Casamare Due, la vendetta.

Mi si è decomposta la sedia sotto il deretano. C’era da aspettarselo.
“Mamma, dobbiamo ricomprare una sedia per la mia stanza. Quella c’avrà vent’anni, e ogni volta poi mi ritrovo giganteschi pezzi di gommapiuma nel culo.”
“Veramente ce n’ha molti di più.”
Pensa. (Prima di sparare pensa, prima di dire di giudicare prova a pensare [pensa] che puoi decidere tu…)
“Sì, c’avevo quattordici anni quando tuo nonno e tua nonna comprarono ‘sta sedia. Faceva parte dell’arredamento dell’appartamentino a Montesilvano. Ti parlo di quarant’anni fa.”
“Quaranta? Ma dai!”
La guardo incredulo. Mi guarda convinta. La riguardo interrogativo. Lei è convinta davvero. Quarant’anni?
“Che meraviglia quella casa a Montesilvano!”
No, ti prego. Ora comincia a rimembrar i secoli passati. Non ce la faccio.
“Pensa che tuo nonno la pagò sei milioni, e dopo qualche anno la rivendette a trentacinque.”
“Cavolo!”
Fingo un finto interesse. Non solo si capisce che è finto. Ma si capisce anche che sto fingendo che sia finto. In realtà non è proprio. Inesistenza. È solo che non posso cacciarla via dalla mia camera ora che s’è buttata sul letto. Brutto segno. Evidentemente ha molto da dire, e vuole stare comoda. Ha intenzione di ripercorrere da lì tutta la sua adolescenza.
“Stava al secondo piano di un mini-complesso residenziale con vista sul mare: Casamare Due.”
“Ma che è il seguito di Casamare Uno? Una specie di brutta fiction versione italiana, quindi già per questo sfigata, di Baywatch?”
Non capisce la battuta e continua, persa nel suo tiepido passato.
“Erano due enormi palazzi, Casamare Uno e Casamare Due, costruiti da Di Bucchianico che s’era riservato l’attico di Casamare Uno.”
“Mica fesso.”
“C’era un campo da tennis in terra battuta, e dovevamo ripulire il pavimento del balconcino tutti i giorni dalla sabbia rossa, perché noi stavamo al secondo piano.”
Perché narri l’episodio con gli occhi al soffitto in evidente estasi poetica? E poi l’hai già detto che stavate al secondo piano. Se proprio devi ammorbarmi la mattinata, almeno fallo provando a dire cose nuove.
“E poi io e tua zia andavamo a farci il bagno alla piscina Le Naiadi, proprio dopo Casamare Due. Quant’era bella quella piscina!”
Va be’ io vado a sguazzare a VerdeAQua (la mancanza della c pare dovuta alla geniale trovata di infilarci  la provincia). Non saranno Le Naiadi, però ha pur sempre la sua dignità. Acqua limpida, direi, eccezion fatta per i cerotti che ondeggiano sul fondo, la tarantola che passeggiava sul bordo mentre io inspiravo-espiravo in attesa di partire a stile libero (molto libero), e i militari che sono soliti usare le vasche per ripulirsi dal fango e sudore delle lunghe e ridicole esercitazioni in montagne, possibilmente paludose.
“Pensa che prendevamo l’ascensore anche se stavamo al secondo piano!”
No, questo è troppo. Sollevo mia madre dal letto, e sempre gentilmente la spingo alla porta, facendo anche una non indifferente fatica, mentre lei blatera qualcosa del tipo: “Ce ne piaceva di più uno al terzo. Era così luminoso, più fresco. Solo che nonna non poteva tanto camminare e allora alla fine l’abbiamo preso al secondo”.
Chiudo la porta e da dietro: Ah, mamma, a che piano era?”.
Al secondo!” Urla.
 
M.
 
È un peccato che la vita debba finire per forza; ma è meraviglioso che il ricordo non sia soggetto alle stesse regole.

Le Sette Meraviglie del Matto

Findarto, so che mi stai leggendo. È inutile nascondersi ormai. Non hai via di scampo. Sei come un topolino intrappolato all’angoletto di una stanza buia, col grasso persiano bicolore che ti osserva affamato. L’unghia luccicante, e la microzanna che cola bavetta. Io non sono certo tipo che si tira indietro, ma quando ho riconosciuto il mio nome alla fine della tua catena mi si è atrofizzata l’espressione del viso. Agghiacciato quindi, mi accingo a redigere il mio personale set de: Le Sette Meraviglie del Matto.
Preciso che saranno riprodotte in modalità casuale, quindi non ricominciate a puntare il dito, e a parlottare: “È più importante questo non quello…”. Non è una classifica, ma un insieme. Per questo, invece dei numeri, ho messo gli asterischi. Eccole qua.
 
* L’Amore. Semplicemente la sua esistenza. I brividi sulla pelle, e il terrore improvviso di perdere tutto. Che non lo vuoi più quando muore. Le lacrime che lavano gli occhi, e gli abbracci, nel silenzio. L’Amore che esiste sulla scia di nessuna certezza di tempo e futuro. Solo che ora c’è. E che c’è in assoluto; per me e per altri, meravigliosi insieme. E altre cose che so soltanto io.
 
* La Stanza del Matto. Come può la Stanza non far parte delle mie sette meraviglie? Prima cancellato dal Male RCS, che si è servito di tutta quella sudicia banda di criminali senzapalle della redazione di DiaBlogando per sterminarci tutti, poi risorto su Splinder più florido che mai, direttamente dalle ceneri ancora tiepide. Proprio come la fenice di Harry Potter, che io non ho visto. Non il film, quello l’ho visto purtroppo, e anche abbondantemente commentato, ma la fenice. Dove stava? Sciarelli, datti da fare con la fotoscheda, intanto io vado avanti.
 
* Non farmi male. Il mio libro. Che a distanza di quasi un anno continua a darmi così grandi soddisfazioni ed emozioni. Forse l’unica cosa venuta fuori dalle mie mani che mi fa credere di avere un’abilità, un senso. La fatica per arrivare ad un risultato così importante; arrivarci preparato e con la giusta consapevolezza. Le e-mail dei lettori, i commenti, gli inviti qua e là, le presentazioni, i complimenti e le critiche, talvolta costruttive altre volte direi proprio di no. Tutta la vita che ha portato, e che conserva in sé. Includo in questa meraviglia i concetti più alti di libri e letteratura. Le storie senza le quali mi sarei sentito un po’ più povero. Escludo le altre: l’odioso Piperno, le inutili Pulsatille e Melisse varie, Moccia del quale lasciatemi omettere qualunque definizione per questioni legali, & Co.
 
* L’Amicizia. Quel rapporto fedele e altruista. Così simile all’Amore e così lontano. Il bene indefinibile, condiviso e portatore di felicità. Comunque. La più grande fortuna possibile trovare amici come voi. L’unica possibilità di sopravvivere alla vita che si fa complicata. Se fossi stato solo non sarei stato quello che sono. Non avrei avuto dentro alcuna speranza né sogni.   
 
* Lo yogurt di Baby Yogurt. Perché ti dà soddisfazione come se stessi gustando un bel gelatone, con sole 73 Kcal per 50 grammi. Non è vero che tutto quello che è buono ingrassa. La sera, quando usciamo, ci sta tutto, senza rimorsi.
 
* Mia madre e mia sorella. Opprimente, apparentemente sorda alle parole e pensieri altrui, fedele alla sua idea di cos’è meglio per i figli. Buona, riservata, onesta. Muore, ma ce la fa sempre a rinascere. L’una. Cocciuta, libera, sorridente. Procede per la sua strada, perché è quello che vuole ora. Anche se è stanca. Le fa male la gamba, le mancano gli amici che hanno pianto riabbracciandola. Però ora vuole così. Le piace la distanza. La libertà di non dover tutti i giorni sentire le stesse cose. La capisco. L’altra.
 
Siamo all’ultima. Mi verrebbe da dire Internet, oppure il PC, ma poi penso che se non avessero inventato tutto questo nessuno si sarebbe posto il problema, e avremmo vissuto ugualmente sereni. Certo, sarebbe stato un peccato per tutte le possibilità perse, ma finisce là. Se dicessi il PC dovrei citare tutte le invenzioni della Storia: dalla ruota ai vaccini, dalla corrente elettrica al telegrafo, telefono, cellulare, iPod e iPhone (che ancora non riesco a capire cosa sia, a parte un cellulare che manda la musica o uno stereo in miniatura che telefona), ma uscirei abbondantemente fuori tema. E allora dico Iker.
 
* Sì, Iker. Il mio finto Labrador. Che oltre ad avermi dato l’ispirazione per il fortunato racconto Passione da cani, contenuto nel mio libro, ha il merito di avermi insegnato ad aver cura di qualcuno. Non è indipendente, lui. Non può mangiare e bere se non sono io a portargli la sua ciotola di pasta e carne macinata, e a cambiargli l’acqua. Mi aspetta per passeggiare insieme. Un affetto incondizionato; seppur privo di raziocinio molto migliore di tante persone così inutili.
 
Ho ricontato, dovrebbero essere tutte. A questo punto ho finito, giusto?
Bene, come in ogni odiosa catena che si rispetti, il copione a questo punto prevede che io nomini altri anelli costretti a fare lo stesso. Una mezza idea ce l’avrei, e quindi ora tocca a: Elly, Czed, e Pyperita.
Gli altri sono liberi. Io comunque ve lo consiglio. È stato utile oltre che bello parlare delle mie meraviglie. Un modo per ricordarmi di quanto in fondo sia fortunato. Quindi un grazie a Findarto glielo devo, per avermi inflitto questa soffice condanna.
 
Buon week-end a tutti.
 
M.

Buone vacanze a Luca che, all’aeroporto, in attesa di partire per l’Egitto, ha incontrato Riccardo Cocciante. Spero non sia un cattivo presagio.

Piperno: imbattibile insetto-repellente.

Ce l’avevo dentro. Una rabbia per aver speso diciassette euro per Piperno che non potete immaginare, tra l’altro una settimana prima dell’uscita, ovviamente a mia insaputa, (idiota ancora non ci divento; almeno credo!) dell’edizione economica da quattro euro e cinquanta (sprecati anche quelli, per carità!). Dovevo trovare un modo per liberarmi dalla sgradevole sensazione che la lettura mi provocava; lenta, ammorbante, e infinitamente uguale a se stessa, come la giornata più lunga e noiosa che possiate figurarvi. Rigurgitini multipli, alternati ad un incontrollabile mix di sputacchiamenti e tosse convulsa, pagina dopo pagina. Grazie a Dio qualcuno su questa Terra ancora ti permette di scrivere e parlar pubblicamente male di qualcosa non gradito. Così l’ho fatto. E allora, basta buonismi, collosi come marmellata! Diciamo le cose come stanno! Con le peggiori intenzioni è un libro orrendo. Riesce a farti pentire di saper leggere. Consiglio ai malcapitati che come me hanno avuto l’ispiegabile impulso all’acquisto, di bruciarlo nel caminetto. Ho notato che il fumo scaturito da una singola pagina ha il potere di stecchire all’istante mosche, zangare, tafani, e quant’altro dotato di ali, anche di dimensioni rilevanti; e mantenere l’ambiente sgombro da queste esistenze fastidiose per oltre due mesi.
Grazie sempre a Gianni di Seriomanontroppo, che mi dà corda.
Che aspettate? Per godervi l’allettante esecuzione di Piperno basta cliccare quaggiù, sul titolo di quella robaccia che lui e la Mondadori chiamano romanzo.

M.
 
Come fanno a dire che la scrittura non è terapeutica? Io mi sento già meglio.


*Findarto, io non dimentico. E tu sappi che… Hai le ore contate!*

(Oh, si scherza eh! Non è che mi mandi la polizia a casa?)

Cinque euro e venti.

Vivere del proprio scrivere è una fortuna che capita a pochissimi… pochissimi stronzi!
 
Una promessa, un gioco. Un saluto all’amica scrittrice Annalisa Iagnemma che sta spopolando in questi giorni col suo romanzo d’esordio Suona per me questa notte (un pugno di riso) – edizioni Il Filo – ricevuto stamattina dalle sue mani con tanto di dedica e caffè all’Hollywood. Tra l’altro ho notato che nei ringraziamenti c’è un certo collega Matteo. Se sono io grazie. Se non sono io… sono io. Nella vita l’importante è autoconvincersi.
Appena uscito di casa ho lanciato al cielo un fanculino niente male. Vicino alla buchetta della posta, abbandonato sul marmo proprio accanto al pinuccio in vaso ormai rinsecchito, trovo uno dei pacchi della speranza tornato indietro dal giro per l’Italia. Stropicciato, col lato per metà aperto, l’indirizzo scolorito, e in alcuni passaggi cancellato del tutto; e sul retro l’adesivo azzurrino delle poste con barrata la voce: destinatario trasferito.
Ma dico. Tu, brutto editore – lo so che è brutto, ho visto la foto; va bene? – traslochi, perché t’hanno sfrattato, perché hai trovato un bilocale con finestra (una e una sola) e vista sul mare a prezzo d’occasione, perché il proprietario è uno psicotico, che la notte ti osserva da dietro le tende con sguardo allucinato da maniaco in calore; quello che ti pare, ma cazzo! Possiedi un sito internet visitatissimo, grazie a Dio e a chi hai pagato, immagino non poco, per realizzarlo, inviti gli aspiranti scrittori a inviare il proprio manoscritto. Aggiornalo no? In fondo non credo ci voglia molto a sostituire il vecchio indirizzo col nuovo.
Spese di spedizione buttate all’aria. Tanto che vuoi che siano cinque euro e venti per me? Più o meno:

– Un super Invisibile al Coloniale, con tanto di pizzicosi stuzzichini arancioni (quando si degna di portarli).
– 4 cornetti a San Biagio.
– 5 cartoni d’acqua Guizza.
– Una scatola di preservativi da 6, furtivamente presa a notte inoltrata al distributore della Rotonda.
– Un panino e mezzo al Panippo.
– Un kebab e qualche cosa.
– Un affogato al cioccolato e due cucchiaini, alla pizzeria di Monticchio. (Non ci andrò mai più!)
 
*il matto chiede solo qualche minuto di pausa per lasciarsi andare ad una solitaria e irrefrenabile crisi di pianto*
 
Appena avrò a disposizione altri cinque euro e venti lo invierò a qualcun altro.
Intanto prima di pranzo ho chiamato l’editore della mail, era in riunione. La signorina, tentando palesemente di celare il suo fastidioso accento napoletano, – campani, vi prego non ricominciate a sommergermi di improperi. Lo sapete bene che mi è antipatica la vostra parlata. Mai come quella toscana, se può consolarvi – (bene mi sono inimicato un altro nobil popolo.) mi invita a richiamare una decina di minuti più tardi. (Lunga e impegnativa la riunione!) Stavolta mi risponde direttamente il direttore editoriale.
“Supermarket24…”
Sì, ma levati dalla bocca quel tono schifato, amico mio.
“La scheda di valutazione è positiva. Come lei ben saprà noi abbiamo una distribuzione nazionale. (Beh, nazionale mica tanto! Comunque…) Prima edizione mille e cinquecento copie di cui trecento vanno a lei, mille alle librerie, e duecento le teniamo in casa editrice per le ordinazioni da internet.”
[Trecento a me?]
“Trecento a me?”
“Sì, a prezzo pieno. Noi organizziamo tutte le presentazioni che vuole, con volantini, locandine, e inviti, a spese nostre.”
“In soldoni mi sta dicendo che devo acquistare trecento copie a prezzo pieno?”
Mi scusi se degli inviti, e presentazioni, e locandine me ne sbatto.
“Sì, sono circa tremila euro.”
Mi viene la tentazione di riagganciare senza oltre dire. Almeno risparmio un paio di scatti interurbani. È solo per educazione che rispondo: “Ho capito. Guardi, ho scelto di non accettare proposte che prevedano un contributo dell’autore, di questa entità poi.”
“Va bene, allora se dovesse cambiare idea noi siamo qua.”
Sì, e io sono qua. Ciao.
 
M.
 
Mi rituffo nella Prima Guerra d’Indipendenza. Grande Cattaneo a sfanculizzare Radetzky nelle leggendarie Cinque Giornate di Milano. Io odio la Storia.

Maledetti Editori! (Anche parecchio stronzi.)

La saga Maledetti Editori! sottotitolata con tanto di parentesi: (Anche parecchio stronzi.) sta riscuotendo un successo planetario, e da mari monti terre città paesi baracche campagne metropoli e stalle continuano ad invocare nuovi episodi. Il matto, che vi vuole molto bene, non può non parlarvi di una nuova avvincente avventura. Stavolta interattiva, e arricchita da uno spietato scambio di e-mail tra l’aspirante autore Matteo Grimaldi e il famigerato direttore editoriale in questione. Comincia così.
 
Gentile Sig.Grimaldi,
abbiamo letto il suo Supermarket24 e lo abbiamo trovato adatto per essere inserito in una delle nostre collane. (Non posso come al solito dire il nome dell’editore, ma io fremo, tremo.) Come saprà la XXX pubblica esclusivamente Autori italiani e svolge da anni un’opera di scoperta e valorizzazione. Abbiamo Autori che con noi hanno già pubblicato ben cinque libri, altri quattro o tre e siamo sempre alla ricerca di talenti che possano garantirci nel tempo una produzione di qualità.
Il suo libro rientra tra quelli in sintonia con la nostra linea editoriale. (Oh, grazie! Commosso continuo.) È noto che il mercato editoriale italiano è costantemente in crisi… (vai con la pappardella del 10 per cento degli italiani che leggono un libro l’anno e l’altro 90 per cento che non sa neanche che forma abbia un libro). Questa situazione ci costringe per poter continuare a pubblicare Autori esordienti e portarli verso la notorietà, a chiedere agli stessi Autori un contributo economico che possa in qualche modo alleggerire la perdita certa che i primi quattro libri del nuovo Autore genereranno. Il contributo richiesto per affrontare i costi di stampa, distribuzione, promozione e pubblicità è di €. 5.000,00. (Cinquemila pippi? GULP!) Un po’ come quello che succede in Formula1: il pilota che vuole guidare una macchina importante, deve presentarsi alla scuderia con degli sponsor che coprano le spese del suo ingaggio. (Ma che stai a di’? Schumacher s’è presentato alla Ferrari con in mano un pacchetto di Malboro rosse, e l’ha implorati di fargliela provare?) L’editoria, ormai da tempo, è su questa strada. (Sì, la tua editoria forse.) Ovviamente non abbiamo nulla in contrario affinché un’azienda a fronte di un investimento economico desideri il suo marchio o la sua pubblicità dentro i libri di Matteo Grimaldi. (V’immaginate dentro Supermarket24 la pubblicità dei Pampers col culo del bimbo all’aria, o di Acqua Uliveto con Del Piero che si consulta col suo fedele uccellino psicologo?)
 
L’e-mail continua e l’uomo nero m’illustra il progetto. Contratto per quattro libri: cinquemila euro a loro e il dodici per cento delle vendite a me. La distribuzione nazionale che già conoscevo, (prima di inviare le copie ho attentamente selezionato gli editori. Meno male.) prima edizione di tremila copie. Cazzo. Vista la nota serietà della casa editrice decido di rispondergli.
 
Gentile editore XXX,
ho visto spesso in giro qualche vostro volume, e vi ho scritto proprio perché certo della serietà e della distribuzione della casa editrice. Purtroppo però mi trovo costretto a rinunciare alla possibilità di pubblicare con voi. 5000 euro sono davvero tanti, e poi è una proposta che va contro la mia idea e i miei obbiettivi. Non sono così sicuro che sia un’attività a perdere per i primi 4 libri.
(Gli racconto la storia e la fortuna del mio primo libro, nonostante i piccoli mezzi dell’editore e la mia dinamicità e voglia di darmi da fare e cercare occasioni.) Per questi e altri motivi ho deciso di non accettare proposte di pubblicazione con richiesta di contributo. Non sapevo che la vostra casa editrice operasse in questo modo altrimenti avrei evitato di mandarle il manoscritto e farle perdere tempo. La ringrazio comunque per l’attenzione dedicatami, e le auguro un buon lavoro.
Lui non si arrende.
Gentile Sig. Grimaldi,
il fatto che lei trovi i nostri libri presso le librerie è segno che svolgiamo una seria attività editoriale e curiamo le pubblicazioni dei nostri autori al meglio. Anche noi sino allo scorso anno non chiedevamo nessun contributo,
(eh no cazzo! Che sfiga maledetta!) ma il mercato non cresce e riuscire ad essere presenti nelle librerie richiede sforzi e investimenti notevolissimi.
Il grosso dell’investimento che la XXX fa sui propri Autori è a livello nazionale. Le auguriamo, comunque, tanta fortuna. Cordialità.
 
Cordialità ‘sta ceppa. Rispondo; non dev’essere sua l’ultima parola.
 
Infatti io non criticavo assolutamente il vostro lavoro di distribuzione, anzi, è quello che m’ha colpito e spinto a scrivervi. È la politica dei contributi all’autore che non mi piace. Mi rendo conto delle spese che comporta pubblicare e lanciare un nuovo autore, ma non mi pare neanche
giusto che le paghi lui. Se un editore ritiene che un libro possa vendere, sia di qualità, o per qualunque altro motivo vuole pubblicarlo e spingerlo con una buona pubblicità, penso che debba farlo a sue spese, per poi riconoscere un minimo di diritti d’autore e quindi riavere il danaro speso e
alla lunga guadagnarci, ma non certo chiedendo soldi (e quanti soldi!)
(La parentesi precedente non è in blu perché quel’ho proprio scritto) all’autore. Che ovviamente deve mettercela tutta da par suo per incrementare le vendite e farsi conoscere, cercare occasioni possibili. Questo credo sia il giusto rapporto editore-autore. Resta comunque una mia opinione.
Grazie ancora, e mi scuso se mi sono dilungato. Volevo solo che sapesse come la pensavo.
 
Ma lui riparte al contrattacco.
 
Grazie a lei per averci contattato.
Resta comunque il fatto, innegabile e purtroppo per il momento non modificabile, che il 10% degli italiani…
(Ancora? Che due palle!) Questa situazione dovrebbe essere chiara anche agli autori per capire che praticamente non esiste mercato dei libri. (Eh la miseria! Vallo a dire a Melissa P, o a Dan Brown, o a Federico Moccia, o a Faletti, se non esiste mercato dei libri.) Gli editori volenterosi e "onesti" (e quelle virgolette?) devono far presente queste cose evitando illusioni e false aspettative.
 
A questo punto m’incazzo. Mi sono rotto di dover leggere sempre le stesse stupide considerazioni e giustificazioni. La guerra è guerra e allora lo annichilisco con la bomba atomica.
 
Senta, io non vado alla ricerca di illusioni e false aspettative, solo di un editore che creda sul serio nel mio romanzo e non chieda a me di farlo per lui. Conosco a memoria la pappardella delle percentuali e della crisi dell’editoria in Italia. Quello che mi chiedo quando leggo certe risposte è se qualcuno ha costretto voi editori a scegliere un mestiere che non vi rende. Dalle sue parole sembra quasi che andiate compatiti. Comincio a convincermi che l’editore sia la figura martire nel nuovo millennio.
 
Non ha più risposto. Ho vinto. Eh cazzo!
 
M.
 
Tra poco devo chiamare un editore che mi ha scritto: gent.mo signor matteo se può mettersi in contatto con la casa editrice per parlare del suo libro. tel. xxx-xxxxxxx. (Lui c’ha la manina monca che non può telefonare?)
cordiali saluti
 
Restate con noi, amici. Temo che ne vedremo ancora delle belle.

erretiehmle

Mi rendo conto di avere il tempismo di un bradipo, ma credetemi non ho potuto fare niente. Mi trovo accoccolato (ad ascoltare il mare…) sul bianco cesso in stato rilassante (sì, anche molto interessante, ma non nel senso di incinto) che leggo Cell dell’un po’ spompato Re del brivido King, mentre attendo che sua maestà Merda venga fuori leggera. Squilla il cellulare. Un numero dall’oscuro prefisso turba la mia quiete estatica. Prevedibile e noioso film dell’orrore. Leggi un libro, ed ecco che ad un tratto la realtà comincia a modificarsi, e ti ritrovi a vivere sulla tua pelle le vicende raccapriccianti di pagine poco prima sfogliate. Ma si sa, tutti i personaggi destinati a crepare sono un po’ dementi, e allora, se quelli di King rispondono al telefono e impazziscono, io non rispondo. Furbo?
Fortuna che il mio psicopatico cervello ritrova un attimo di lucidità.
“Pronto?”
“Matteo Grimaldi?”
“Sì.”
“Salve, è erretiehmle, la radio.”
RTL oddio, godo!
“Il suo editore ci ha inviato il suo bellissimo libro non…”
Momento di panico. Penso che dovrei venirle in soccorso; non lo faccio. Mi diverte immaginare le possibili evoluzioni.
“…fammi male!”
Uhmadonna!
“Sì…”  
Ti devo far male? Aiuto, è una chiamata erotica. Mi esorta al sesso violento. Che faccio, prendo il guinzaglio di Iker e la frusto? (Farmi comunque, con una erre in più e una emme in meno.)
“Ecco, vorremmo intervistarla.”
“Sì, che radio ha detto, mi scusi?”
“Radio Tele Magia.”
Ma se è una radio come fa ad essere una tele? Va be’ è una cosa mia.
“Ah, erretiemme, non elle!”
“Sì, emme, emme!”
Ho capito eh!
“Ah… (delusione, ma è sempre una radio oh!) e quando?”
“Domani mattina, la chiamiamo tra le tredici e le quindici, va bene?”
“Ok.” Ciao bella.
Conosco le interviste radiofoniche. Registrano tutto e lo mandano quando vogliono. E invece…
Ore 14.00 del giorno dopo.
t..t..t..(la mia suoneria parte piano) nannnanaranarananna… (yeah!)
“Pronto?”
“Matteo Grimaldi?”
“Sì.”
“La metto in diretta.”
“Diretta? Un attimo scusi, volevo sapere se era possibile registrare l’intervis…”
“Ed eccoci giunti al momento della cultura. Abbiamo in diretta un giovane scrittore. Accogliamo Matteo Grimaldi, autore dell’emozionante raccolta di racconti Non farmi male. Buongiorno Matteo!”
“Buongiorno a voi!”
Visto che non sono stato minimamente cagato fuori-onda per un attimo provo la diabolica tentazione di chiedere in diretta se mi registrano l’intervista.
Ok, ok. Mi travesto da scrittore impegnato e rispondo alle domande. La storia di Daniel, il bimbo che subisce violenze, catalizza la loro attenzione, e l’intervista prende la piega del sociale.
“Matteo, come vedi la condizione del bambino oggi?”
E là parto con le mie dissertazioni allucinate. Poi le solite domande sulle sensazioni dello scrivere, le emozioni, il foglio bianco che prende vita e bla bla bla. È stata una cosa carina, durata una quindicina di minuti.
Mi salutano e intanto penso che ora mi rimetteranno in collegamento con qualcun altro a cui chiederò la registra…
CLICK.
Morale della storia: se qualcuno o qualcosa, ieri alle quattordici e qualche minuto passava per Roma, Frosinone, Latina, e zone limitrofe (un bacino d’utenza planetario) ed era disgraziatamente sintonizzato sul 91.7, e non so per quale motivo stesse registrando anche per sbaglio (uffa, ma è impossibile!),  e pensa di potermi recuperare quel momento, pregasi farlo e contattarmi tramite e-mail; sono pronto a pagargli un aperitivo in mia compagnia nel peggiore bar aquilano (sembra una condanna più che un premio, ma questo passa il convento).
 
M.
 
Io intanto scrivo alla radio. Buon compleanno Stella. Tutto quello che vorrei dirti lo sai. Passa una giornata specialissima, te la meriti, dopo tutte quelle meravigliose che regali agli altri, e a me. 

Chi sai tu, sbrangialli, e altre cazzate da 300 milioni di dollari.

Ho aspettato una settimana (7 euro in anteprima, col cappero!) e sono andato anch’io a vedere Harry Potter number five. (Cercasi disperatamente riassunto puntata quattro, passata tipo pausa di riflessione per ricominciare dal cinque più carichi che mai.)
Non commento le due signore puttane (eh, ma scusate!) che con la sala semivuota, e a proiezione iniziata, c’hanno fatto alzare perché eravamo seduti ai loro posti, solo perché due vecchi babbioni rimbambiti (aggiungerei babbani vista la circostanza) s’erano accomodati ai nostri.
Dopo due ore e passa di film, partono i titoli di coda, the end, s’accendono le luci, e nasce in me una riflessione: ma in pratica che è successo? Cos’è cambiato rispetto al tre? (sempre per il discorso del quattro mancante.) Chi l’ha visto mi venga in soccorso. (No Sciarelli, non parlavo di te e della tua trasmissione ritrova-dispersi. Vattene! Aria! Sciola! Ciao! Sempre alla ricerca di visibilità ‘sti vippetti.)
Riassumendo. Voldemort vuole la profezia di Harry. Visto che le profezie le può ritirare all’ufficio dei segreti solo il destinatario, tipo le raccomandate alle poste o le analisi all’ospedale, quel furbone che ha fatto? S’è collegato telepaticamente a Harry facendolo diventare solo un pochetto cattivello, e l’ha mandato a ritirare la palla di cristallo grigia. E che ci sarà mai scritto a ‘sta profezia?
Nessuno dei due può rimanere in vita se muore l’altro!
Embè? Tutto ‘sto macello per sapere ‘sta cosa? Ma Harry, che pare che capisce tutto lui, non aveva neanche minimamente intuito l’intenzione di Voldemort di creparlo, dopo 4 episodi in cui cerca di mandarlo a farsi amici i morti?
Poi tutto il film a chiamarlo Chi sai tu. E io che pensavo: va be’ lo sai tu, ma diccelo pure a noi. L’ho capito a metà secondo tempo che parlavano di Voldemort. (Oddio lo posso nominare? Va be’ di Chi sai tu insomma.)
È il solito, prevedibile copione. L’arrivo di un professore nuovo che crea scompiglio, mi pare sempre quello della difesa dalle arti oscure. La sparata di cinque o seicento nomi di roba incomprensibile, spesso anche agli stessi personaggi. Emblematico il dialogo tra la cinese ed Harry. Cinese: “Cosa sono gli sbrangialli?” (Figuriamoci se mi ricordo come si chiamano quei cavalli unti di olio essenziale di Jojoba (BOH), visibili solo a chi ha assistito alla morte di qualcuno. Io ho visto la mia rigogliosissima pianta di fagiolo, nata e cresciuta dal classico esperimento che ti obbligano a fare in quinta elementare, spezzarsi per via dello stronzissimo gesto di un bastardello che veniva in classe con me. Chissà se gli sbrangialli posso vederli anch’io.) HP, che sta per Harry Potter, (c’infilo la pubblicità occulta della stampante, tutto fa brodo) risponde: “Non ne ho idea!”. Andiamo bene. Poi gli stampa un bacio lingua con un risucchio pazzesco. Non mi sarei sorpreso se l’avessimo ritrovati qualche scena più in là a trombare nella stanza delle necessità.
La Rowling, a corto di idee, pesca un po’ qua e un po’ là. Evidente lo scopiazzo al Signore degli anelli. L’effetto che il povero Harry stava subendo è il medesimo che subiva Frodo per via dell’anello.
“Voldemort vuole qualcosa!” Sì, pure Sauron voleva qualcosa. “Voldemort sta entrando nella tua testa e governa la tua mente!” Sì, pure Sauron goverava quella di Frodo. “Per riavere quello che gli appartiene!” Sì pure Sauron, l’anello. “E ti farà diventare cattivo.” Sì pure Sauron.
Secondo me, alla fine del settimo, si scoprirà che Sauron è il bisnonno di Voldemort. Carini gli effetti speciali. Certo che 300 milioni di dollari (uhmadonna!) nella prima settimana di proiezione; debutto più alto nella storia del cinema, considerando anche che siamo in piena estate. A-Riboh!
 
M.
 

Per chi se la fosse persa nella Stanza, vi segnalo la mia recensione a Vermi di Giovanna Giolla uscita oggi su Seriomanontroppo. Io non mi sento tanto bene. Vado di là a inghiottire una decina di pastiglie vomitose. Magari rimetto.

A paro ‘sta ceppa!

Sembra che questo caldo, oltre a sfiancarmi fisicamente riesca ad avvolgere i miei pseudo-impegni giornalieri di un nero manto di sfiga. Ebbene è ufficiale. Ho perso gli occhiali da sole da 80 euro. Per molti non sarà ‘sta gran cifra, per me sì. Vi posso dire che occupavano con fierezza il terzo posto delle cose dal valore economico più alto in mio possesso (cioè realmente mie), dopo la macchina (che finirò di pagare nel – fatemi pensare – 2012?) e la mia libreria. L’ho lasciati l’altro ieri sul banco dell’internet point, mentre il tipo mi aggiornava dei minuti ancora a mia disposizione, oppure proprio accanto al PC che ho usato. Non so bene. Comunque per forza di cose là dentro. Ci sono tornato stamattina in macchina (39 gradi e l’aria condizionata che non ce la faceva) e la sua risposta è stata più o meno questa: “Se l’hai lasciati ai computer addio occhiali!”. (In questo mondo di ladri na-na-na in questo mondo di eroi…)
Quando sono riuscito non era cambiato molto. Stessa temperatura, la Bravo (quella vecchia non quella nuova rossa fiammante di Meravigliosa creatura) luccicante sotto i raggi del sole bollente, ma con una certezza in più: addio occhiali.
In ventisei anni di vita sono stato capace di far sparire nel nulla everything di qualunque dimensione, prezzo, tipo, provenienza, utilità, religione, razza, e colore della pelle o della plastica. Anche naturalmente roba non mia. Il record l’ho raggiunto con i mazzi di chiavi. Ne avrò disseminati una quindicina per il mondo. Se trovate un mazzo di chiavi in qualche cassonetto (vanno per la maggiore) oppure per strada, o tra le pieghe del vostro divano, venite pure a casa mia, e portate via quanta più roba potete. Siete i benaccetti. E se passate nel primo pomeriggio vi offro anche un caffè.
Adesso gli occhiali. Ed ero convinto di aver polverizzato anche la carta d’identità, visto che all’internet point – sì sempre là – quando m’hanno chiesto un documento di riconoscimento, ed io tutto ganzo ho aperto il portafogli per mostrargli la bella foto piena di capelli, non trovandola nella solita tasca, tutto ciò che ho saputo dire è stato: “Ops, devo essermi perso la carta d’identità!”. Invece l’ho ritrovata. (Tiè!) Stava nel reparto documenti smarriti della sala studio. L’hanno  custodita per molto, molto tempo. Che gentili. Per avere una vaga idea di quanto, vi basta tentare la coraggiosa associazione studio-matteo, o matteo-studio (per la proprietà commutativa), matteo-università, matteo-laurea (l’ultima ve la sconsiglio, mandereste irrimediabilmente in TILT il sistema). Dopo i pochissimi minuti di elaborazione, avrete una risposta composta da un numero decimale di probabili sei cifre, seguito dalla parola secoli.
Tirando le somme: persi gli occhiali, ritrovata la carta d’identità.
Pure oggi a paro.
 
M.
 
Certo che tra la carta d’identità e gli occhiali – per ovvi motivi – avrei preferito non ritrovare la prima. Quindi… A paro mica tanto! (Elegante traduzione dell’espressione un po’ più colorita che compare nel titolo del post.)

-1 + 1 = paro

Una notizia buona e una cattiva.
Visto che quella cattiva non lo è poi così tanto, considerato che ormai mi sono largamente abituato, ve la sparo subito subito copio-incollandovi l’ennesima lettera, anzi e-mail, di rifiuto di un editore.
 
Gentile Matteo Grimaldi,
abbiamo letto e apprezzato il suo manoscritto, ma purtroppo non rientra esattamente nella nostra linea editoriale. Siamo comunque interessati a visionare la sua prossima opera, se vorrà inviarcela.
Cordiali saluti.
 
Questo era uno di quelli ganzi. Buonissima distribuzione sul territorio nazionale, nessuna spesa di contributo richiesta agli autori, (sì, perché non ho alcuna intenzione di sganciare un solo centesimo per pubblicare), ottima fattezza del prodotto libro. Uno di quelli che non c’avrei pensato un minuto ad accettare, ma neanche c’ho sperato un minuto che fosse un .
Già che hanno indicato il mio nome e cognome, e il titolo del libro nell’oggetto, mi pare un grandioso passo avanti. Immaginate se fosse stata del tipo: “Gentile AUTORE bla bla bla…” .
Forse l’hanno letto davvero, di sicuro la pagina iniziale, quella con i dati. Il rifiuto non supera quasi mai le cinque righe inclusa quella finale con la firma, che ometto per la privacy; e ci siamo. Non rientra esattamente nella loro linea editoriale, vorrei capire cosa vuol dire l’avverbio esattamente, ma va be’, niente di nuovo anche qua. Ma attenzione! Mi invitano a mandare il prossimo. Per la serie: scrivi bene, ma questo non ci piace. Come se uno producesse manoscritti dalla notte al giorno.
Credo che se un bel dì dovesse giungermi sotto qualsiasi forma un Sì creperei di cuore. Allora forse è meglio che continuino a fioccare No indefinitamente. In attesa degli altri vi do la bella notizia.

idoneo-scritti 
(Sono riuscito ad evidenziare un po’ meglio che nell’altro post. Rilevante, considerato che i mezzi tecnici a mia disposizione sono rimasti i medesimi, se non addirittura peggiorati. Un po’ meno se pensiamo che questa non è proprio annoverabile tra le operazioni grafiche più complesse.) Come avrete capito, idoneo alla prova scritta della Finanza. Sono rientrato nei 435 che accedono alle visite mediche su 875 che avevano superato i test preliminari. Comincerò a studiare fin da subito per l’orale. La mia rivincita prende piede. Vediamo se stavolta mi fregano loro o li frego io.
 
M.
 
Come diceva qualcuno (forse il sottoscritto): “Bene che va ci vado a paro!”.
Non sono certo di non esserne io l’autore (che poi mica è vero che la doppia negazione afferma. Non sono certo di non esserne io l’autore è ben diverso da sono certo di esserne… O no?).

Il periodo Speriamo è superato. Sì.

la partenza disorganizzata. il prosciutto casereccio. la strada sterrata e sassosa. le casette abitate da persone cordiali. che si vogliono bene. che respirano l’aria di montagna e ci ospitano a bere un bitter e un paio di bicchieri di coca cola, e friggono pancetta per un genuino piatto di pasta. le stesse persone di quand’eri piccola che ora ti accolgono ogni volta come una figlia, e accolgono me come il benvenuto. le poiane nel cielo, i cardi pizzicosi. i nomi degli animali e delle piante che tu sai a memoria. e io ti ascolto affascinato mentre mi guidi in un mondo che ti appartiene. la spia dell’acqua della vecchia panda verde. l’aria aperta, il cielo che nessun azzurro è uguale. la montagna vera, rocciosa a tratti. il sole che sbatte e cuoce la pelle. il vento, fresco lassù. le foto. il cappellino bianco, primo nostro segno legato alla bandiera de ju piccu. i luoghi semplici. il rifugio e il secondo segno, lasciato col carbone sul muro pieno di altri giorni speciali. il tempo. tanto, veloce, nostro. il tramonto, mai visto nulla di tanto spettacolare. arancione la montagna. una nebbia rosa in lontananza, mentre tornavamo nella vita di ogni giorno. i discorsi su quello che stiamo vivendo e diventando. le emozioni di contatti naturali e sentiti. l’orologio che non esiste. il cellulare che non prende. e quell’odore. di montagna. di aria. di sole. di carbone. di passione. di fiori. di persone. di silenzio. di nulla. e di tutto quello che non scorderò.
 
“Lo senti quest’odore?”
“Sì.”
“Ti entra dentro. E quando un giorno lo ritroverai da qualche parte, ti ricorderai di averlo sentito qui, ora, e con me.”
 
M.
 
grazie.