Terremoto, G8… Io speriamo che me ne vado!

Qualcuno dice che il Cavaliere abbia fatto divulgare dati sull’intensità del terremoto inferiori a quelli reali così da evitarsi il 100 per 100 del risarcimento sulle case crollate o inagibili. Finché la notizia rimane diceria da campeggio nessun problema – se ne dicono tante. Ho sentito pure che alla Finanza avrebbero pronte 1000 bare in attesa di essere riempite dai corpi delle vittime della prossima scossa attesa da un giorno all’altro – però quando poi la sento in TV uscire dalla bocca di esponenti dell’opposizione a meri scopi elettorali, mi pare il caso di approfondire. Ebbene ho approfondito. Non che ci sia voluto chissà quale studio e ricerca di informazioni, basta digitare qualche parola su Google. La scossa del 6 aprile è stata di 5.8 della scala Richter e 6.2 della scala Richter magnitudo momento. Sono 2 valutazioni leggermente diverse, entrambe giuste. La tradizionale scala Richter misura le onde più prossime all’epicentro, la scala di magnitudo del momento sismico (Mms) calcola l’energia alla sorgente, fornendo una stima migliore dell’energia irradiata. È per questo che i sismografi di tutto il mondo si affidano alla Mms, un po’ come facciamo noi per mandare foto o filmati col telefonino, per chi ha un cellulare abilitato (io no). Quindi evitiamo di straparlare. Non è vero che in Italia insabbiano i dati (non è stato questo il caso, almeno) e che Ingv mente, come ho pensato da gran fesso anch’io.
Come dice Niccolò, basta informarsi. Aggiungo che dovrebbero essere i mass media a farlo, comunque. Resto sempre a difesa della matrona della fattoria che si preoccupa a morte dei suoi capelli e di non far bruciare l’omelette e chissà se le galline hanno covato, che è convinta che il computer sia una specie di televisione moderna e non capisce come si faccia a cambiare canale e mettere sul 5 che iniziano i casting di Amici, con quel telecomando con 2 pulsanti a forma di topolino, poi. Cosa deve pensare quella donna se le raccontano che il terremoto era di 6.2 e non di 5.8 come hanno reso noto al solo scopo di non ripagarle la casa semicrollata? Bisognerebbe organizzare dei corsi accelerati di Scienze della Ricerca Googleiana cosicché tutti possano farsi la loro informazione personalizzata, perché io ai TG credo sempre meno.
Ieri Berlusconi, nel corso della conferenza stampa che ha tenuto a L’Aquila, ha esortato tutti i genitori all’ascolto a non iscrivere i loro pargoli alle scuole della costa perché a settembre riapriranno tutte le scuole aquilane. Quelle che necessitano di pochi lavori di ristrutturazione e quelle che invece andranno ricostruite da capo all’interno delle new town che circonderanno il nucleo aquilano esploso e che, come dice il Premier, saranno abbellite da abbondante verde. Hanno riaperto ieri i primi 2 reparti dell’ospedale: Diagnostica e Radioterapia, segnale questo, secondo il vice ministro alla Salute Ferruccio Fazio, della ripresa della sanità in Abruzzo. A me pare il minimo, dopo 2 mesi, che riaprano 2 stanze d’ospedale, però ci fidiamo. Intanto il 20 giugno sarà completamente operativo l’ospedale da campo approntato per il G8 alla Maddalena e in fase di trasferimento qua da noi. Non ho ancora capito se quella di piazzare il G8 a L’Aquila sia stata una decisione geniale (piomberanno dal cielo 90 milioni di euro, non nelle mie tasche, detto per quelli che hanno nutrito dubbi in merito alla destinazione del money) oppure la più incredibile stronzata che potessero fare, per la serie: Ci mancava solo questo! Vi saprò dire quando sarà finito, se sarò ancora vivo, insomma. Sì perché hanno definito le aree a rischio, una specie di mappa colorata e, indovinate un po’, casa mia sta al centro della zona rossa. Abito a 40 metri da quella che fino a 3 mesi fa era una pista di cemento con le ortiche ai bordi e i cani che ci andavano a cacare, da cui decollavano 3 elicotteri gialli al mese di quelli che sorvolano mari, monti, laghi e città per le emergenze, e nel giro di un mesetto si trasformerà in un aeroporto internazionale su cui atterreranno i jet di Berlusconi, Obama e compagnia bella, sempre a 40 metri da casa mia. Che gran culo eh? Devo ancora capire quali saranno le conseguenze di questa così fortunosa designazione. Pare che non si possa uscire di casa se non scortati, a qualunque ora del giorno e della notte; intanto ci stanno fotografando uno a uno, i residenti, che saranno dotati di un pass per attraversare la zona rossa senza ritrovarsi trivellati dai colpi di qualche tiratore scelto a difesa delle celebrità, e scusate se quella è casa mia.
Insomma, io speriamo che me ne vado (che potrebbe essere l’attesissimo seguito di Io speriamo che me la cavo).

Terremoto, tesoro, dov’eri? [intervista a Pulsatilla]

Stanotte noi aquilani ci siamo ballati la nostra house-tecno music, che tanto ci piace, dalle 3 meno un quarto alle 5 e mezza, sulle note di una sequenza di 7 scosse che hanno toccato l’apice alle 5 meno 5 con quella d’intensità 3.5 della scala Richter, che mi ha svegliato. Ho sbarrato gli occhi convinto che qualcuno fosse salito a bordo del camper e avesse messo in moto. Poi ho capito che non si trattava di un rapimento, anche perché che ci fanno con me, ma del nostro caro amico terremoto che non si faceva sentire da qualche giorno e mancava un po’ a tutti noi.
Mentre qua si parla di tornare in casa per chi ha le case agibili io invece consiglierei a tutti di ancorarsi alle tende e ai camper e alle costruzioni provvisorie che vi ospitano e non mollarle neanche col fucile puntato. Spero che tornino indietro sulla decisione di obbligare chi ha il certificato di agibilità a lasciare le tendopoli perché il fenomeno è tutt’altro che spento.
Intanto è sabato, quindi tempo di 4 chiacchiere (contate). Oggi abbiamo una grandissima ospite. Ci è venuta a trovare la blogger per eccellenza, colei da cui è partito il fenomeno blogger/scrittore. Più di 100mila copie per il suo primo libro La ballata delle prugne secche uscito per Castelvecchi editore che ha scovato il suo Diario verde & acido già celebre nel WWW e ha deciso di lanciarla, a cui hanno fatto seguito Giulietta Squeenz e Quest’anno ti ha detto male. Lettere a Babbo Natale cestinate da lui medesimo e casualmente ritrovate, entrambi pubblicati da Bompiani. Un grande ringraziamento a lei da parte mia. Vado a farmi un giretto che ho bisogno di un po’ d’aria (altre 2 scosse stamattina più spostate verso il Gran Sasso, però). Vi lascio con l’intervista a Valeria Di Napoli conosciuta al grande pubblico come Pulsatilla.

Confessioni di un omicida terremotato

Avete sentito di quell’uomo per niente simpatico che ieri mattina, a Corropoli, all’interno della sede universitaria provvisoria di Informatica dell’Aquila, senza bene sapere come (ma forse molto bene perché), si è ritrovato una penna Biro punta fine nella giugulare ed è morto dissanguato dopo 90 minuti di agonia, mentre il suo studente modello, che si era sbobinato 90 km solo per parlare con lui – tanto che c’erano, da L’Aquila, potevano trasferirla ad Aosta la facoltà –  lo osservava in piedi con un ghigno a illuminargli il viso, senza muover ciglio? No? Bene, vuol dire che la notizia ancora non arriva agli organi di stampa, cosa possibilissima considerata la giornaliera affluenza di studenti e professori in quella mirabolante sede provvisoria dove, all’ingresso, in equilibrio sul terriccio, ti accoglie il cartello Informatica scritto con l’uniposca nero, in attesa che Berlusconi ricostruisca L’Aquila e quindi l’università e che, magari, vi torni un numero di studenti strettamente maggiore di 1, nel suddetto caso il (più che giustificato) omicida.
Quell’uomo mi ha fatto girare le palle per una serie di risposte che non vi elenco perché se no i giramenti aumentano vertiginosamente, questione di salute, insomma. Il succo dei 3 minuti scarsi di discussione, continuamente interrotti dal suo cellulare che suonava e suonava, col mio in tasca che non ricordo neanche che suoneria abbia, può essere riassunto con un: “Deve fare l’esame alla data di appello, che sarà il 14 o il 16 o il 20 o comunque un giorno vicino a questi, compatibilmente con i miei impegni”. Dev’essersi molto sorpreso quando io gli ho risposto: “Ma lei mi aveva detto di completare l’articolo e che avremmo incentrato l’esame su quello. Io sono venuto oggi, come mi aveva scritto per e-mail, sperando di concluderlo”.  “È vero che i terremotati siete voi, ma io mi faccio 1000 chilometri a settimana per venire qua. Mi sta chiedendo di inventare un appello apposta per lei, oggi?”
Afferro la biro sul tavolo e la stringo forte nella mano destra, al punto che la circolazione rallenta e la pelle impallidisce mentre lui continua: “Mi dica lei qual è una soluzione!” “Una soluzione potrebbe essere accomodarsi qualche minuto a uno dei tanti tavolini vuoti, in questa sede provvisoria vuota, e discutere di quell’articolo, intanto.” Certamente ho usato un tono sbagliato, ma dopo un’ora e mezza di macchina, il veder sfumare tutti i progetti a breve termine il tono te lo cambia per forza. “Ho un seminario stamattina e una riunione nel pomeriggio.” (Ma perché (cazzo) mi hai fatto venire!) La Biro è al limite, solo un altro po’ di forza ed esploderà schizzando inchiostro dappertutto. “Segua le date degli appelli su internet e mi rinvii l’articolo per e-mail.” Fa una pausa e poi mi dà la stilettata finale: “E lei crede di fare la tesi da Firenze?” Sorride e si allontana. Lo guardo muto e penso che ora o mai più. Lo raggiungo e gli conficco la penna punta fine nella giugulare. Lui cade a terra, io lo fisso e gli sussurro: “Sì, lo credo”. Esco dalla sede e riparto per L’Aquila.
Durante il viaggio di ritorno penso a tutto tranne che alla strada. Penso a quante vergognose merdate facciano quotidianamente nelle facoltà universitarie e a quanto quest’uomo mi stia complicando l’esistenza. Penso che non potrò ripartire per Firenze, almeno fino all’appello. Penso a quanto stia male qua. Penso che non potrò sostenere dei colloqui importanti, uno fra tutti. Penso che potrei tornare, fare il colloquio e ripartire, poi penso che se dovessero prendermi a lavorare, 3 giorni per l’esame non me li avrebbero dati. Penso che non ce la faccio più a pensare. Che ho bisogno di stare tranquillo. Mi sta andando a fuoco il cervello. Ogni volta che una strada pare decisa, e me ne convinco, accade qualcosa a stravolgere i programmi e costringermi a nuove decisioni. Ho bisogno di restare fermo, muto, nel silenzio. Con le sole voci dei libri a farmi compagnia, per un po’, immobile.

Inventare una quotidianità

Splinder si scusa per i ritardi a cui sarà soggetto il portale per tutta la settimana (cos’è, un treno?). Vi immaginate il blogger del primo piano che si affaccia alla finestra e urla all’amico blogger del secondo: “Aho! E’ arrivato Splinder?” “No guagliò, sta ancora in ritardo!” 
Questo per dirvi che non è l’egocentrismo che mi ha portato a pubblicare due volte lo stesso post coi link alle recensioni, ma Splinder che prende iniziative ritardate, appunto. E se provo a cancellarne uno, indovinate un po’, si cancellano entrambi. Se un tempo ero pronto a perdere un intero pomeriggio a smarmellarmi i maroni nel tentativo di sistemare la questione, oggi (inteso come periodo, non come giorno) non me ne fotte un ceppo e allora, nell’attesa che arrivino tempi migliori, teniamoci tutte le conseguenze dei ritardi splinderiani e andiamo avanti.
Vivere a L’Aquila è come vivere in un cantiere; è esattamente la stessa cosa, anzi è proprio quello. Le strade sono per una buona metà sbarrate per evitare che ci si possa avvicinare troppo ai centri pericolosi. Camion, autorimorchi, mezzi pesanti che procedono a passo d’uomo trainando terra e assi di legno. La temperatura supera i 30 gradi che in macchina si moltiplicano. Procedere così lentamente, col calore che si appiccica ai vestiti, con l’aria che manca e quella che entra dal finestrino che trasporta la polvere alla gola, col brillio invadente e costante del sole riflesso sul vetro che scalda pure gli occhi. Coi camion davanti che ti vien voglia di scendere dalla macchina e dargli una spinta, arrivano istanti di follia provocati da un’esasperazione accumulata in mesi di vita costretta in una vita che non è più tua. Qualcuno scende dalla macchina e sbraita contro uno a caso, o contro il camionista, come se avesse una qualche colpa del disagio o del terremoto. Qualcun altro, prima tenta un improbabile sorpasso bloccato dal clacson di chi arriva in direzione opposta sull’altra corsia, poi decide di invertire la rotta e tornare indietro, convinto forse che esista anche una sola strada che porti a destinazione con un tempo minore. Ho impiegato quasi un’ora ad arrivare da un capo all’altro della città.
Ho pranzato con mia madre e mio padre alla tendopoli vicino casa. Ho conosciuto un ragazzo della Protezione Civile di Manfredonia che sta al campo di Preturo dal 6 aprile ed è tornato a casa una sola volta per recuperare qualche panno. Abbiamo parlato un paio di minuti e poi mi ha offerto un bicchierino di amaro ghiacciato. Sono bravi ragazzi. Non riesco a sopportare chi dal caldo divano di casa sua è capace pure di criticare il loro lavoro. Si stanno sbagliando molte cose, come è normale che sia nel dover tamponare un’emergenza di queste proporzioni, ma ognuno sta dando il meglio di sé. Il terremoto ha tolto a tutti la propria quotidianità, loro hanno scelto di privarsene per provare ad inventarne una per noi.

Non farmi male qua e qua

QUA la recensione di Justin Devil.
QUA l’intervista rilasciata a Libri e scrittori ripresa poi dal portale Parlami di te.
E poi nella HOME PAGE del sito del mio editore, se ve la siete persa, trovate il video dell’intervista in radio di qualche tempo fa all’interno della rubrica Divagando.
Ieri sono stato a mangiare alla Croce Rossa. C’era un’atmosfera caciarona, quasi da stadio. Finché poi alcuni volontari che venivano dalla Sicilia si sono commossi perché, dopo più di due settimane, era tempo di tornare a casa. Erano dispiaciuti di dover lasciare i legami così intensi e sani che avevano stretto in quel poco tempo di condivisione totale, la gente che tutti i giorni vedevano e che affidava loro i propri bisogni quotidiani. Anche se non li conoscevo personalmente mi sono unito al forte applauso che tutto il capannone ha lanciato per ringraziarli del prezioso sostegno gratuito, dell’affetto e delle energie donate che non hanno prezzo.
Mia sorella è in casa, ma prima che tornerà mia madre lei magicamente sarà sparita. Da qualche giorno sta facendo di tutto per evitare l’incontro, accampando scuse su scuse a cui Madre comincia a non credere più, ma questa è un’altra storia che ha a che fare con lobi, sadiche dilatazioni e piccoli e tragici inconvenienti notturni che potevano capitare soltanto a lei e di cui vi racconterò quando avrò smesso di provare nausea e mi sarò fatto una ragione dell’ahimè comprovato grado di parentela, che fa del nostro sangue lo stesso sangue.
QUA la recensione di Justin Devil.
QUA l’intervista rilasciata a Libri e scrittori ripresa poi dal portale Parlami di te.
E poi nella HOME PAGE del sito del mio editore, se ve la siete persa, trovate il video dell’intervista in radio di qualche tempo fa all’interno della rubrica Divagando.
Ieri sono stato a mangiare alla Croce Rossa. C’era un’atmosfera caciarona, quasi da stadio. Finché poi alcuni volontari che venivano dalla Sicilia si sono commossi perché, dopo più di due settimane, era tempo di tornare a casa. Erano dispiaciuti di dover lasciare i legami così intensi e sani che avevano stretto in quel poco tempo di condivisione totale, la gente che tutti i giorni vedevano e che affidava loro i propri bisogni quotidiani. Anche se non li conoscevo personalmente mi sono unito al forte applauso che tutto il capannone ha lanciato per ringraziarli del prezioso sostegno gratuito, dell’affetto e delle energie donate che non hanno prezzo.
Mia sorella è in casa, ma prima che tornerà mia madre lei magicamente sarà sparita. Da qualche giorno sta facendo di tutto per evitare l’incontro, accampando scuse su scuse a cui Madre comincia a non credere più, ma questa è un’altra storia che ha a che fare con lobi, sadiche dilatazioni e piccoli e tragici inconvenienti notturni che potevano capitare soltanto a lei e di cui vi racconterò quando avrò smesso di provare nausea e mi sarò fatto una ragione dell’ahimè comprovato grado di parentela, che fa del nostro sangue lo stesso sangue.

Non si dorme male nel camper

A L’Aquila fa più caldo che a Firenze, com’è possibile? Dov’è finita la fresca brezza della montagna, quel filino di venticello che ti accompagna e non ti fa sgocciolare. Capisco ad agosto, ma non siamo neanche a giugno e qua manca l’aria. Fortuna che all’improvviso si attivano scrosci d’acqua dal cielo e volente (quasi mai) o nolente ti rinfreschi. Non è certo soltanto questione di clima. L’atmosfera è surreale. Il silenzio per le strade non viene rotto neanche dalle poche automobili che sembrano rispettarlo, risparmiandosi rombi, boati, accelerazioni brusche, pressioni furibonde sul clacson. Ieri ho fatto un giro per i luoghi raggiungibili. Mi sono fermato sotto il palazzo dove ho vissuto per ventidue anni. Sembra che qualcuno abbia staccato la linguetta di sicurezza di una bomba e l’abbia lanciata al suo interno da una delle finestre. Esploso è il termine che più si avvicina alle condizioni della mia ex casa, quella che tenevamo in affitto e che è stata valutata E nella scala dei danni, che vuol dire che quasi sicuramente andrà buttata giù. Sono sceso dalla macchina e ho camminato, lentamente, attorno al palazzo. Squarci grandi come intere pareti da cui si vedeva l’interno, l’arredamento, il barattolo di nutella sul tavolo. La scala si è staccata e io abitavo al secondo piano. Ho pensato che se non mi fossi trasferito in campagna e quella notte fossi stato lì, ad assistere allo sgretolamento del palazzo, nel tentativo di uscire fuori da quella tomba di mattoni, quello che mi sarei portato dentro sarebbe stato terrore di vivere, poi, qualunque cosa. Ho pensato alle ragazze che erano in casa, ai miei cugini, alla signora che abitava l’appartamentino ricavato dal garage della vicina sulla cui abitabilità ci sarebbe molto da discutere, e che hanno aiutato a liberarsi dalla finestrella mentre le pareti si accartocciavano. Ho pensato all’idea di sicuro radicata anche grazie alle esperienze, che in me coincideva con quella di casa. È una casa che immagino, quando penso a un luogo dove non mi possa accadere nulla, dove la pioggia e il vento non possano seguirmi, dove c’è un divano su cui riposare, protetto da pareti di mattoni e cemento. Trenta secondi di un fenomeno ancora troppo misterioso per essere previsto, dominato poi non ne parliamo, bastano a buttarla giù, quella sicurezza.
Quando la notte apro la porta bianca del camper, Iker mi guarda come se fossi pazzo. La chiudo e lui aspetta che esca, giracchiando intorno. Gli par strano che io abbia così tanto da fare in quel gigantesco cassonetto a motore. Poi si stanca e va a dormire. Pure la sua cuccia è terremotata. Abbiamo dovuto rinforzarla con nuove assi, però ha retto. Non si dorme male nel camper, se non fosse per il sole che riscalda la plastica e penetra all’interno come un vapore che a un certo punto mi sveglia. Mezzo giardino è occupato dal basamento in cemento su cui nei prossimi giorni costruiranno la casetta di legno voluta da mia madre, che ha deciso di passare lì le notti future finché non sarà certa che sarà finito tutto.
Io qua non ci sto bene più. Sono tornato anche per trovare la risposta al dubbio di aver preso la strada sbagliata, che esiste solo perché è giusto averceli sempre, i dubbi, che la decisione sia stata solo il frutto della fretta e della paura. Ho capito che non si è trattato di una fuga, ma di un’esigenza che come essere umano sento e non posso ignorare: quella di cercare una possibilità altrove da questa esasperante immobilità che martella.

Tornato a pancia in giù sul letto

Sono tornato a L’Aquila. Sto scrivendo nella medesima posizione in cui mi trovavo la notte del 6 aprile, allungato a pancia in giù sul letto. Passerò la notte nel camper e da domani notte nella tendopoli, ché nel camper, da solo, mi sento solo. Qualche giorno con i miei (genitori, amici, parenti vicini e lontani, colleghi, professori, animali…) e poi torno a Firenze. Diciamo una settimanella di vita da campeggio nella quale proverò a raccontarvi com’è davvero la situazione e quali sono le prospettive della gente, le nostre. Quello che dice la tv e le parole di chi mi descrive la vita vissuta da qui sembrano due storie diverse, una a lieto fine tipo La Sirenetta o La bella e la bestia, e l’altra alla Shining, con la differenza che al posto dell’Overlook hotel, a fare da sfondo alle folli schizofrenie di massa, c’è la tendopoli di Preturo.
Prima di andare a dormire vi segnalo due belle cosette che vi distrarranno nella vostra noiosa domenica (di mare?).
Intanto le nostre 4 chiacchiere (contate) perché, ridendo e scherzando, un altro sabato è andato e allora questa settimana è la volta dello scrittore Sacha Naspini, da poco in libreria col suo nuovo romanzo Never alone per le edizioni Voras.
E poi, oddio qual era l’altra cosetta di cui dovevo parlarvi che ora mi sfugge… va be’, dev’essere stata poco importante. Ah sì, ricordo. Come direbbe Ursula, la strega cattiva della Sirenetta, una cosa del tutto simbolica, una sciocchezza quello che ho da dirvi è che…
HO INTERVISTATO GIORGIO FALETTI!

L’intervista completa sarà pubblicata a tempo debito, intanto un’anticipazione la trovate qua. Ringrazio Rachele che è andata alla presentazione e ha ammaliato Giorgio col suo fascino minuto, e ringrazio lui per la disponibilità a rispondere alle mie domande.
Buonanotte mondo, il camper mi aspetta. (Invidiosi eh?!)

Terza, sedicesima e trentacinquesima dimensione

Esiste una seconda dimensione che è il cesso, popolato da aguzzi spazzolini da denti parlanti che trombano con la spazzolona dalla onorevolissima funzione di staccare la merda dalla ceramica bianca, se l’acqua non ce la fa; creme antirughe che le rughe te le fanno venire per lo stress, generato dall’inefficacia della crema antirughe; pericolosissimi rotoli di carta che non finiscono mai; è un po’ inquietante quest’idea, se ci pensate: tutto finisce nella vita, i rotoloni di carta igienica no (non tutti, certi). Saponette che irritano non solo il culo; tappetini scivolosi che nascondono botole che vanno a finire negli scarichi dove si annidano capelli, peli pubici, saliva sputata e resti di cellule morte, ecc. Poi ne esiste pure una terza: l’autobus. Vi si accede salendo a bordo attraverso il buco spaziotemporale di una delle due porte laterali – quella centrale è solo per scendere e, se ti azzardi a salire da là, ti travolgono e neanche ti soccorrono perché, pure se sono cinesi, hanno indiscutibilmente ragione loro – ti vivi la tua avventura senza sapere cosa ti aspetta e, quando scendi, mi raccomando da quella centrale, che se ti azzardi a farlo da una laterale vedi sopra, sei sempre un po’ triste, come quando perdi tutte e tre i funghetti-vita a Super Mario Bross.
Stamattina una signora che ha dimostrato esagitazione notevole fin dal primo istante in cui è salita domanda all’autista: “Senta, questo passa là dietro, dove c’è la fermata del 35 insomma?” Muoveva le braccia che non ho capito se la sua più grande aspirazione non coronata fosse quella di dirigere il traffico o se stesse inseguendo l’intenzione di dimostrare di essere più scoordinata di Valeria Rossi nel video di Sole cuore amore. “Sì signora” risponde l’autista con un tono che sembra suggerirle un farmaco per sedare gli elefanti. La signora procede e si mischia alla folla pressata. D’un tratto l’autobus incoccia contro qualcosa, mi ricorda il Titanic con l’iceberg solo che sul ponte non c’era tutta quella gente pronta a dare l’allarme: “Fermaaa… oddio… una ragazza… motorino… così la ucciderai… fermaaaa l’autobuuus!”. Una fanciulla un po’ truzza, magari se ne vanta pure come la tipa del famoso video Io sono una truzza (cercatelo su You Tube perché il link da me non lo avrete mai, sarebbe per me come invogliare alla lettura del prossimo romanzo di Povia), nel tentativo di superare  a destra, tra l’altro in curva (a destra) si è ritrovata incastrata tra la fiancata arancione dell’autobus e il marciapiede. L’autista è sceso, ha fulminato Lady Fiorentina, che si preoccupava del graffietto sullo scooter e del suo piede bloccato che descriveva una grottesca, quasi divertente spirale su se stesso – più del piede, spero per lei – ha tirato via la fanciulla con forza, sempre con forza ha sollevato lo scooter dall’asfalto fino a sentire SCCCRRRTANK e l’ha appoggiato sopra al marciapiede. È tornato nell’autobus senza neanche chiederle se si era fatta male. Avrà pensato che, se poi gli avesse risposto di no, ci avrebbe pensato lui a farle apprendere la lezione colpendola ripetutamente con una spranga, dimenticata lì dal Mostro di Firenze, e ha rimesso in moto. Proprio in quel momento la vecchia pazza di prima, quella del 35 ha preso a urlarmi: “Suona il campanello per favore, suona, mi suoni?” . Ti suono di sberle se non la smetti. Scende alla fermata e sale sull’autobus avanti a noi.
L’autista si volta verso di me: “Tanto la colpa è sempre dell’autista!” “La colpa di cosa?” “Che la gente sta fuori di testa. Chi si butta coi motorini sotto agli autobus, chi monta sugli autobus a caso…” “A caso?” “Sì, la signora che doveva prendere il 35!” “Eh?” “Ha preso il 16. Quello davanti non è il 35, ma il 16!”
Chissà se la sedicesima dimensione è migliore della trentacinquesima, comunque, non so perché, ma ben le sta, secondo me.

Un’oasi vedo, e c’è anche una palma

Penso al potere del caldo. È grande. Più di quello racchiuso nelle parole di chi, in buona o malafede, si adopera a sconsigliare un percorso rispetto a un altro, ad esempio. Un’anima cocciuta persegue la camminata pure se tutte le creature nel suo intorno non smettono di bisbigliare del prevedibile prossimo fallimento. Poi arriva il caldo e quella cocciutaggine si attenua e, se certe decisioni prevedono pensieri che corrispondono a movimenti pur semplici, rapidi o lenti, piccoli, ma che sfiancano, allora non c’è più dubbio: rimandare qualunque cosa ai primi freschi, a dopo l’estate che ancora non arriva e che non significherà neanche quest’anno vacanza. Sarà per la prossima estate, sospiro da un po’ troppe inoltrate primavere.
L’acqua per la pasta esce dal rubinetto che già bolle, dev’esserci un bel freschetto nei tubi. Secondo me è là che nascono e proliferano quei fastidiosissimi ragnetti rossi. Non li puoi neanche sfiorare che crepano lasciando, magari sul taschino della camicia bianca appena indossata, il regalino finale, una sorta di vendetta o di vaffanculo sotto forma di strisciata di non-sangue, perché gli insetti il sangue non ce l’hanno. E le zanzare, oddio quante. Stamattina, mentre sul cesso espletavo tentando di respirare meno aria possibile, per averne poi a sufficienza anche per lavarmi, pensavo all’estremizzazione del fenomeno zanzara. Io tutte le mattine mi risveglio con 3 o 4 bombe rosse nuove sparse tra braccia e gambe. Ora che hanno scoperto pure le dita, si salvi chi può. Immaginavo cosa potrebbe accadere se nella mia stanza una notte ne penetrassero che so, 200, e decidessero di pungermi ognuna ripetutamente. Tutta quella saliva che loro iniettano mentre succhiano, per impedire la coagulazione del sangue che deve arrivare liquido all’intestino, portatrice di infezioni, irritazioni, potrebbe farmi morire in quantità così elevate? Quasi quasi lo chiedo a Yahoo answers. C’è un motivo se parlo di 200 zanzare cacciatrici unite per la vita, la loro. Le sto studiando come loro stanno studiando me, ogni notte. Non potete immaginare quante messaggere infiltrate schiaccio nei modi più cruenti, prima di stendermi sul divanoletto e abbandonarmi al sonno. Non sono loro la mente, però. Son lì per assaggiare il mio sangue; le sento scambiarsi informazioni segrete (bbbbZZZzzzZZZ) che poi riporteranno ai piani alti del zanzarificio, il palazzo. Io lì, sul cesso elaboro tattiche difensive, per contrastare l’imminente attacco in massa, so che lo faranno, quelle maledette. Poi, quando finisco di cagare, smetto di pensarci.
Che qualcuno mi faccia aria, mi porti dell’acqua, mi dia dei soldi, tanti.

E dopo Scamarcio arriva…

Dopo aver scoperto di essere più bello di Scamarcio, ieri mi hanno detto: “Aaaahhh!” (Oddio, fatta male?) “Ora ho capito a chi assomigli!” (Sentiamo!) “Sei uguale uguale, ma proprio identico spiccicato a Cannavaro!”.
Nonostante le fonti di tali esternazioni non siano mai venute a contatto, non abbiano nulla in comune, o forse qualcosa sì, ma son dettagli e comunque loro non lo sanno, sono da considerarsi entrambe identicamente non attendibili. Però che assomigliavo a Cannavaro me l’avevano già detto, 5 o 6 anni fa. Qua sì che hanno occhio!
Ho finito Un giorno questo dolore ti sarà utile mentre ingoiavo gli ultimi pezzi di una spinacina scaduta da due giorni e devo dire che è splendido per come è scritto, per come l’autore tratteggia James, il protagonista, a cui non puoi non affezionarti, ma la trama poteva essere sviluppata meglio, almeno nella conclusione, no che finisce che un giorno James capisce che nella vita tutto può succedere. Che gran scoperta del ceppo!
Sono andato alla Feltrinelli e ho chiesto alla signorina se poteva trovarmi Quella notte dorata sempre di Peter Cameron (gli aggettivi dimostrativi gli garbano parecchio).
Lei ha fatto finta di sapere chi fosse Cameron, facendo anche finta di essere certa di non possedere il libro. Io l’ho ringraziata, poi sono andato alla sezione dei tascabili Adelphi e ce n’era una pila di 20 copie. Ne ho presa una, sono andato a pagare da lei: “Ah, quindi c’era!” esclama sorpresa. “Ce n’erano un bel po’, a dire la verità.”
A Firenze la temperatura si è stabilizzata intorno ai 30 gradi e io son solito svenire 5 volte al giorno: 
1. Quando mi alzo dal divanoletto dopo essermi svegliato.
2. Mentre trasformo il divanoletto in un divano-e-basta, qualche ora dopo.
3. Quando mi alzo da tavola dopo il pranzo.
4. Quando mi alzo dal divano-e-basta, l’ex divanoletto, dopo la pausa Uomini e Donne/Pomeriggio 5.
5. Quando torno dal giretto curriculum grondante di sudore che si asciuga e riaffiora in un ciclo continuo, come quello della fontanella del presepe.