I regali non li ho fatti tutti, ma una buona metà

I regali non li ho fatti tutti, ma una buona metà. E il buona fa sì che l’ago penda verso l’eccesso. E questo dà al mio animo una ventata di positività; insomma tutta una catena di conseguenze del Natale che non fa così male. Poi che fossero in totale 5 e io ne abbia fatti 3 è un altro discorso, però dei 2 mancanti, 1 ce l’ho chiaro in testa, l’altro no, ma mi verrà, come il quarto vien da sé del non c’è 2 senza 3. Il problema è che quello che ho pensato, ma non comprato, come al solito, sfiora l’impossibile, ma secondo me ce la farò (l’importante è crederci). Detto questo, aiutatemi a spezzare una lancia nel fegato dei librai tutti. Rappresentano una categoria di lavoratori odiosa e saccente. Non conoscono la letteratura, non sanno quello che hanno nella loro libreria né sanno distinguere un prodotto di qualità da una ciofeca colossale. Io non dico che a tutti debbano piacere i classici, ma perlomeno, non fare quella faccia da capra nauseata se io nomino Dostoevskij che ovviamente, oltre a non sapere chi sia, non possiedi, come se stessi parlando di Cristiano Malgioglio, e poi arriva una cretina con la cinta con gli anelli di ferro, che mi passa anche avanti assestandomi una gomitata non so quanto involontaria, chiede il libricino natalizio di Pulsatilla e tu scatti come una molla rinvigorita verso l’alta colonna in vetrina. Tocca ancora a me. “Può controllarmi un altro titolo?” Visto che non risponde immagino sia un Sì, il suo. “Mentre l’Inghilterra dorme.” Digita e fa: “No, abbiamo L’Inghilterra mente, sarà questo”. “Eh, no. Non è. Il titolo è quello che le ho dato io, non uno simile.”
Mi piacerebbe aprire una libreria, o lavorarci. Penso che sarei molto diverso da questi individui che trattano i libri come vecchi stracci da appioppare alla gente. È la passione che fa del lavoro un lavoro amato. Non capisco perché scegli di insegnare alle elementari se odi i bambini, o di lavorare in una libreria se pensi che un libro abbia meno valore di un salame casereccio. Mi piacerebbe pure presentare il prossimo Sanremo che ovviamente, come ogni anno la Stanza seguirà e commenterà con pura perfidia senza vederne una sola puntata. Questo per dire che non sempre si può fare quello che si vuole, però non significa che uno non possa avere la consapevolezza che saprebbe farlo meglio di tanta altra gente. Non che presenterei Sanremo meglio di Bonolis, ci mancherebbe, certo è che Iva Zanicchi, Al Bano e Povia con tutti i suoi volatili hanno fracassato le palle.
Visto che da metà dicembre la mia casella di posta elettronica sta subendo il bombardamento degli auguri natalizi che si traducono in cartoline interattive, video interminabili, foto pesantissime e applicazioni power point che per farle partire se ne passa un pomeriggio, invito chi ancora non l’ha fatto, a evitare tutto ciò, perché io cancello le e-mail di questo tipo senza neanche provare a leggerle. Non è cattiveria, è che il mio computer nu je a fa. E se nu je a fa, nu je a fa.  
Stamattina suona il cellulare e sullo schermetto lampeggia DaquiCasa. Che vorrà mai la mia ex prof di italiano e latino delle superiori? Entusiasta e un po’ atterrito dico: “Pronto”. “Ehm, cercavo Barbara!” In quel preciso momento il telefono mi segnala la batteria scarica. Io potrei salutarla, dirle qualcosa, ma il tempo a mia disposizione è infinitesimale, perché dal momento in cui parte il segnale acustico ho circa 9 secondi di autonomia. “Ha sbagliato numero.” “Ah, mi scusi.” Riaggancia e il mio telefono si spegne. A questo punto dovrei dire qualcosa sul rincoglionimento senile come concetto generale applicato al particolare, ma non la dico, anche perché è Natale e non sta bene.
Caro Babbo… stasera, che mi ricordi le letterine si spera.