Correte in libreria, è uscito Durante!

Aggiornamento: buon Primo Maggio a chi non può non pagare le tasse perché gliele tolgono dallo stipendio.

Cioè, io non lo so eh!
Scade il terzo e ultimo, infinitamente grande, conto alla rovescia, e ve ne state là, senza fiatare, come mummie mute (quelle egiziane qualche verso mi pare lo emettessero, voi neanche quello), a non dirmi niente? Col rischio che mi passi di mente e non possa godere dell’estasi, provocata dall’acquisto del nuovo romanzo di Andrea De Carlo. Maledetti senza cuore che non siete altro! Che poi sì, la data ufficiale d’uscita è oggi 30 Aprile, ma quella in cui l’avrò fra le mani è decisamente da destinarsi. Sono puntuali nelle grandi città sicuramente, nelle medie pure, nelle piccole città che abbiano librerie decenti, nei paeselli vicino ad una delle realtà suddette, insomma all over the world tranne che a L’Aquila. Sì, perché le librerie ubicate in my city (non so perché mi sta prendendo questa cosa, che definirei preoccupante, di seminare a spruzzo banali espressioni inglesi nei post, spero mi passi al più presto) agiscono su classifica, e quindi, per assaporare il libro di Andrea devo aspettare che entri in classifica perché loro non si fidano (una settimana, speriamo primo!). Qua funziona così: alla luce dei cinquanta libri più venduti le librerie fanno l’ordinazione di pile alte due metri e mezzo per quelli della top ten, un metro e venti di altezza per i posti dalla undici alla ventuno, ottanta cm dalla ventiduesima alla trentacinquesima posizione, quaranta spettano a quelli dalla trentaseiesima alla quarantanovesima, e una copia sullo scaffale per il cinquantesimo posto, così, tanto per gradire. Il resto è OUT. Non esiste, non è mai stato scritto, non. Vi lascio immaginare la sensazione di oppressione che mi prende alla gola ogni volta che entro in libreria dopo l’uscita di un nuovo libro di Moccia; mi viene la tentazione, a cui prima o poi cederò, ne sono certo, di morire per soffocamento autoindotto. Se ti azzardi anche solo a chiedere di ordinare uno sfigato fuori dai cinquanta eletti, ti rispondono, con fare indisponente, che loro quella roba non la trattano, e allora ti domandi se il mestiere che fanno sia davvero quello del libraio o se, invece, vendano prosciutti, salami, formaggi e mozzarelle di bufala campana (‘sto periodo na squisitezza, non le vogliono neanche più in Corea del Sud, e ho detto tutto!); sia chiaro, con tutto il rispetto per chi vende questi prodotti, ma da come ti guardano sembra che gl’hai chiesto la Luna, eppure mi pare si tratti comunque di un libro, credo eh, oppure perché non alberga nell’Olimpo dei più venduti c’ha la rogna?
Comunque, per ora, qua non è aria di Durante, però io, che non sono mica uno così cosà, ho trovato nel WWW l’incipit. Beccatevi l’assaggino.
Bene, prima di correre assatanati alla vostra libreria di fiducia ad accaparrarvi una copia del quindicesimo romanzo di De Carlo (attenti quando uscite perché vi giuro che per quel libro, ora come ora, potrei commettere un omicidio!) vi lascio con una piccola citazione inserita nel contesto della prefazione che Andrea stesso ha scritto per l’edizione rinnovata di Due di due uscita per Bompiani, come tutti i suoi romanzi ormai.
 
"Scrivere romanzi è un po’ come fare i minatori di se stessi: si scava in quello che si ha dentro, e più si scava meno si pensa alla possibilità di farsi crollare tutto addosso e restarci sotto. Se diventa così, è uno dei lavori più rischiosi che ci siano, e uno dei più entusiasmanti."
Andrea De Carlo

Torna anonimo #30, e porta con te tanti amici!

Dopo due anni di blog su Diablogando e uno su Splinder finalmente si è realizzato il mio sogno più grande (dopo quello di laurearmi) e cioè trovare qualcuno pronto a maltrattarmi gratuitamente in forma anonima.
Vi giuro che mi mancava l’anonimo rompiballe; mi sentivo come un dissociato a leggere di blogger che istaurano continuamente battaglie contro gli anonimi  molesti, addirittura ho trovato in rete banner ad hoc. E a me? Cos’ho io che fa fuggire gli anonimi? Mi guardo allo specchio e penso che in fondo (ma proprio in fondo) non sono malaccio. Ho dei carini capelli castani (silence please), occhi nocciola intensi (come più o meno l’ottantanove per cento degli italiani), sono alto altissimo e si sa: altezza è mezza bellezza (non preoccupatevi, è tutto sotto controllo: ho chiamato Chi l’ha visto per ritrovare l’altra metà!), ho un sorriso che Brillantdent (notta sottomarca di Mentadent) – e i tuoi denti brilleranno come lavati in lavastoviglie! continua a tormentarmi, ma io la pubblicità non la faccio (e vorrei anche vedere! Vogliono pagarmi in dentifrici e spazzolini e fili interdentali e pulisci-lingua, e brillantanti, ‘sti stronzi!); sono cordiale, simpatico e non sporco più di tanto. Ditemi, perché io no? Il mese scorso, vittima di un’acuta e improvvisa crisi di incontrollate risate mentre la Celentano offendeva la nana grassa che vuol diventare la prima ballerina della Scala (sì, la scala di casa sua!), ho telefonato in lacrime ad uno specialista urlando nella cornetta che volevo anch’io una Celentano sempre pronta a distruggermi. Addirittura sono arrivato al punto di proporgli un affare: maltrattarmi sul blog in cambio di denaro. Lui ha risposto che si poteva fare, ha ritirato l’assegno di seimiladuecento euro e poi è sparito; pare sia stato avvistato nelle Cayman a predare tartarughe acquatiche giganti. Rassegnato ormai alla peggior morte, andavo su e giù per il cordolo del solaio della casa di cura Villa Splendida, nel bel mezzo degli ultimi esercizi di respirazione prima di decidermi a tuffarmi nel vuoto, ma prima decisi di salutare tutti i miei lettori (sono educato io) con la promessa di continuare a scrivere anche dall’Aldilà, ed ecco che tutto si fa meraviglioso al leggere, come commento al post su Into the wild, ciò:  
 
Sono capitato sul tuo blog per caso, non per polemizzare, ma tu secondo me:
1-non capisci un cazzo di film
2-non capisci un cazzo della vita degli altri.
3- non ti rendi conto di quando sia difficile fare un film del genere.
4- non sai che per fare quel film hanno atteso 10 anni prima di poter parlare di quella storia…se hanno atteso cosi tanto secondo te xke?…rifletti sul mondo dove vivi, su quello che mangi e che cachi…magati ti servira.

Addio
 
Ebbene cordiale anonimo #30, io sono qua a chiederti scusa per averti risposto così:
 
E meno male che non era per fare polemica! Ti rispondo:
1) Non ho mai detto di capire di film. Avrei fatto il critico, o il regista, o lo sceneggiatore, o altro. Però, visto che il Cinema è per tutti, posso esprimere un’opinione liberamente, o devo prima chiedere il permesso a te?
2) Non ho mai detto di capire la vita degli altri. (Di chi poi? E che c’entra? Boh.)
3) Certo che è difficile fare un film così. Ma questo non vuol dire che il risultato sia apprezzabile. E poi resta sempre un mio parere, mica legge!
4)Rifletterò, grazie!
Comunque non capisco tanto accanimento nei miei confronti. Due sono le cose: o sei la reincarnazione del Supertramp, oppure ce l’hai con me. Quel che è certo è che sei troppo inacidito, ragazzo mio. Prendi la vita con più serenità! Addio, e aspettami, io ci metterò un po’ di più ad arrivare.
 
E a pregarti con tutto il mio gran cuore di tornare. Torna, anonimo #30, perché sei l’unico che ha fatto riaccendere in me la speranza. Torna, perché senza di te questa Stanza non ha luce. Torna, a regalare la poesia delle tue illuminate riflessioni a noi poveri deficienti che ci azzardiamo ad esprimere un’opinione. Torna, e comunque perché si scrive così: perché, e non xke, e servirà vuole l’accento sulla a.

Cristina Mosca vs Matteo Grimaldi

Cristina mi ha mandato qualche scatto della presentazione realizzato dal fotografo Franco Soldani che ringrazio, in cui, ovviamente, sono venuto malissimo. No va be’, va detto che qualcuna risolleva la mia immagine annientata dai precedenti click di Gogan. E quindi vai!
18_97-DS Sì, c’era un po’ di gente!
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"Hei, stasera sei libera?"
"No, tu?"

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Insieme alle ragazze della Nuova Editrice
A fine presentazione ci siamo resi conto che avremmo parlato per ore ancora, che entrambi avevamo tante curiosità da domandarci, e così Cristina ha messo su una specie di intervista doppia stile Iene un po’ seria perché quelle simpatiche, a quanto dice lei, se l’è fumate (cose sue). Sì, sarebbe stato carino farla video, però noi siamo scrittori quindi la facciamo solo testo. Logico, no? (Come avrete chiaramente intuito la verità è un’altra: i mezzi sono quelli che sono e il tempo idem, quindi per questa volta accontentatevi di una specie di tabella word e immaginate le nostre belle (la sua di più, ma non serve che lo dica io) faccine parlanti che rispondono; Cristina in rosso, io in nero. 

CRISTINA MOSCA      VS      MATTEO GRIMALDI
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Come ti chiami?
Cristina Mosca. Matteo Grimaldi.

Qual è la tua città?
A Giulianova ci sono nata e cresciuta, a Pescara mi vivo. L’Aquila.
Che libro hai scritto?
Chissà se verrà alla mia festa. Pierrot scalzo. E donne infreddolite negli scialli. Non farmi male.
Cosa odi?
L’ottusità; le sentenze senza possibilità di appello. Le delusioni, la violenza gratuita, l’ignoranza e la stupidità.
Cosa ami?
L’amore nelle piccole cose; far festa. L’amore in ogni sua forma.
Chi avresti voluto conoscere nel ‘900?

Charlie Chaplin; Edith Piaf; Audrey Hepburn, Gabriele d’Annunzio. Italo Calvino e Sylvia Plath. (De Carlo l’ho conosciuto e poi è ancora vivo!)
E nell’800?
Oscar Wilde. John Stith Pemberton, (l’inventore della Coca Cola), e Dostoevskij.
E nel ‘700?

William Shakespeare. Anche se era del Seicento… Vivaldi.
Chi vorresti incontrare dei personaggi viventi?
Erri De Luca. Carmen Consoli, Baricco, Ammaniti, Elisa, Stephen King, Dario Argento, Tornatore, Morricone…
Che modalità di scrittura preferisci? Racconto, romanzo, poesia? Aforisma?
Prima la poesia, poi il racconto, ora il romanzo. Racconto e romanzo. Poi la poesia viene da sè, quando viene.
Perché?
Perché ho sempre più cose da raccontare. Perché il racconto è un flash, e mi piace che si esaurisca in un attimo. Il romanzo mi dà l’opportunità di dare vita a storie complicate, fatte di personaggi intensi e molte pagine.
E di lettura?
Il romanzo. Decisamente il romanzo.
Perché?
Mi permette di vivere più vite. Mi fa fare lunghi viaggi senza spendere troppo.
Che significa la parola Resistenza?
Opporsi a ciò in cui non si crede. Coraggio, coerenza e credo. Non solo politico.
Non ti vestiresti mai di?
Colori elettrici! Giallo.
Qual è la tua stanza preferita?
Lo studio. La Stanza del Matto.
Una canzone che ti è molto cara?
Quelle di Fabrizio De André e di Celentano che ho imparato da adolescente. Quello che sento e Blunotte di Carmen Consoli.
Una cosa di cui hai troppa paura?
L’ottusità. Gli abbandoni.
Un tuo difetto?
L’orgoglio. L’estrema schiettezza, a volte.
L’ultima volta che hai pianto?
La settimana scorsa. Di gioia. Non troppo tempo fa. Non mi stai chiedendo perché, vero?
Di cosa vorresti scrivere?
Di qualcosa che spacchi il cuore. Della vita di un carcerato.
Cosa c’è nel tuo futuro da scrittore?
Un terzo romanzo, ma è ancora nel computer… Un romanzo che uscirà a fine anno.
Per cosa vorresti essere ricordato come persona?
Per la voglia di ridere. Il fatto è che non sento il desiderio di essere ricordato. Però mi piacerebbe che si dicesse di me che so voler bene.
La parola che preferisci?
Logica. Grazie.

Per scrivere ‘sto post c’ho messo un’ora e mezza. Che non si dica che non tengo alla Stanza!

Non farmi male: un piccolo miracolo che devo a voi

È andata da paura! Ho scoperto in Cristina una ragazza simpaticissima, alla mano, oltre che molto matura come scrittrice. Siamo andati a braccio, che è la cosa migliore. Ci siamo intersecati perfettamente, alternando Non farmi male moments a E donne moments. Io le ho domandato ciò che la lettura del suo libro mi aveva suggerito, così ha fatto lei con me, e il tutto è riuscito in modo sorprendente. A parte l’inconveniente microfono. No perché grazie a Fabio, un microfono l’avevo pure rimediato. Arriviamo in libreria, spostiamo il tavolo per avvicinarlo alle prese elettriche, montiamo lo stereo con le casse, agganciamo lo spinotto, soffiamo “un due tre, prova, prova” funziona, bene. È il momento di cominciare, impugno il microfono (vai Mattè!): “Già è tanto che il microfono funz..” si ammutolisce. Do qualche colpetto di dita sperando in un segnale confortante, soffio, spengo e riaccendo nel disperato tentativo di rianimarlo. Si avvicina Fabio, poi suo fratello, il microfono si riaccende. Ci rimettiamo tutti ai nostri posti: “Bene il microfono funz…” si spegne di nuovo, no non funziona. E va be’ faremo senza. C’erano tante persone che non m’aspettavo, qualcuno che conoscevo, altri che non avevo mai visto né sentito. Un ragazzo, con una sua amica, che m’ha salutato. Una ragazza che mi conosceva perché mi aveva visto al mio secondo incontro, al Liceo Scientifico. È stato emozionante e a tratti divertente presentare Cristina (quasi quasi vado a fare Sanremo. Mbè che c’è? Problemi?), non credevo che sarei stato così disinvolto. Sarà che alla settima presentazione uno ci prende la mano. Ora devo ringraziare un po’ di persone, per un po’ di motivi. In primis Cristina per aver voluto condividere una delle sue date (e ne sta facendo davvero tante eh!) con me, e per aver creduto nella mie capacità. Poi le ragazze della Nuova Editrice per essersi convinte a lasciare nelle nostre mani pazze la loro libreria, per aver creduto nella possibilità di una bella serata. “E’ stata una delle più belle che abbiamo organizzato!” Beh, io sono felice di avervi ripagato, e questa è la dimostrazione che bisogna dare fiducia ai giovani che hanno dentro la passione per quello che fanno, perché è vero che è rischioso, è vero che non siamo Baricco né Ammaniti, però a volte siamo capaci di sorprendere, e ieri, io e Cristina, ce l’abbiamo fatta. Ringrazio chi è venuto da lontano. Ringrazio Alex, accompagnato dal suo papà, che ha la faccia buona e mi è simpatico. Monia e suo marito, che da Viterbo hanno preso una stanza in un bed and breakfast, per esserci a tutti i costi. Tutti coloro che ieri sera erano con noi. Dovrei fare tanti nomi e con la testa marcia che mi ritrovo ne dimenticherei sicuramente qualcuno, però voi che c’eravate lo sapete di chi parlo. Ringrazio, con tutto il cuore che ho, gli amici, che mi hanno aiutato a vincere quest’ennesima bellissima sfida: Fabio, Americo, Ariel (sei un mito!); non so descrivere la sensazione che provo guardando qualcuno che si affanna a far girare la voce, a cercare il modo di pubblicizzare qualcosa che se fosse la sua di presentazione. Grazie anche a chi non è potuto venire e da lontano incrociava le dita per me, lo so. Poi la serata è andata avanti con un bella cenetta con Fabio e Fabio e Stefano, e un giro in centro a parlare di cellule staminali, rapporto tra anima e corpo (io sono convinto che siano due entità separate e che, quando muori, l’anima continua ad esistere), il concetto di persona, se è giusto o no che la Chiesa esprima pareri (tutt’altro che semplici pareri) su argomenti che la riguardano fino ad un certo punto. Insomma un vodka lemon in corpo può trasformare quattro pazzi in acculturati opinionisti che invece che all’Italia sul due vanno a parlottare a piazza San Biagio.  
Questa era l’ultima data del Non farmi male tour. Quando un viaggio finisce mi ritrovo sempre a ripercorrerlo a ritroso. Evito di farlo qua perché se no ‘sto post verrebbe lungo ventinove pagine, e voi mi sa che avete altro da fare in quest’assolata domenica, però nella mia testa sì, continuano a scorrere le immagini, come istantanee sul finestrino di un treno in corsa. E vi giuro che se m’avessero detto che Non farmi male mi avrebbe regalato tante emozioni, se m’avessero detto che avrei fatto sette presentazioni in tutta Italia, che avrei incontrato così tante persone col mio libro tra le mani a cui regalare un abbraccio forte che le convinca a credere sempre nei loro sogni. Se m’avessero detto tutto questo quando, un anno e mezzo fa, con gli occhi umidi, saltellavo per la Stanza, felice di una pubblicazione che consideravo e considero tuttora un piccolo miracolo, beh sarei scoppiato a ridere e non c’avrei creduto.
Poi faccio un salto al domani, e sorrido soddisfatto al pensiero che il sogno continuerà, ma sarà un sogno nuovo. Nessuna anticipazione per ora, però fidatevi del Matto, perché il domani è vicino, e ho tanto bisogno di voi.

Chi non viene alla presentazione non si laurea!

Tutti che partono per il mare, almeno così pare dal servizio che ha mandato in onda Studio Aperto con le autostrade che sembrano giganteschi formicai. Mi è mancata l’aria al solo pensiero di trovarmi in una di quelle automobili che procedono a tre chilometri orari, soffocato dal calore amplificato dalla ferraglia rovente. Quindi buon 25 Aprile. Ma, per i più attenti, 25 Aprile vuol dire anche un’altra cosa. Vigilia del 26. E che accadrà sabato 26 Aprile, cioè domani? Non vi dice niente questa data? Ve lo ricordo io. Domani 26 Aprile alle ore 18.00 c’è la presentazione conclusiva del Non farmi male tour. La settima data, come sette sono i racconti che compongono la raccolta. Sarà a L’Aquila, la mia città. Alla Nuova Editrice per il Corso, vicino la Quintana e di fronte la Standa, per intenderci. Vi aspetto in millemila, non tanto per la presentazione in sé, quanto per pizzette e rustici che la libreria ha gentilmente ordinato per me e Cristina, l’amica giornalista e scrittrice che presenterà il suo secondo romanzo: E donne infreddolite negli scialli, Schena editore. Vorrei tranquillizzare la signorina della libreria che sta vivendo questi attimi terrorizzata dall’eventualità che possa non esserci nessuno. Ora, io non so se e quanta gente verrà, però, signorina, le prometto che non farò come la misteriosa scrittrice Rizzoli che tempo fa giunse a promuovere il suo romanzo e si trovò davanti un’innumerabile platea che proviamo ad enumerare: tre persone. La donna, shockata non poco dall’aria desertica che si respirava in libreria, partì ad inveire contro quella che riteneva l’unica responsabile del flop (capita anche ai colossi): la signorina, prima di salutare malamente i suoi due fan (perché la terza era la signorina, appunto) e andarsene sbuffando. Ecco, le prometto che io non me la prenderò con lei, stia tranquilla!
Per quanto riguarda la questione microfono (riassunto puntate precedenti: non ce l’hanno!), beh, sia chiaro, se oltre a quello non rimediate un palco di cinque metri per otto, con almeno, e sottolineo almeno, settantadue fari che emettano fasci luminosi effetto arcobaleni incrocianti fumi mistici, puntati sulla mia persona, io non vengo.
Quindi mi raccomando, aquilani e non, vicini e (non troppo) lontani, Sabato 26 Aprile (domani) ore 18.00, libreria Nuova Editrice corso Federico II, L’Aquila, per incontrare il Matto e passare una bella oretta insieme. E se ve lo dice pure Univaq.net io, se fossi in voi ci verrei, sempre se volete laurearvi in tempo, ovvio.

La Matto-city su Striscia la Notizia

Ero sicuro che prima o poi saremmo finiti su Striscia. Quella del treno fantasma è una piaga che resterà credo irrisolta per sempre; e si metta l’anima in pace Jimmy Ghione perché secondo me neanche Striscia può farci niente. Qua sono tutti dei gran magna magna e stavolta ci sono andati giù pesante. Trentatré milioni di euro finanziati per l’immensa opera (mai cosa fu più inutile di quella che si appresterebbero a realizzare qua a L’Aquila), una specie di treno di superficie, con tanto di strade devastate da chilometri di binari, tra l’altro pericolosissimi soprattutto per i motorini che slittano e perdono il controllo, perché le strade della città sono quelle, non ci possiamo permettere corsie dedicate (e poi a che serve ‘sta metropolitana? Qualcuno forse ha scambiato L’Aquila per New York); fili elettrici in aria, fermate pronte ovunque, il deposito abbandonato: quell’immensa costruzione a Pettino, vicino la multisala Movieplex; e del treno nessuna traccia. Pare che di quei (dottore dica) trentatré milioni ne siano stati spesi una decina, e gli altri? (Che ingenuo dubbio!)
I lavori si sono bloccati per l’intervento del Ministero dei Beni Culturali che ha fatto presente che esiste un Centro Storico con palazzi del XV° secolo, che non si può distruggere così, e quindi STOP. Io mi chiedo: ma prima non lo sapevano? Certo che lo sapevano, infatti i lavori sono iniziati senza autorizzazioni. Che scoperta! Se avessero chiesto le autorizzazioni non le avrebbero ottenute (ma va? Dai, come si può autorizzare il passaggio di una metropolitana per via Roma che è larga meno del mio salotto?) e di quei soldarelli non ne avrebbero vista neanche l’ombra. E invece: noi partiamo, trentatré milioni di pippi ce li danno, dieci li spendiamo, bloccano tutto, e gli altri ventitré ce li infiliamo nelle mutande. 
Gustatevi
la figuraccia della Matto-city, andata in onda ieri su Striscia la Notizia. Tutto vero, anche se certe volte mi vien voglia di scrivere a quella scimmia saputa di Ghione: “Visto che sei tanto bravo, salvaci tu!” poi mi ricordo che non è Dio (nonostante, secondo me, ci si senta un bel po’) allora chiudo la posta elettronica e vado a fare pipì.

Into the wild

Tutti a parlare di opera d’arte, e allora ieri, io Luca e Niccolò, abbiamo deciso di vederci Into the wild. (No che non l’abbiamo scaricato; sì abbiamo acquistato la pellicola, va bene?) Personalmente ho passato l’intera durata del film (due ore e mezza, come due film di Boldi più uno di Pieraccioni praticamente) a ripetermi: Mattè, massima attenzione, ché a momenti accadrà qualcosa di cruciale. Invece non è successo proprio niente. Per chi non l’ha visto, ora spiattello la trama nella sua totalità. È la storia di questo ragazzo che dopo la laurea a pieni voti decide di fuggire da tutto, principalmente dalla sua famiglia. Padre e madre ricchi, che pensano di conquistarsi l’affetto del figlio regalandogli una macchina nuova o pagandogli il college migliore. Dà tutti i suoi risparmi in beneficienza e, da un giorno all’altro, sparisce. Da qui comincia la sua avventura in giro per il mondo wild (selvaggio, selvatico, quello che volete) col sogno dell’Alaska. Questa vita, privata di tutto, regala a Christopher la felicità, alimentata dalle sue irrinunciabili letture (e ‘sta cosa ci piace). Viaggia per due anni dicendo a tutti di chiamarsi Alexander Supertramp. Sulla sua strada, incrocia una coppia hippie in crisi che, grazie alle sue parole, ritroverà la passione, un giovane trebbiatore del Dakota che gli fa tagliare il grano nei suoi campi in cambio di sostentamento per un po’, una cantautrice pure lei hippie che ci prova e ci riprova dicendo di avere diciott’anni pur di fare l’amore con lui, poi si scopre che ne ha sedici quindi niente sesso (Melissa, eri tu quella?), e un vecchio chiuso nei suoi ricordi che non avendo più famiglia, poco prima della sua ennesima partenza, chiede al Supertramp se può adottarlo, lui risponde che ne parleranno al suo ritorno; per la serie: vado, ciao bello!
In Alaska trova la natura incontaminata che, con il passare del tempo, gli fa comprendere che la felicità non è nelle cose materiali, ma nell’incontro incondizionato con l’altro. Questo viene fuori anche dalla frase che scriverà su uno dei libri che amava leggere: Happiness is real only when shared: la felicità è reale solo se condivisa (traduco per chi come me non sa che vuol dire shared). Qui le sue giornate procedono serene sparando agli animaletti (ma i proiettili non finiscono mai?) espletando i suoi bisogni primari qua e là, e passando le sue notti dentro un autobus abbandonato (da quelle parti dev’esserci stata la fermata dello scuolabus dei pinguinetti, altrimenti non si spiega come un autobus possa starsene nel bel mezzo di una distesa infinita di ghiacci) a leggere e ad appuntare riflessioni su un quadernino molto hippie anch’esso. Insomma, dopo due sfiancanti ore e mezza (dio che sonno!) che uno s’aspetta che finalmente decida di tornare a casa, affrontare la sua famiglia, o che qualcuno lo ritrovi, oppure che se lo sbrani un orso, lui scambia un grazioso rametto pendente tubero velenoso, per delle appetitose patate selvatiche; le mangia e muore. So che quei pochi che non l’avevano visto, e nutrivano la segreta intenzione di farlo, ora mi staranno odiando, ma capitemi, come posso criticare il finale di un film senza dire come finisce? ‘Sto ragazzo ce l’hanno rappresentato come una specie di avventuriero impavido e coraggioso che sfida il mondo e le sue regole, e poi che fa? Muore perché si mangia una patata velenosa?
Comunque, a quanto pare, è una storia vera, rappresentata cinematograficamente con una lentezza che, dopo meno di mezzora, io, Luca e Niccolò sbadigliavamo random (e mancavano ancora due ore). Se invece di quell’interminabile sequenza di niente, ne avessero fatto un cortometraggio, la storia, a mio avviso, non avrebbe perso alcun dettaglio. Che decidiate di vederlo oppure no due spassionati consigli:
1) non pagate per farlo.
2) da oggi in poi pretendete da vostra madre l’etichetta con la provenienza delle patate, prima di inghiottirle.

“Da questo si vede la falsità delle persone”

Chi sono le persone di cui parli? Non riesci neanche a fare il mio nome? Non puoi permetterti di dire a me che sono un falso. Non puoi mischiarmi alle voci di cui ti contorni. Non puoi, non perché la cosa in sé m’infastidisca, il tuo parere sulla mia persona m’importa quanto sapere cos’ha cucinato la vicina di casa per pranzo, ma perché mi stai offendendo, e offendermi va ben oltre al di là delle facoltà che ti sono concesse. Posso ubbidire ai tuoi ordini, se questo ti fa sentire appagato, se questo azzittisce la frustrazione che ti sveglia la mattina e ti segue fino a coccolare i tuoi sogni nel profondo della notte, ma non azzardarti mai più a sputare sentenze su ciò che mai conoscerai, perché certe parole sono ricoperte di lame, e non puoi farne l’uso che ti va. Devi tener presente chi hai di fronte, devi considerare l’ipotesi che non siano tutti come te. “Da oggi in poi non rivolgermi più la parola, parla con le persone vere, e impara a dire per favore.” Questa è stata, e resta la mia risposta.
Che poi io riesco ad essere immune quasi a tutto, però di fronte a certe uscite crollo, perché in un istante crolla tutto il lavoro che ho fatto su me stesso, negli anni. Come può qualcuno, anche se sei tu, che conti come un due di spade e la briscola è bastoni, pensare, seppur per un minuto, o anche meno, che io sia falso?
Posso essere arrogante, cafone, sfrontato, cinico, stronzo, menefreghista, quello che vuoi, ma falso proprio no. Io in faccia ti sbatto tutto quello che penso. Io rischio la pelle, ma te lo dico. Attento a chi ti sorride, attento a chi ti parla di questo e di quello, e mai di sé. Attento a chi mangia con te, e attento anche a chi dorme con te. Chiediti perché, chieditelo. La tua non è la vita che devo vivere. E non è per buona sorte, sì un po’, ma poco poco, anche quella, ma perché io sono diverso, io ho rispetto per gli altri e per il lavoro che fanno, io sono educato e ho dei valori, io so voler bene e sono sincero. Per questo e molto altro, attorno a me brillano le stelle. Se consideri falso chi ti dice quello che pensa di te, probabilmente con i modi e le parole più sbagliate del mondo, sì, comunque la verità, non hai capito proprio niente della vita. Perfetto così. No, perché falso so esserlo anch’io. Non è un abito con cui mi sveglio, ma so indossarlo all’occorrenza e con chi vuol vedermi vestito a festa. Quindi stai tranquillo, da oggi riuscirò persino a sorriderti. Vedrai che non ci sarà più nessuna discussione, vedrai quanto andremo d’accordo.

Oltre noi… Roma

La redazione ha con accuratezza esaminato gli scatti che Gogan con la sua super macchinetta ha realizzato a Roma dopo la presentazione di Oltre… e nonostante io sia uscito malissimo in ogni foto (eccheccazzo! Una dove sembro normale no, eh? (Gogan, non so perché, ma sento che dietro c’è il tuo zampino) Vi giuro che non sono così!) ha deciso comunque di pubblicarle nella Stanza, perché la redazione è un’entità bastarda sempre pronta a ridicolizzarmi.
Vai con la prima.

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Fine presentazione, io e gli altri autori di Oltre… tutta a sinistra Monia Di Biagio, tutto a destra io che rido come un deficiente perché Gogan faceva le facce da scemo, mentre scattava (sì, sono alto, ma proviamo ad andare avanti). Seguono le foto birresche alla pizzeria di Trastevere che vi sveleranno i volti dei misteriosi Gogan e Jerome, oltre al mio che, va be’, non è così misterioso. 
Io (togliamoci subito ‘sto dente):

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Jerome:

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Gogan:

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Non lasciatevi ingannare dall’apparenza superfiga che non lo contraddistingue, ma proprio proprio per niente! È tutto merito mio e della mia abilità fotografica che di fotografia non ci capisce una ceppa (l’abilità dico). Per la serie: imbraccia la macchinetta di Gogan e puoi sentirti fotografo anche tu! 
Poi c’abbiamo Alex e Marta, ma quanto so belli ‘sti ragazzi innamorati!

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E chiuderei con me che sostengo la lieve come una libellula Marta (ditele che s’è dimagrita che se no scatta il diavolo in lei. Diventa tutta verde, si gonfia fino a far saltare i bottoni dorati della camicetta (?) e si trasforma nella temibile Aggressiva).

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Quella piccola vena sulla fronte che furbamente (visto il colore dominante) ho cerchiato in rosso, (potrei cambiarla e cerchiarla in nero, o giallo canarino, o azzurrino, o arancione, o quello che volete. O addirittura potrei evidenziare il cerchio che serviva ad evidenziare la vena con un altro cerchio (certo!), ma vado di fretta) dovrebbe essere eloquente segnale della leggiadria della dolce fanciulla.
È chiaro che farvi arrivare le sensazioni di una giornata così è impossibile, come è impossibile racchiuderle in cinque o sei, o anche cento foto. Immortalarle nella Stanza vuole essere il mio modo per dire a tutti che a queste facce brutte (sì, mi sono guardato, va bene?) ci tengo tanto. Sappiatelo, ecco.

Nel silenzio di mille prati

Fare l’amore è come ubriacarsi. Non sei cosciente mentre lo fai, mentre accarezzi la pelle, mentre baci, stringi, senti l’odore del corpo e lo assaggi, salato. È come quando attraversi la piazza con cinque o sei Gin Lemon nello stomaco. Segui la scia dei tuoi amici, sorridi e saluti chi non conosci. Respiri e cammini ancora, magari ti siedi, oppure inciampi e cadi. Ma non ti rendi conto del gesto, qualunque esso sia, mentre lo fai. Lo fai per un naturale istinto, perché sei abituato, perché la tua testa conosce i passaggi elementari del vivere quotidiano, non perché pensi e decidi. Non puoi, perché l’alcool ti rende incapace di farlo. Trascinato è il termine giusto. Mentre fai l’amore è lo stesso. Il desiderio, l’eccitazione che sale, la voglia di annullare le distanze, di sentirti appagato, di evadere in quella dimensione adiacente, che tocca la tua, eppure così distante agli occhi di tutti, che faticano a comprendere il significato di un rapporto del genere. L’esaltazione dei sensi annulla la ragione e annebbia la mente.
Fare sesso invece cos’è?
È come camminare ubriaco sì, ma insieme a un manichino, mano nella mano. È come confidare i propri dubbi a un manichino. È come abbracciare un manichino. Costringerlo ad assumere la posizione a te più congeniale, accompagnare la testa o le gambe perché l’atto trovi il compimento migliore. È come telefonare a un manichino. È come andare a pesca, o giocare a tennis con un manichino. È prendere la sua mano e guidarla e costringerla a movimenti eccitanti. È scopare senza guardare negli occhi. È scopare voltandosi dall’altra parte. È scopare con un manichino.
Perché quando hai finito fa subito freddo e senti l’immediata urgenza di rivestirti. Perché quando hai finito è improvvisamente tardi, e senti l’immediata urgenza di andare a dormire, perché il giorno dopo hai la sveglia presto. Perché quando hai finito piomba un silenzio nell’aria che crea disagio, e sei sincero quando dici che non hai fatto niente di che. È vero che è tutto normale, però quel silenzio c’è e il vento sposta le nuvole che comunque continuano a coprire la luna, che dorme e non ti capisce. L’amore è un altro pianeta, ma c’è una cosa che ti rassicura restituendoti tutta la serenità che quelle evanescenti sensazioni avevano soffocato. E cioè che, ora come ora, l’amore è l’ultima cosa che vuoi. E star lì, sotto le nuvole, a respirare il silenzio di mille prati, ora come ora, è tutto, ma proprio tutto, per te.