliato per 2 motivi, uno certo: manca il De, e uno incerto: secondo me si dice Rùbeis con l’accento che cade sulla u, perché un mio compagno di classe si chiamava così e capitava che qualche prof. nuovo sbagliasse, e sbagliava allo stesso modo di Milo Infante. Questa è cattiva televisione, perché non fa chiarezza, ma alimenta il dubbio e il dubbio fa brutti scherzi. Mi viene in mente il panico che generarono a L’Aquila le dichiarazioni di Giampaolo Giuliani, che ha sempre detto, e continua a farlo, che grazie alle sue strumentazioni è in grado di prevedere un evento sismico con una certa precisione temporale e geografica.
“Si prevedono altre forti scosse di assestamento” diceva, e tutti a fare passaparola e ad attrezzarsi per passare la notte fuori, trasferirsi dagli zii in Puglia e vivere col terrore ogni rumore, col cuore, già messo a dura prova, le ore successive. Tanta sofferenza è inutile e va punita, va bene? Non dovete credere mai a chi parla di nuove scosse in arrivo, non perché non sia vero, ma perché nessuno può saperlo, nessuno al momento è in grado di leggere con chiarezza i segnali della Terra e interpretarli per il futuro. Nessuno, nemmeno chi corre con la macchina e un altoparlante per la città ad allarmare la popolazione. Nessuno e questo è inconfutabile.

La realtà è che nonostante tutte le ricerche effettuate, a tutt’oggi, un terremoto si può registrare solo un attimo dopo che si sia manifestato e se qualcuno avesse questa paventata capacità di prevederlo sarebbe una salvezza per l’intera umanità.

Parole del Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi, Gian Vito Graziano. Se qualcuno ha intenzione di affermare il contrario, non deve rivolgersi a me e farlo su questo blog, ma alla comunità scientifica nazionale e internazionale; io mi limito a ripetere. Se pensate che si possano prevedere i terremoti, nonostante la Geofisica dica il contrario, andate a farvi curare il mal di testa dalla vecchia che toglie il malocchio la domenica; a farvi leggere le carte dai buffoni, travestiti da Carnevale, in televisione; a ordinare filtri magici e amuleti, perché i vostri figli trovino lavoro e amore, ai divini cazzari. Ma non lamentatevi poi del dolore che vi causa la vostra ignoranza e che essa stessa non sarà mai capace di calmare.
Il titolo del post lascia intuire che ce ne sarà un altro. Sì, devo raccontarvi una faccenda triste, cronaca di responsabilità gravissime che i telegiornali hanno riportato con molta leggerezza, su cui non si fanno speciali, né tavoli di esperti, perché i poteri in gioco sono troppo grossi.

Sono sempre gli sfigati a rimetterci

Misure preventive attuate in questi giorni per scamparmela dal virus che sta infestando Villa Madre:
– Prima di uscire dalla mia stanza, mi accertavo, tramite la sospensione del padiglione auricolare a 4 millimetri dal legno ciliegio settecentesco della porta, alla ricerca di rumori che indicassero una presenza, che l’intero piano fosse sgombro da entrambi gli appestati (Madre e mio padre).
– Procedevo a passi decisi, allungando quanto più potevo la gamba, per ridurre al minimo il tempo di attraversamento dell’aria batterica nella zona di criticità dagli appestati frequentata, secondo il risultato delle espressioni: stanza cucina + stanza salotto = allarme rosso e stanza bagno = pista nera.
– La mano su bocca e naso perenne, a evitare che la suddetta aria potesse veicolare qualcosa all’interno del mio accogliente stomaco, e da lì far germogliare, in una moltiplicazione esponenziale, milioni di quei vermiciattoli malvagi coi denti gialli di Esplorando il Corpo Umano, che poi cacciarli non è piacevole; che si opti per la via d’uscita anatomica principale o per quella secondaria (la porta sul retro) fa poca differenza, anche per il colore.
– Fingevo di non esistere. Isolato dal mondo senza concedere parola ad alcuno, eccezion fatta per chi ha potuto dimostrare con un referto medico, che includesse un esame approfondito delle feci e della loro consistenza, di non aver manifestato sintomi della patologia negli ultimi 33 giorni precedenti l’incontro. Mio padre e Madre naturalmente non hanno potuto ottenerlo e quindi, sono desolato, ma non ho potuto evitare loro la sensazione di aver perso un figlio.
– Mantenevo una distanza di sicurezza, possibilmente chilometrica, anche dagli individui certificati, in virtù della certezza che le peggiori pugnalate le becchi quando non te le aspetti. Final Destination l’avete visto tutti, no?!
– Mi sono fatto istallare un piccolo lavabo in camera, con sotto-ripiano contenente 4 flaconi di amuchina per le mani, da sfregare ogni mezzo minuto, e 2 di acido muriatico, per chi invece osasse oltrepassare la distanza di sicurezza.
Ebbene, quando già gridavo vittoria e abbassavo le difese, l’esercito dei Denti Gialli ha sferrato l’attacco. Qualche lieve fastidio nel sottopancia (non andate troppo sotto con la fantasia) già il sabato pomeriggio, che ho liquidato con: “Sarà per colpa della minestra di fagioli del pranzo!” che Madre mi ha presentato con entusiasmo dietetico: “Prendine 2 piatti che non è pasta! È una minestra! Pas… ehm fagioli!” come se io soffrissi di una patologia visiv-tatti-gustativa che m’impedisse di catalogare come pasta i chili di rondelle scotte, che sguazzavano in un liquame marrone, spupazzandosi i fagioloni in via di disfacimento. Nonostante ci fossero tutti gli elementi per pensare che tale composto fosse la causa del mio malessere, ancora solo accennato, non era così. Le mie condizioni sono andate peggiorando fino al momento dell’esplosione, al lavoro, davanti a una cliente che non si accontentava mai: “Possiamo aggiungere questo timballino? E… uh ci sono anche le zampe di rana! Sembrano squisite. E vorrei provare, se non è troppo disturbo, quei pezzetti di, come si chiamano, mannaggia, dolci…”. L’ho abbandonata in cassa nel pieno del suo interrogativo. Mi scuso, ma avevo la testa che suonava la danza maori Haka degli All Blacks remix e le contrazioni da partoriente di cucciolo di tirannosauro. Sono tornato a casa con la guida di Dio; al volante già sono un pericolo nel pieno delle mie facoltà, figuriamoci con la febbre a 38, i conati di vomito e una serie di altri particolari che lascio estrarre alla vostra intuizione.
Ammalarsi di sabato sera non ve lo consiglio. Andrete incontro a una serie di impicci da giorno festivo.
– Il sito dell’INPS in manutenzione. Se non avete un medico di famiglia in ordine di santità come il mio, che prova e riprova fino a tarda sera, cambiatelo! Altrimenti vi toccherà pagare qualcuno perché vi consegni il certificato prima all’INPS e poi alla sede di lavoro.
– Il numero da chiamare per rinviare una visita specialistica in ospedale è attivo solo dal lunedì al venerdì, dalle 12 alle 13. Mettiamo il caso che io avessi avuto una visita, pagata e prenotata da un mese e mezzo, per lunedì 23 gennaio alle 8.30, e il sabato precedente fossi stato colpito da un uragano di malanni, non ci sarebbe stato modo di rinviarla senza lasciar pensare a una scusa, visto che, al massimo della celerità, avrebbero risposto alle 13 del lunedì e l’appuntamento era per 4 ore e mezza prima. Ogni riferimento…
I complimenti per il tempismo me li faccio da solo, però non è giusto. Sono sempre gli sfigati a rimetterci. Sì, quelli che a 28 anni ancora non si laureano, come dice questo signor Martone che avrei molto piacere di conoscere.

Ferragosto 2010, Via XX Settembre, L’Aquila

Le fotografie delle famigliole sorridenti, davanti alla nave semi-affondata, tristemente celebre di Costa, hanno riaperto una ferita. Un gran vociare su una strada non più abituata. Pantaloncini, t-shirt dai colori accesi della piena estate, zainetti in spalla, cappellino, una mano nella mano del proprio bambino e la digitale, pronta a scattare, nell’altra. Li guardo tutti, tanti provenienti da ogni parte d’Italia, pochi pure da qualche città degli Stati vicini, passeggiare a pochi metri da me, che mi sento un alieno nella mia città, che non posso riconoscere in quella condizione alla quale ancora non mi abituo, ora che sono passati quasi 3 anni, figuriamoci a poco più di un anno dalla fine del mondo. Ognuno ha un mondo suo, e non occorre che finiscano tutti in sincronia per poter dire che è finito il mondo. Il mio è finito il 6 aprile del 2009. Ne ho ricostruito un altro fatto di pezzi che non si incastrano, un mondo riciclato, fai da te, senza istruzioni, con materiali poveri tenuti assieme da un incalcolabile amore per la vita, pure nell’assenza.
La vita genera vita in una moltiplicazione che ha inizio in un punto, il principio nel quale sta il seme, in attesa di acqua che lo nutra e faccia spuntare microscopiche radici che attecchiscano alla terra e trovino, in uno stelo sottilissimo, la forza di attraversarla. Io ho visto la vita rinascere dal niente, dove non c’erano semi, come un miracolo che non voglio condividere, che non voglio raccontare, del quale non m’importa parlare, il mio miracolo, intimo, nel buio di una solitudine sconosciuta, infastidita a morte da tutto quel chiacchiericcio a L’Aquila, in Via XX Settembre, a Ferragosto del 2010.
Chiudo gli occhi ed entro in uno di quei palazzi. Mi permetto di farlo solo col pensiero, pur sapendo di non esserne degno. Facilissimo farlo solo col pensiero, quando qualcuno, molti, avrebbero voluto trovarsi a mille miglia da lì, o anche appena fuori, e invece erano dentro, non per loro volontà, a vivere gli ultimi istanti, quando avevano 100 anni ancora davanti, dio mio. Dall’interno, lo spettacolo sovrumano di tanti esseri (sovr)umani in gita fuori porta a L’Aquila, il giorno di Ferragosto, ha fattezze peggiori, perché più dolorose, come frecce che congiungono i sorrisi, all’ingiustizia di bocche abbandonate su pietre; le mani intrecciate, all’ingiustizia di mani ferme su pietre; le passeggiate di Converse, all’ingiustizia di gambe e piedi immobilizzati dalle pietre; tanta felicità, all’ingiustizia di una incommensurabile infelicità eterna, di chi non avrà più motivo di vivere, ora che manca chi il motivo lo accudiva, eppure deve vivere per forza; il bisogno di fermare con un click le proprie facce sorridenti davanti all’abisso, al buio, al silenzio lasciato dal boato, preceduto dalla gioia giovane di chi L’Aquila la sceglieva e poi imparava a voler bene a ‘sta città, nonostante tutto.
Torno in me, ad abitare il mio corpo immobile in un punto qualunque della strada, chiedo ancora scusa per aver calpestato, seppur solo con la mente, i pavimenti delle vostre stanze vuote, anzi, piene zeppe di dolore, perché tutto si avverte tranne il vuoto, in questo pieno che fa male. Da qui, fermo sul marciapiede, mi domando cosa ci fanno tutti su Via XX Settembre.
Non si rendono conto di essere l’unica forma di vita in questa strada? E allora perché permettono ai loro bambini di schiamazzare, perché implorano l’un l’altro di fotografarsi, perché si incitano e si consigliano pose carine, pose ammiccanti, pose da luna park?
Le fotografie dei turisti del macabro, con sullo sfondo mezza nave, hanno riportato in alto l’interrogativo. Non ho ancora trovato una risposta alla voluttà di comparire davanti alle macerie di una storia dal pessimo finale.  
Senza condanna, per carità, con un misto di pena e vergogna, certamente, e nessuna, nessuna spiegazione.

Supermarket24 scala le classifiche di Amazon

Non so se ho beneficiato della benedizione di qualche Santo protettore della Letteratura o, semplicemente, Amazon ha deciso di ringraziarmi di tanta pubblicità gratuita e meritata. Comunque. Torno a casa dal lavoro all’1na di notte, dopo aver filtrato 12 vasche d’olio, 2 delle quali capienti il doppio delle altre, che puzzo di fritto a tal punto da non sapere se sentirmi più un essere umano o una patatina, facciamo un patatone umano, e trovo una sorpresa di quelle grandi: Supermarket24 in classifica su Amazon. Non so chi o cosa abbia innescato il meccanismo di passaparola che ha permesso al mio libro, per mesi stabile attorno alla posizione 9mila e 200qualcosa (giuro!), di saltare fino alla posizione 23 nella Narrativa Contemporanea, sotto a Jonathan Franzen e sopra a Erri De Luca, ma così è. So che un bel po’ del merito è vostro, che mi avete scritto, e io vi ringrazio e vogliovi un giga-bene. C’ho impiegato una 40ina di minuti per riprendermi dallo shock, poi ho subito fatto alt+Stamp sulla tastiera per fermare l’immagine, che costituisce la testimonianza di quanto dico e soprattutto la prova che non sono impazzito tutto assieme e neppure a poco a poco. Fra 10 anni, quando sarò un vagabondo, e come unico tetto sulla testa avrò quello di un ponte, riguardando vecchie foto ingiallite, potrò ricordarmi del mio momento di gloria su Amazon. Non serve che vi elenchi le conseguenze che la tale esperienza, per me sovrannaturale, ha causato sulla quotidianità di questi 2 giorni. Anzi, sì:
– Ho passato la notte ad aggiornare la classifica di Amazon col terrore di essere superato da Erri De Luca (che poi ce l’ha fatta, ma io tengo botta).
– Mi sono svegliato completamente rincoglionito, ho messo a bollire il latte, ho preso ad aggiornare Amazon, poi Twitter e Facebook per dire a tutti: “Ehi, sentite, basta parlare di argomenti di poco conto come la nave e Schettino (che adesso sarebbe scivolato nella scialuppa. Con tanti angoli pericolosi, in una nave lunga 200 mila chilometri, pure inclinata, lui proprio nella scialuppa doveva scivolare? Certo!), sono in classifica su Amazon, mica pizza e fichi!”. Ho dimenticato il bollitore sul fuoco. Il latte ha preso vita, è uscito dal pentolino, si è fatto una passeggiata sul piano cottura, prima di bussarmi e comunicarmi che il bollitore, nero petrolio ormai, mi salutava caramente e semi-fuso.
– Ho dimenticato di pranzare e stavo dimenticando pure di andare a lavoro.
– Fatto doccia, barba, squarciandomi la faccia in più punti tipo falla della Concordia (se, al posto della lametta Bic con la bandella verde, avessi utilizzato un coltellaccio per il pane, sarebbe uscito meno sangue. La mia editrice mi fa notare che sono un po’ troppo pulp, sempre a parlare di sangue e cacca, però come lo esprimo il concetto del sangue senza dire la parola sangue?), vestito e uscito di casa in 12 minuti, dimenticando che ho un corpo che va nutrito, appunto.
– Nel corso delle solite 5 ore lavorative, col pensiero fisso al mio Supermarket24, solo soletto a difendersi in un oceano di squali, ho causato qualcosa come un milione di euro di danni, che non mi verranno detratti dai miei prossimi 500mila stipendi, come qualcuno mi ha minacciato, perché non potete farlo, no!
Insomma, sono 2 giorni che vivo quest’incubo da classifica. Supermarket24 non vuol saperne di tornare al 9milesimo e 200 posto, là dove io sto tranquillo. In questo preciso momento è 14esimo. Da qui posso vedere il culo della Mazzantini, che sta in alto in alto. Mi fate un regalo, voi che passate di qua? Vi accattate una copia di Supermarket24 a testa (si parla sempre di ebook; lo dico perché ieri una ragazza mi ha scritto chiedendomi come mai in libreria costa 14 euro e su Amazon 3) così la supero? (Qui c’è la scheda dove trovate il link per farlo.) Mi è sempre stata sui ciufoli M. Mazzantini, da quando, 7 anni fa, prima dell’uscita di Non farmi male, le scrissi per avere qualche consiglio. Mi rispose:

La mia casa editrice (Mondadori) non pubblica esordienti. Buona vita, Margaret

(Margaret, perdonami, Licia Troisi, Paolo Giordano, Saviano e Piperno, tanto per dirne 4, cos’erano, quando sono stati pubblicati da Mondadori?) Buona vita?! Aaahhh, che nervi! Buona vita a te, tiè! Allora, me lo fate ‘sto piacere? Eh?!

Adoremus Kindle!

Per poter esprimere un parere utile sul nuovo Kindle, ho atteso di completare la lettura del mio primo libro digitale, ‘I love shopping con mia sorella’, che non è proprio quello che si definisce comunemente un mattone. L’ho acquistato sul kindle-store per 3 miseri euro e 99 centesimi. È il quarto episodio della celeberrima serie. Speravo di ridere tanto, come nei precedenti almeno, e invece ho riso poco, e spesso per forza. In dubbio se acquistare il prossimo, visto che i 9 euro digitali non è che siano così invitanti, inizio ‘Dalla parte di Swann’. È il primo dei 7 volumi di cui è composta l’opera attraverso la quale il signor Marcel Proust ha deciso di lasciare un segno indelebile nella storia della letteratura di sempre e di ogniddove, ‘Alla ricerca del tempo perduto’, acquistata nella sua interezza per 4 euro e 99 centesimi, contro i 21 dell’edizione cartacea di Newton. La velocità con cui procedo, pure nella lettura di un testo che merita la calma dovuta alla comprensione piena, mi convince che l’acquisto del Kindle sia stato uno dei più azzeccati, sicuramente degli ultimi anni, ma forse della mia vita, almeno di quelli fatti con i soldi miei. Ehm, comunque, prima di entrare nello specifico del dispositivo – giuro che stavolta lo faccio – voglio farvi assaporare un po’ del Proust che sto scoprendo come un bimbo davanti a un’avventura, alle porte di un mondo popolato di draghi, principesse da salvare, eroi e tesori, inestimabili come le pagine che mi è capitato di leggere criticate da chi: Proust mioddio proprio non lo reggo!

Abbiamo bussato a tutte le porte che si aprono sul nulla, e alla sola attraverso cui è possibile entrare, e che invano avremmo cercato per cento anni, ci sbattiamo contro senza saperlo, ed essa si apre.

Ho desiderato ritrovarmi attorno al tavolinetto di metallo, sulla veranda della casa della zia Léonie, in una tiepida serata di Combray, a discorrere col signor Swann, ammaliato dalla sua personalità molteplice e distante. Così, tanto per dire che Marcel Proust non scriveva proprio come Fabio Volo, ecco.
Cerco di rispondere alle frequently asked questions, meglio conosciute con la sigla FAQ. Sono le domande ricorrenti, le prime curiosità che un utente vuol soddisfare prima di fare il grande passo di acquistare un dispositivo Kindle, attualmente in vendita a 99 euro solo su Amazon.it, a partire dalle osservazioni dei criticoni a prescindere (gran brutta categoria di cui io stesso facevo parte, e quindi mi riesce facile leggergli il pensiero).
– Cominciamo da quella fondamentale: “Io proprio non ci riesco a leggere testi lunghi su un monitor. Dopo un po’ mi bruciano gli occhi e mi fa male la testa”. Allora, il Kindle è nato per leggere e basta. Non telefona, non invia sms, non fa il caffè né stampa alcunché. Non si può utilizzare neppure per stabilizzare un tavolino traballante, cosa in cui riesce benissimo un bel tomo di pagine di carta. Sulla base di questa osservazione, se qualcuno ha realizzato un dispositivo che fa solo e soltanto una cosa, cerchiamo di concedere almeno il beneficio del dubbio alla possibilità che faccia la tal cosa benissimo. È normale associare il concetto di lettura su schermo, all’esperienza che quotidianamente facciamo col nostro PC, che utilizziamo per svariate ore consecutive. Questo ci induce a pensare che leggere su Kindle stanchi, perché anch’esso con un monitor. Invece proprio per niente, perché Kindle utilizza una tecnologia che si chiama E Ink, detta anche carta elettronica. È una tecnologia di display progettata per imitare l’aspetto dell’inchiostro su un foglio. A differenza di un normale schermo, che usa una luce posteriore al display per illuminare i pixel, l’e-paper riflette la luce ambientale come un foglio di carta. Con Kindle potete leggere ovunque, anche al sole, senza riflessi sullo schermo.
– “Sì, ma il profumo della carta, la sensazione di sfogliare le pagine. Io sono un tipo romantico!” Che vi devo dire, pure io lo sono. Eppure non mi dispiace per niente rinunciare a quintali di carta, come credo non dispiacerà alle nostre foreste, né a dover fare 6 mesi di pesi in palestra (come i pollici del monitor) per poter sostenere l’edizione cartacea del Signore Degli Anelli, che devi pure stare attento a dove l’appoggi, se no sfondi qualche tavolinetto. È uno dei tanti bei libri grandi che mi piacciono e che, quando vado in vacanza, mi occupano un terzo della valigia e, all’aeroporto, fanno la loro parte nella conta del peso del bagaglio. Il Kindle pesa 170 grammi, più leggero di un tascabile. È spesso come una matitina, sta facilmente nella tasca sul didietro dei jeans e contiene fino a 1400 libri (2 GB di memoria totale).
– “Sì, ma come ce li metto i libri dentro? Io e la tecnologia siamo proprio agli antipodi!” Nemmeno io sono uno scienziato, eppure non ho avuto alcuna difficoltà ad acquistare 18 titoli nei primi 15 giorni di utilizzo del Kindle, spendendo tanto quanto una prima edizione qualunque, presa in libreria. Potremmo dire 18 libri al prezzo di 1. Il meccanismo è molto semplice, praticamente fa tutto lui. È dotato di Wi-Fi integrato; quando siete nel raggio d’azione di una rete, potete collegarvi al negozio virtuale e comprare i libri che volete. Potete acquistare anche dal sito Amazon.it e, in meno di 60 secondi, vi ritroverete i libri sulla home del vostro dispositivo, proprio grazie alla connessione. Non avete bisogno di cavetti, fare trasferimenti. Il libro passa dallo store, direttamente sul vostro Kindle.
– “Poi mi trovo in strada e mi si spegne nel bel mezzo della lettura. Tanto si sa che le batterie di questi cosi durano pochissimo.” Questo è secondo me un altro punto che fa di Kindle un oggetto perfetto nel suo genere. La durata della batteria oscilla fra i 20 giorni e il mese intero. Sì, potete leggere per un mese con una sola carica. Questo è dovuto alla tecnologia a bassissimo consumo energetico. Una carica completa richiede approssimativamente 3 ore con il cavo USB connesso al computer.
Altre caratteristiche sfiziose:
– Non si surriscalda mai.
– Ha un pulsante che permette una semplice navigazione sullo schermo per selezionare parole, sottolineare frasi, o cercare definizioni sul dizionario. Quindi niente più impronte digitali sullo schermo, dovute all’uso di un touchscreen abusato e che al Kindle non serve.
– Ha 8 grandezze regolabili dei caratteri. Si può aumentare la grandezza del testo semplicemente premendo un pulsante.
– Ha un dizionario integrato con ricerca istantanea. Kindle vi permette di cercare immediatamente la definizione senza dover abbandonare il libro: basta selezionare la parola con il pulsante di navigazione e la definizione viene visualizzata automaticamente in fondo allo schermo. È comodissimo.
– Si possono aggiungere note, oppure sottolineare dei passaggi che Kindle memorizza in un file, all’interno del quale conservare gli estratti che vi hanno più emozionato dei libri che avete letto e amato.
Considerato che fra poco mi toccherà spezzettare questo post e distribuirlo in edicola a puntate, facciamo che basta così. Io non ho ancora trovato aspetti negativi nel Kindle, se ne avete qualcuno da raccontarmi, fatelo pure. Altrimenti compremus et adoremus Kindle!

[Madre Imodium]

Vomitare è la moda del momento e Madre non disdegna certo le nuove tendenze. Lei le mode non le segue, le lancia. Così, ha aperto le porte di Villa Madre a un virus intestinale persino peggiore di quello che si è abbattuto sulla mia persona nella Parigi grande grande grande. Ho trascorso 2 dei 4 giorni di villeggiatura in albergo, a seguire Ballando sul Ghiaccio sul satellite. Il terzo giorno, che credevo di star meglio, al contrario di Gesù Cristo non sono resuscitato secondo le scritture, ma l’ho passato ad ammirare le piastrelle decorate dei cessi del museo d’Orsay, mentre i miei compagni di viaggio ammiravano Monet, Manet, Renoir, Degas, Cèzanne, Millet, insomma le più belle collezioni d’arte del mondo. Anche fossero state le più belle piastrelle del mondo, converrete con me che non è proprio la stessa cosa. Se il virus d’allora si limitava a moderate espulsioni rapide di materiale gastrointestinale dalla bocca, alimentare o no che fosse – molto dipende dalle abitudini della vittima – questo attuale ha subito un’evoluzione e al vomito associa un disturbo della defecazione, caratterizzato da un aumento dell’emissione della quantità giornaliera di feci, con diminuzione della loro consistenza, altrimenti detta cacca lenta.
Ho visto Madre:
Non riuscire a sollevarsi dalla madre-poltrona per poter assumere una compressa di Imodium e un flaconcino di Enterogermina, neanche con me che tentavo di issarla con notevole sforzo e nessun apprezzabile risultato. Il gesto mi ha ricordato un giorno di un’estate lontanissima, su una barca in mare aperto con cugini, padre, Madre e zii. Tutti si sono buttati a farsi una nuotata al largo, nei paraggi della barchetta. Io ero ancora troppo piccolo per vedermi riconoscere il permesso di fare lo stesso. Tutti sono risaliti agevolmente, tranne Madre che proprio non ce la faceva: si spingeva con le braccia e ricadeva in mare senza forze. Allora mio padre, dal bordo della prua o della poppa, mo’ non so bene, l’ha afferrata per i polsi e ha puntato i piedi; i cugini grandi e lo zio, aggrappati ai fianchi di mio padre, hanno cominciato a tirare con tanto di ooohhh issa! in coro. Madre si lamentava per il dolore che le provocava lo strusciare della pancia sulla superficie della barca, finché si sono dovuti arrendere tutti all’umiliante conclusione di trainarla a riva come si fa coi cetacei feriti.
Passare una notte intera seduta sul divano del salotto a luce spenta, perché allungata a letto le facevano male le ossa, senza lamentarsi né chiamarmi mai. Quando sono andato da lei, alle 2 di notte, sperando di convincerla ad andare a dormire, mi ha risposto: “Domani mi sarà passato tutto, tu vai a dormire”.
Quando il virus ha traslocato nel corpo di mio padre, le scene si sono fatte ben più spettacolari, da effetti speciali cinematografici, direi.
Ho visto mio padre:
Fare scatti da centometrista. Partire dalla taverna, salire a una velocità record a 4 a 4 le scale, arricchendo la scena con tonfi e urla di sofferenza, che non ho udito neppure quando gli hanno tolto la vena safena dalla gamba, con un’anestesia blanda che si è rivelata ahilui insufficiente.
Sfondare quasi la porta del bagno e rimettere l’impossibile imprecando al cielo, chiedendo aiuto pure alla Madonna e a Dio, prima di tornare barcollando giù in taverna e seppellirsi sotto quintali di vecchie coperte, per poi, qualche minuto dopo, ripartire verso il bagno fra strepiti e ululati tarzaneschi che risuonavano per tutte le stanze di Villa Madre e, temo, anche nel vicinato, francamente un pochino esagerati per ciò che gli stava accadendo. E che sarà mai un po’ di vomito!
Telefonarmi dalla taverna 8 volte in un’ora per chiedermi aiuto. Scendevo, lo trovavo sepolto come sopra descritto, gli domandavo cosa potessi fare e lui rispondeva con frasi del tipo: “Lasciatemi pure morire qua”, “Siete degli insensibili!”, “Aiutatemi, aiutatemi… aiutatemi!”, “Oh Dio mio, perché mi stai facendo questo!”. Al che io mandavo gli occhi al cielo rassegnato, quasi a chiedere perdono per lui, chiudevo la porta e tornavo a ridere di lui in cucinetta, in compagnia di una Madre perfettamente ristabilita sulla sua madre-poltrona rossa.
Stamane mio padre si sveglia presto come al solito, si veste, si improfuma e va al lavoro. Madre, al pomeriggio, lo aspetta con la paletta di legno per il sugo in una mano, che il mio culo ben si ricorda, quando mi beccava che non ero andato a scuola, e il coltellaccio per il pane nell’altra.
Al suo ritorno lo accoglie così: “Siamo guariti di botto, eh?!” Mio padre, a quel punto, torna nel personaggio, imposta la voce in modalità moribondo now e sussurra: “Mi reggo in piedi con le mani e coi piedi. Lasciatemi stare!”, si toglie la giacca e avanza a passi trascinati verso il divano. Madre non resiste ed esplode: “Io sono stata male 2 giorni. Ho dormito una notte seduta sul divano, immobile come una statua. Ho vomitato per ore. Mi hai forse sentito? Te ne sei accorto?” poi si gira a guardarmi: “Ho forse fatto come questo attore consumato?” e indica mio padre. “Hai forse sentito dalla mia bocca quei ridicoli versi da orso trafitto da una lancia, che ha emesso tuo padre per tutto il giorno?” poi di nuovo a lui: “Tu dovresti recarti immediatamente a Milano, salire sul palcoscenico del teatro alla Scala, e interpretare la parte del protagonista nello spettacolo dell’uccello straziato. Com’è che si chiamava… ah sì! La morte della cicogna!”
E io, quante speranze ho di uscirne sano e salvo?

Perché Sanremo è Sanremo e i big… ‘ndo stanno?!

Gianni Morandi, nel corso di Domenica In, renderà nota la lista ufficiale dei big in gara al Festival di Sanremo. Io, che con Gianni ci faccio colazione tutte le mattine, gli ho strappato un nome dietro l’altro, fra un caffelatte, una barretta al cioccolato ipocalorica e una corsetta all’alba fra i viottoli del quartiere. Lo so che non si fa, ma lo faccio lo stesso. Ecco chi saranno i big in gara, con un giorno d’anticipo e qualche stupidissimo commento dei miei.
Arisa secondo me sta a Sanremo come il clown Ronald sta a McDonald’s. Ce la ritroviamo sempre lì, coi suoi travestimenti e quegli occhialoni da cretina che fanno tanto tenerezza. Ormai ci siamo affezionati, è la mascotte portafortuna del Festival, ma non vi nego che mi fa un po’ paura, come Ronald d’altra parte. Il clown mi ricorda IT di Stephen King, che acchiappava i bambini e se li portava nelle fogne della città. Arisa mi fa pensare a un mostro venuto da un quadro del Picasso nella fase cubista. È proprio necessaria?
Samuele Bersani, dato per disperso dopo la meravigliosa Replay del Sanremo 2000, ci riprova. In questi 12 anni, qualche collaborazione, un paio di dischi di inediti che son certo non consiglierebbe neppure al suo peggior nemico e Lo scrutatore non votante. Esci da questo corpo!
Chiara Civello non pervenuta. “Siamo sicuri che sia la lista dei big?” Gianni Emme, col bombolone in bocca e le mani su una fetta di torta ai mirtilli, mi fa cenno di sì con la capoccia. Sul sito ufficiale di ‘sta guagliona ho letto un po’ di cose che ha fatto, sperando di riuscire ad aprire un cassettino della memoria che contenesse un’informazione che la riguardi, chiusa in un giorno remoto del mio passato. Ma niente. Per me Chiara Civello, fino a 5 minuti fa, non esisteva. Viaggio nell’ignoto.
– Il viaggio nell’ignoto prosegue a tutti gli effetti con Toto Cutugno che dovrebbe essere vivo, visto che parteciperà. Io ero certo del contrario. A meno che la sua esibizione non sia in collegamento audio dall’Aldilà con l’aiuto di Bossari dallo studio di Mistero che ha tutti i mezzi per farci apprezzare il ri-ritorno della presenza Toto. Pregate per lui affinché la salute gli resti accanto almeno fino all’inizio del Festival, e lasciatelo cantare ché è un italiano vero. Coi tempi che corrono, uno che ne va fiero, teniamocelo stretto. Monumento (ai caduti…no, caduto).
Dolcenera è stata spesso protagonista di queste pagine. L’ultima volta ho tentato di dare un senso al testo del suo recente singolo Il sole di domenica che, come direbbe Rinco_Vasco, un senso non ce l’ha. Centinaia di persone al mese finiscono ahimè su quel post, cercando in rete una risposta. Qualcuno che spieghi loro che cosa voleva dire Dolcenera quando si è messa a delirare di territori rei confessi ed espressioni letterarie che infieriscono sull’idea che ha di sé. Voci di corridoio (sempre il buon Gianni Emme) dicono che abbia composto il testo del singolo sanremese con Parolando e che si sia trovata molto bene. Compra una vocale!
Gigi D’Alessio si esibisce con Anna Ta… no! Loredana Berté che, nell’occasione, tenterà il ricongiungimento con la sua voce dispersa da decenni. Federica Sciarelli ha promesso di aiutarla. Ha già disposto la messa in onda della fotoscheda della voce di Loredana Bertè all’interno delle prossime 18 puntate di Chi l’ha visto? pertanto, chiunque l’abbia vista o sentita, che è più probabile, può chiamare in trasmissione e salverà Loredana dall’ennesima figuraccia, sperando che stavolta la sua canzone sia almeno inedita. Quanto mi piaceva (clicca qui)! Io gli avrei almeno consegnato il premio come miglior plagio di tutti i tempi. Quando finisce un amore.
Lucio Dalla e Pier Davide Carone… E pure Lucio ha cambiato partner! Va be’, scusate. Io ai duetti maschili proprio non ci arrivo. Capisco uomo + donna che fa tanto amore, passione e vivo per lei. Capisco donna + donna che fa tanto amici come prima. Ma uomo + uomo no. Mi vengono in mente Pupo ed Emanuele Filiberto, Morandi e quegli altri 2 che volevano dare di più. Madonìa e Battiato l’anno scorso che salvami. Deleted! Non soltanto perché Pier Davide Carone in un solo anno ha inciso un CD che ha venduto più di 100mila copie e ha scritto l’unico libro di Amici non-scritto da Zanforlin, in classifica per mesi. Non conta che non dovrei invidiarlo come non dovrei invidiare niente che provenga da Amici. La verità è che lui la settimana prossima va a Sanremo con Lucio Dalla e io vado a fare le analisi del sangue con Madre.
– L’ultima volta che ho sentito Eugenio Finardi supplicava: “Extraterrestre, portami via, extraterrestre vienimi a cercare…” e mi sa che l’extraterrestre non solo l’ha cercato, ma l’ha pure trovato e portato via su un altro pianeta. E fin qua, poco male. La domanda che sorge spontanea è: come ha fatto a tornare? Che si sia rotto i balloons pure l’extraterrestre? Cambio canale.
– C’è stato un periodo in cui Irene Fornaciari, che dal cognome intuite essere la figlia del buon vecchio ubriacone Sugar, destava in me un tale senso di repulsione che creai un gruppo su Facebook dal titolo evocativo: Irene Fornaciari puzza. Dovrebbe esistere ancora, perché su Facebook tutto si crea e nulla si distrugge, sapevatelo prima di lasciarvi prendere dalla creatività! Ho tentato di farlo dopo aver ricevuto un paio di messaggi minatori da un suo fan accanito, l’ultimo si concludeva con: “Se non capisci Irene, non potrai mai capire niente. Stupido!” e il suo (di Irene Fornaciari in persona) messaggio privato a metà fra nonmenefreganienteperchéiosonosuperiore,anziciridopuresopra e senoncancelliquestogruppotifaccioscriveredall’avvocatodipapàevediamocomevaafinire, ma niente. Il gruppo è incancellabile. Per farmi perdonare tiferò per lei. Predico bene e razzolo male.
I Marlene Kuntz li associo a un concerto a piazza Duomo, a L’Aquila. Mi riferisco a un tempo in cui L’Aquila era ancora L’Aquila e Piazza Duomo aveva il Duomo tutto intero. Nonostante questo non è un buon ricordo. Come di un sibilo, un verso soffocato, un sussurro nel vento, tipo un ultimo respiro esalato da un moribondo. Paura!
Emma Marrone porterà a Sanremo una canzone scritta per lei dal cantante dei Modà, col quale ha duettato l’anno scorso. Vorrei mettere una pulce nell’orecchio della graziosa compagna di Francesco Silvestre. Quei 2 non ce la raccontano giusta. Saranno contente Colomba Pane e quell’altra delle Lucky Star, ve le ricordate? C’entra ancora il buon Bossari che nel 2003 si fece venire quest’idea grandiosa di formare una girl-band attraverso selezioni televisive e furono scelte quelle 2 ed Emma che incisero il singolo Stile (clicca qua per vedere il video) la riconoscete? Io non sempre, continuo a confonderla con Alessandra Amoroso che confondo con una bambina di Io Canto.
– Posso saltare Noemi che mi fa più paura di Arisa e IT con la voce defunta della Bertè e il corpo ectoplasmatico di Cutugno? Ogni volta che la guardo vedo in lei il volto di Chucky, il bambolotto assassino e faccio incubi terrificanti (stavolta pensateci bene prima di cliccare). Cambio canale 2.
Francesco Renga è un altro di quelli che se non la smette di partecipare farà la fine di Toto, ma con una superiore arguzia: lui con una canzone c’ha inciso 25 CD. Chissà se troverà il tempo di sposare Ambra che intanto lo tradisce con Bellocchio, che la bacia con in sottofondo Angelo di Francesco Renga. Loop.
Nina Zilli, ecco il tasto dolente. Nina Zilli sì. Nina Zilli, speriamo che. Nina Zilli è pericolosissima. Parlo per me e di me. L’ultima volta, me la sono vista brutta con quella canzone (clicca qua per ascoltarla) che, se la risento, mi fa ancora salire la rabbia. Però sì, lei è brava, non è Giusy Ferreri e, secondo me, nemmeno puzza.

L’Aquila by night: coprifuoco e ronde

Ho perso il piacere di fare serata a L’Aquila; ieri mi sono ricordato il perché. Quando torna un amico da fuori (lontano), è una gioia intima che festeggio con un brindisi alla prossima, a questa, all’anno tutto intero che guardo con attesa. A quello che potrebbe cambiare, ma chissà come mai, non. Alla vicinanza, all’abbraccio. All’amicizia insomma, e quindi usciamo. È giovedì, ci sono gli universitari. Non per niente lo chiamano il giovedì universitario. E dove vanno?
Prima c’erano le baracche sul Viale Della Croce Rossa. Il nome lasciava presagire il destino di quei chilometri d’asfalto: i punti di ritrovo per sfasciarsi di vino, super-alcolici e drogarsi; adesso giacciono semi-disabitate e silenti. Se dipendesse da me le smantellerei una dietro l’altro. Non mi è mai parso bello travestire una larga strada di passaggio da bidonville.
A quasi 3 anni dalla scossa, il centro è tornato in parte percorribile. Da solo, mi verrebbe da dire. Sì, una specie di magia. Qualcuno ha raccolto la sfida di aprire un disco-pub proprio in mezzo a un cimitero e i fatti gli danno ragione. Un fiume di ragazzi e ragazze migra verso il Corso e si dirama in quelle 3 viuzze, infilandosi nei locali. Ben vengano sempre i volti giovani e gli occhi vispi, in questa non-città alla quale resta la loro speranza e poco più. È un fenomeno di rara intensità. I corpi si avvicinano e si fondono fino a diventare un impetuoso magma umano che travolge tutto quello che incontra, compresi noi che vorremmo proseguire in un’altra direzione e invece ci ritroviamo dentro lo Zenzero, a far parte a tutti gli effetti di un tappo di carne che chiude il locale ermeticamente. Se è vero che è difficile trovare posto, con questo freddo poi, che tutti si riversano all’interno, è altrettanto vero che, se lo trovi, sappi che è per sempre, come un De Beers. Da lì riuscirai soltanto a fine serata, è una promessa. Non ci sarà molto da aspettare. Le serate di questi tempi durano meno, e non per l’ora legale/solare, ma perché il signor Sindaco Cialente ha emesso un’ordinanza che obbliga i gestori a chiudere bottega al massimo all’1na di notte il giovedì e il sabato e, udite udite, a mezzanotte in punto i giorni feriali. Bisogna far presto se no la carrozza ritorna zucca. Quindi diventa un episodio normale che all’1na meno 5, con ancora in mano il bicchiere di plastica da 0.2 con 19 blocchi di ghiaccio e il resto lemonsoda (e il Gin? Boh!), mi si avvicini un energumeno: “Ci accomodiamo fuori? Grazie!” e mi dia una spinta verso la porta. Il motivo è di ordine pubblico. Come quando a scuola un bambino spacca una mazza di legno in testa a un altro e la maestra mette in punizione tutta la classe con mezza Divina Commedia da imparare a memoria. Non si fa, e per L’Aquila è doppiamente deleterio perché va a colpire il tessuto sociale ed economico, rianimato dallo stato di morte in cui versava proprio dagli studenti, che sono tornati, che l’hanno scelta nonostante tutto (e quanto tutto ci sarebbe da raccontare), che in fondo ‘sta città la amano e a L’Aquila ci pensano.
Chi ci pensa a loro? Che:
– Si sono adeguati a strutture universitarie fatiscenti, arrangiate, ordinamenti didattici che se li racconti paiono barzellette, che però fanno piangere.
– Non hanno un teatro vero, un cinema soltanto, tenuto malissimo – mi permetto di dire – ché accomodarsi sui rimasugli appiccicosi di pop corn e caramelle non è piacevole, come non lo è dover scegliere fra 5 film, i soliti 5. Anzi 4 ché Natale a Cortina di De Sica necessitava giustamente di 2 sale, semivuote, ma comunque 2.
– Cercano alternative in una città che non c’è. E non valgono le mezze misure, né è facile immaginare quanto può non esistere una città.
Io  esco poco, non fa niente. Mi rintano in casa. Leggo, scrivo, sogno, una cenetta di tanto in tanto. Ma loro di anni ce ne hanno 20 e 25. Bisogna accudirli, sostenerli, creare diversivi, passatempi, iniziative, farsi guidare dalle loro necessità, cavalcare le loro idee, che sono potenti come uragani.
Cacciati in malo modo ci rimettiamo in macchina. Lo riaccompagno a casa. Noto una volante della Polizia dietro, che svolta sempre dove svoltiamo noi e arriva fin dentro il piazzale. Il piazzale di casa sua, proprietà privata. La mia automobile e quella della Polizia che ci ha seguito, seguito come criminali. Accosta alla mia automobile spenta.
“Buonasera, abita qui?”
Il mio amico risponde: “Sì”, io avrei risposto: “No, stiamo perfezionando il piano per una rapina seriale a tutti i condomini del quartiere”.
“Un documento ce l’ha?”
Il mio amico gli passa la Carta d’Identità dal finestrino. Lui la guarda e gliela restituisce. Aspetta qualche istante poi torna in macchina. Ci saluta, ma non se ne va subito. Parlotta col suo collega a fianco. Ci saranno rimasti male, magari si aspettavano che li invitassimo a prendere un tè in salotto.