Funeral Blues

W. H. Auden

Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono,
fate tacere il cane con un osso succulento,
chiudete i pianoforte, e tra un rullio smorzato
portate fuori il feretro, si accostino i dolenti.

Incrocino aeroplani lamentosi lassù
e scrivano sul cielo il messaggio Lui È Morto,
allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni,
i vigili si mettano guanti di tela nera.

Lui era il mio Nord, il mio Sud, il mio Est ed Ovest,
la mia settimana di lavoro e il mio riposo la domenica,
il mio mezzodì, la mezzanotte, la mia lingua, il mio canto;
pensavo che l’amore fosse eterno: e avevo torto.

Non servon più le stelle: spegnetele anche tutte;
imballate la luna, smontate pure il sole;
svuotatemi l’oceano e sradicate il bosco;
perché ormai più nulla può giovare.

L’immensità di un sentimento capace di superare di gran lunga quello che, per altri, è l’assoluto; insomma, cosa c’è di più totale dell’Universo? E invece tutto si riduce a scenografia se si parla del loro amore, che è il vero spettacolo della serata. Fate caso ai termini. Non dice cancellate le stelle, dice spegnetele, come se fossero solo luci di scena che ora non servono più. Imballate la luna, come quando si fa un trasloco. Smontate il sole, svuotatemi l’oceano, e sradicate il bosco. È ora di portare via i pezzi dal palco; perché è giunto il tempo degli applausi finali, e non è per scelta dell’uno o dell’altro, ma di un destino che ha deciso di distruggere e lasciare un solo superstite a vivere il resto della vita nel dolore. Nel vuoto che lascia il ricordo. La rileggo spesso per godere della sensazione che mi dà. Di qualcuno che ha capito l’Amore, e ha saputo raccontarlo solo dopo averlo perso.

 

M.