Una cena col botto

Ieri c’è stata (non certo perché l’ha voluta Dio) la cena per salutare Davide, un ragazzo che ha lavorato al Mc per quasi un anno, finché non gli è scaduto il contratto e, nonostante fosse bravo (ma le meccaniche dei rinnovi spesso (non sempre) esulano dalla bravura) si sono dimenticati di prolungarglielo (diciamo così), cose che succedono. Lungo aperitivo al Barbarossa, poi alla Vesuvio (l’ultima volta, uscendo, ho pensato che la pizza non era poi così buona; ieri, uscendo, ho pensato che la pizza sembrava un frisbee di plastica dura, pertanto potete dedurre che… non era poi così buona, ecco). Davide è stata la prima persona che ho incrociato in cucina il giorno in cui sono stato assunto 10 mesi fa. Ero terrorizzato. Me lo ricordo quel sorriso avanzare verso di me e: “Piacere, Davide!” e da lì è stato davvero un piacere ogni volta che i nostri turni si sono sovrapposti, anche per stracci di mezzore. È una di quelle persone che ti rende le ore lavorative divertenti e, visto che almeno a me mancherà, ci tenevo a ringraziarlo con una bella cena. Eravamo tanti ed è andata bene se non fosse per il dopo, quando, a mezzanotte inoltrata, abbiamo deciso di rivederci tutti in centro per l’ultima bevuta. Non abbiamo fatto in tempo a percorrere neanche 100metri che io e Franco vediamo materializzarsi un autoscontro non consentito e, nel panico, in piedi sullo spartitraffico al centro dell’incrocio poco più avanti, a discutere col sopravvissuto dell’altra automobile, Anita, una delle ragazze della cena. È bastato giusto un attimo in cui ha deciso di assentarsi con gli occhi (senza lasciare il cartello torno subito), alla ricerca di un accendino caduto chissà dove, probabilmente sotto il sedile, per non accorgersi della precedenza e dell’automobile che saliva, che lei ha preso in pieno. Un po’ di paura, il danno tutt’altro che irrilevante (se se la cava con 2mila euro è già tanto), la colpa quasi completamente sua a parte per il fatto che il tipo nell’automobile bianca correva parecchio, e per una presunta pistola che la guardia giurata (perché si è rivelato una guardia giurata) ha fatto prelevare a suo padre arrivato in fretta e furia per nasconderla nel suo furgoncino prima di mettersi a fare foto dappertutto. Forse non poteva portarla dietro? O magari quella borsetta nera conteneva altro, che so cocaina, una bomba atomica, un set di vibratori da viaggio. Fatto sta che siamo stati fino a tarda notte a fare compagnia ad Anita che tentava di sbrigarsela con i carabinieri. E stamattina alle 9.00 (4 ore di sonno, dico generosamente) corso sulla salute e sicurezza sul posto di lavoro con l’ingegnere dell’anno scorso che ha detto le stesse parole dell’anno scorso, ma che a differenza dell’anno scorso s’era sbrodolato qualcosa addosso, con sospetta perdita di liquidi attorno all’inguine, per non parlare della bavetta che gli colava all’angolo della bocca. Me l’hanno raccontato. Fortuna che in tutto questo io dormivo.