Una forma di vita – Amélie Nothomb

Ho letto e recensito ‘Una forma di vita’, ultimo romanzo della scrittrice belga Amélie Nothomb. Quaggiù e su Solo Libri.

Per sua scelta, Amélie Nothomb pubblica un romanzo ogni anno. Alla scrittura dedica quattro ore al giorno, preferibilmente dalle quattro alle otto del mattino. ‘Una forma di vita’ è l’ultima sua fatica, uscita in Francia nel 2010 e in Italia a inizio 2011 per la casa editrice Voland a cui l’autrice sembrerebbe aver dichiarato eterna fedeltà.
È un po’ che nutro curiosità per questa scrittrice dai modi impenetrabili, l’ironia tagliente e una serie di abitudini che la fanno molto personaggio: veste sempre di nero, indossa ingombranti cappelli, scrive solamente a penna su quaderni che porta con sé, non partecipa quasi mai a trasmissioni televisive, rivela poco riuscendo così ad amplificare l’interesse dei media oltre che dei lettori che la bombardano di lettere. Bisogna riconoscere che la casa editrice ha stile, riconoscibilità e il merito di puntare su una letteratura sottile dalla difficile vendibilità. Stavo inizialmente giudicando come una pecca l’aver mantenuto la copertina dell’edizione belga in cui campeggia una foto dell’autrice dalle tinte un po’ thriller, ma la lettura del testo mi ha aiutato a capire che c’è un motivo: questo, più di ogni suo altro libro, è incentrato su di lei. La protagonista di ‘Una forma di vita’ è l’Amélie Nothomb scrittrice ed è una scelta coraggiosa quella di inserirsi in una storia senza maschere.
Nessuna delle tante lettere ricevute ogni giorno cambia la vita alla scrittrice, finché non arriva una missiva da Baghdad. A scriverle è un soldato americano di nome Melvin Mapple, oppresso dalla vita militare e intrappolato in se stesso e nella sua protesta: per combattere il sistema lui s’abbuffa. Nelle sue lettere le racconta le vittorie quotidiane culminate col raggiungimento dei 130 chili, la divisa su misura ogni settimana, le sedie e i letti rinforzati, per non parlare delle spese che lo stato americano sostiene per il nutrimento quotidiano suo e di quello degli altri soldati compagni di Melvin, al quale nessuna legge può porre limiti. Ingrassare è una sfida, oltre che l’unico modo per dimostrare di esistere: lui chiede cibo e loro devono darglielo. Il corpo sformato di Melvin, che prima di conoscere Amélie era solamente una pesante e asfissiante gabbia, si fa opera d’arte, il cui valore è ancor più compreso grazie alla corrispondenza con la scrittrice. All’improvviso Melvin smette di rispondere e Amélie, turbata dalla sua scomparsa nel nulla, decide di cercarlo nella vita reale.
La scelta del romanzo epistolare mi pare azzeccata. Amélie Nothomb trova il tono e le parole giuste perché il lettore possa entrare nell’universo di Melvin Mapple e nel suo. Ne emerge, tuttavia, una scrittrice che se la tira parecchio inserendo qua e là riferimenti alla sua antipatica quotidianità da diva. Ho pensato in più punti che stesse affogando nel suo brodo, ma è pur vero che, essendo la protagonista, se lei è proprio così, ci sta. A non convincermi è il finale, pur non riuscendo comunque a immaginare in quale altro modo avrebbe potuto concludere il libro.
“Io resto incinta dei miei libri. Si tratta di un caso di immacolata concezione” ha dichiarato nel corso di una sua presentazione.
Amélie Nothomb è consapevole del fascino che per natura ha e trasmette. Non disprezza il successo che raccoglie nei 42 paesi in cui vengono pubblicati i suoi libri e continua a mettere al mondo un figlio all’anno da 18 anni. Nonostante questo, appare in grandissima forma.